giovedì 13 dicembre 2018

ANTEPRIMA: SPACEBORNE MARINES - FARAS - CAPITOLO 5

 CAPITOLO 5

Morte di un’Enneya


«Non sparano più. Forse possiamo tornare indietro» disse Menashine ad un tratto.
Il maggiore Reid-Daly diede il segnale di alt e il gruppo di Marines si fermò.
Presero posizione ma senza imbracciare le armi, tenendole nascoste sotto i burak. Erano in pieno centro urbano e con i fucili in piena vista sarebbero stati identificabili come una mosca su un foglio bianco.
È vero. Dal Palazzo non arrivano più spari né esplosioni. Tishi Motani ha compiuto la strage che ha pianificato a sangue freddo. Non sa di aver dato inizio ad una più grande.
Guardò la ragazza Farasiana, mano nella mano con la sorella.
Ed il cuore di vecchio soldato ebbe una stretta. Scosse lievemente la testa.

 «Non c’è nessun luogo dove puoi tornare Menashine. Puoi solo seguirmi e trovare nuovi amici» disse scandendo le parole.
«Perchè?»
Itay, la sorella più grande, aveva cominciato a piangere silenziosamente.
Reid-Daly la guardò. Sentì una fitta al ginocchio malandato.
Lei ha capito. La piccola ancora no.
«Perchè?» chiese ostinatamente Menashine.
«Perchè hanno ucciso tutti! Ecco perchè! Anche la mamma! Sei contenta ora che qualcuno ti ha risposto?» sibilò Itay.
«Non ci vai leggera, ragazzina» disse l’ufficiale dei Marines.
«La vita è pesante, maschio. Specialmente se sei femmina e nobile su questo pianeta. Il popolo può illudersi, i maschi soffrono più di tutti, ma tra nobili l’illusione è un lusso pericoloso. Ha ucciso mia madre.»
L’ufficiale dei Marines annuì.
Ha carattere, la ragazza. Conto su di lei per tenere a bada la sorella più piccola.
«Siamo quasi arrivati. Quello più avanti è il Palazzo di Rappresentanza della Casata Heryani. Vostra madre mi ha ordinato di affidarvi a loro.»
«Vado avanti. Sono giustamente diffidenti con gli estranei. E non sono sordi: avranno sentito la sparatoria anche loro» disse Harta.
«Non ti muovi da solo, Harta. La tua vita è preziosa sia per la principessa Awa che per la Federazione. Tac, uno dei tuoi di scorta alla nostra guida.»
Harta era rimasto stupefatto alle parole dell’ufficiale dei Marines. Uno dei soldati Terrestri in burak gli si mise accanto.
«Che ti piglia, Harta? Non abbiamo tempo…» disse Reid-Daly constatando il momento di immobilità dell’altro.
Il Farasiano scosse la testa. Il cappuccio calato sulla testa impedì al Terrestre di vedere l’espressione quasi sorridente.
Si mosse e il Marine lo seguì come un’ombra.
Il Palazzo di Rappresentanza della Casata Heryani, nonostante l’ora tarda, sorgeva come una cattedrale di luce dall’ampio giardino che lo circondava.
Harta si rivolse al Marine.
«Sergente, rimanga qui. I dettagli tecnici della copertura li lascio a lei. Sappia che gli Heryani sono diffidenti, specialmente di questi tempi. Se è tutto a posto, mi toglierò il cappuccio e mi passerò la mano destra sulla testa. Se invece passo la mano sinistra, lei ed i suoi farete bene a sparire rapidamente.»
«Inteso. Buona fortuna» rispose l’altro. E con incredibile rapidità sparì nel buio del viale alberato.
Harta sentì frusciare il burak del Terrestre.
Ha tirato fuori il fucile d’assalto.
Si incamminò per gli ultimi cinquanta metri, verso il cancello d’entrata.
Quando fu a dieci metri si sentì dare l’alt in farasiano.
«Chi sei? E cosa vuoi a quest’ora?» chiese una Farasiana con l’uniforme della Casata Heryani ed i gradi da sottotenente.
«Devo vedere urgentemente la Enneya Mishte Heryani…»
«La Enneya non può essere disturbata da nessuno, tanto meno da un Fuco…»
«Nemmeno se il Fuco si chiama Harta Yrnani e ha un messaggio da parte di Tara Ruhoyani?»
«Harta? Per gli Dei… Tira giù il cappuccio e fatti riconoscere!»
Il Farasiano obbedì.
La giovane ufficiale annuì.
«Aspetta qui.»
La donna in uniforme si allontanò, scomparendo nella postazione dietro le robuste cancellate in ferro. Al suo posto comparve un Fuco armato in uniforme.
Un minuto dopo il sottotenente Heryani ricomparve.
«La Enneya ti riceverà subito. Dobbiamo essere cauti, abbiamo sentito delle voci poco rassicuranti, specialmente nell’ultima ora.»
«Comprendo benissimo. Sei in contatto con Mishte?»
«Sì, perchè?»
«Non sono solo. C’è anche della gente importante che deve parlare con lei. E non è di Faras. L’Enneya Ruhoyani gli ha affidato le sue figlie minori, Itay e Menashine.»
«Questo complica tutto! Dovevi dirmelo prima!»
«Quale è il problema? Comunicalo alla Enneya. Capirà immediatamente.»
L’ufficiale parlottò al comunicatore rapidamente.
«Chi è l’Alieno?»
«Perdonami, ma posso dirti solo da dove proviene: Primus. Riferisci, ti prego…»
La riposta arrivò immediatamente.
«Fai entrare subito l’Alieno con le figlie dell’Enneya! E togliti dalla strada! Siete un pericolo per tutti!»
Harta sorrise, e con la mano destra si lisciò la testa.
«Grazie. Lo avverto via radio… Danny mi ricevi?» disse alternando il farasiano con l’Inglese Standard.
«Sì, ti sento, Harta.»
«Tutto a posto. Vieni dentro e porta Itay e Menashine.»
Attese che le tre figure, una alta e due più minute, lo raggiungessero, poi entrarono ed il cancello si chiuse dietro di loro.
Taczak annotò tutto e diede rapidamente disposizioni per far prendere posizione a ciascun operatore del commando. In pochi minuti la piazza e il viale tornarono deserti.
A Minia’t quella notte ognuno si era chiuso in casa, come se l’odore della Morte fosse passato ed avesse agito da dissuasore. A circolare erano solo poliziotti e soldati.

Mishte Heryani era una donna minuta. Non era giovane per gli standard Farasiani: aveva superato da poco i 40 anni. A differenza della maggior parte di quella specie, aveva gli occhi senza sclera azzurri. Ricevette nel suo studio Harta, le due Ruhoyani e l’ufficiale dei Marines. Dietro di lei sedeva un Fuco, anche lui oltre la quarantina, in posa quasi contemplativa. Gli occhi del maschio osservavano tutto, ma con una espressione distaccata. Un registratore neuronale avrebbe mostrato più partecipazione.
«Mi avevi detto che l’Alieno veniva da Primus. Perchè è mascherato come uno di noi? Non mi piacciono gli Alieni che ci scimmiottano, Harta. È mancanza di rispetto!» disse Mishte.
«Non devi intenderla in quel modo. Il maggiore dei Marines Reid-Daly è in missione. E la cosa migliore è non dare nell’occhio, specialmente se un Terrestre ha come incarico quello di parlare con l’Enneya Ruhoyani.»
Gli occhi blu con la pupilla stretta come una punta di spillo puntarono l’ufficiale dei Marines.
«Lei quindi è un Terrestre.»
«Sì, sua altezza.»
«Spero che questa pagliacciata sia reversibile. Mi risulta intollerabile alla vista.»
«La rassicuro. È un mascheramento completamente reversibile, anche se non è una faccenda piacevole sia assumere il vostro aspetto che ritornare al mio aspetto normale. Nanochirurgia…»
«Non so nemmeno cosa sia la nanochirurgia, ma voglio fidarmi, come si è fidata di lei, maggiore, la mia buona amica Tara. Che sta succedendo? Perchè le sue figlie minori sono qui?»
«Temo di non avere buone notizie. Credo che l’Enneya sia morta, sua altezza. E mi ha chiesto di affidarle le sue figlie Itay e Menashine e di mettere in allarme la Casata. E che tutti devono sapere quanto sta succedendo» disse Reid-Daly con la massima calma.
Seguì un tempo indefinito di pesante silenzio.
«Riferitemi il colloquio che avete avuto con Tara prima di lasciare il suo Palazzo» disse in tono asciutto.
Il Terrestre lasciò parlare Harta in Farasiano. Riuscì a seguire la narrazione abbastanza agevolmente. Alla fine Mishte chiuse gli occhi, come se non volesse vedere qualcosa di orribile.
Li riaprì lentamente.
«Tara non è più. La Casata Ruhoyani non è più, dispersa ai quattro angoli di Faras. Quando abbiamo sentito le esplosioni in direzione del Palazzo Ruhoyani, ho provato a contattare la mia Casata, nel mio regno. Le comunicazioni sono impossibili. Sono state tagliate sia quelle via cavo che via radio. Non è un buon segno. I prossimi siamo noi Heryani. E la Casata Tinyani. Tishi è andata troppo oltre… non ne verrà fuori nulla di buono» disse con la sua voce sottile.
«Cosa farete con le figlie di Tara?» domandò Reid-Daly.
«Innanzitutto, grazie per la sua sollecitudine, maggiore, per averle salvate, protette e portate a me. Da ora in poi vivranno sotto il tetto della mia Casata. Almeno fino a quando esisterà. L’Enneya, ora è  Awa. Che si trova su Primus, se non erro.»
«È esatto, Enneya Heryani» rispose.
Seguì un’altra lunga pausa. Quando Mishte Heryani la interruppe, il contenuto sorprese anche il maggiore dei Marines.
«Ordinerò l’evacuazione immediata. Manderò due corrieri per avvertire Frina Tinyani. Devono prendere anche loro le giuste decisioni. Gli eventi non possono fare altro che accelerare.»
«E peggiorare…» aggiunse Reid-Daly.
«Dovremo raggiungere l’aeroporto.»
«La città è blindata, sua altezza.»
«Ed allora ci apriremo la strada con la forza.»
«Non avete truppe sufficienti. Ma se uniamo le forze c’è una possibilità.»
«Unire le forze? Cosa intende, maggiore?»
«La vostra guardia del corpo, quella dei Tinyani e i miei ragazzi là fuori.»
Non intendo dirle che ho un plotone di Marines armati fino ai denti appena fuori le mura di Minia’t. Non so fino a che punto posso fidarmi.
«Ci sono altri Marines su Faras?» domandò Mishte aggrottando la fronte.
«La mia scorta. Era prevista in caso di il piano di evacuazione della Casata Ruhoyani fosse stato accettato. Potremmo usare quel piano per evacuare voi e i Tinyani.»
«Non intendo lasciare Faras.»
Reid-Daly annuì.
I Farasiani sono gente cocciuta. Ed attaccata al proprio pianeta.
«Non ho parlato di portarvi via da Faras, sua altezza. Ma di portarvi via da Minia’t.»
«E come farete?»
«Non sono venuto da solo…»
Mishte trasalì.
Truppe della Federazione sono già sul suolo sacro di Faras… Eretici! Idea inconcepibile!
Respirò e pensò. Le sue lunghe pause ingannavano gli interlocutori, facendo pensare ad una difficoltà di mettere assieme rapidamente dei pensieri.
Invece era esattamente il contrario: Mishte Heryani in quei momenti di silenzio elaborava ogni mossa e le possibili variabili per lunghi tratti temporali, intrecciando e dipanando le ramificazioni delle conseguenze.
Possono andare e venire dallo spazio come vogliono. Se volessero distruggerci o invaderci lo avrebbero già fatto. Il Terrestre ha fatto atterrare solo un piccolo contingente, per portare via Tara se avesse accettato l’evacuazione. Le domande su come abbiano fatto sono irrilevanti. Rilevante è, invece, la loro forza. Perchè sono qui per appoggiare la dissidenza grazie alla presenza di Awa. Come conciliare l’appoggio della Federazione con la violazione del nostro pianeta è un particolare di non secondaria importanza, ma la cui discussione deve essere posposta. Ora l’importante è sopravvivere. E i Terrestri possono aiutarci. Accetterò il loro aiuto. Per ora…
«Accetterò il vostro aiuto. Ma lei si consulterà sempre con me prima di prendere una decisione» disse infine l’Enneya.
«Ma la decisione finale tattica finale è mia. Una volta in salvo lei riassumerà il pieno controllo dei suoi uomini. Ma solo in quel momento.»
Mishte Heryani annuì.
«Sfrutteremo quel dispositivo. E vi porteremo a casa. E vi aiuteremo ad organizzare la resistenza. Perchè quello che è toccato ai Ruhoyani toccherà prima o poi a voi» aggiunse Reid-Daly.
Per la prima volta la nobile Farasiana esitò.
C’erano delle implicazioni a lunga scadenza nelle parole del Terrestre. Una delle quali era la cessione, parziale o totale, della sua sovranità agli stranieri.
Il Fuco in meditazione parlò, e la cosa fu talmente inaspettata sia per Harta che per il Terrestre da farli sobbalzare, sebbene il tono della voce del Farasiano fosse morbido.
«Ascolta il Terrestre, mia cara. L’orgoglio non ha mai portato buoni consigli. È il momento di essere cedevoli e sfuggenti come acqua tra le dita.»
Il Fuco si alzò e, suscitando la sorpresa di tutti (Menashine si lasciò sfuggire un per gli Dei, ma come osano?…) abbracciò l’Enneya e lei ricambiò affettuosamente.
Harta rimase a bocca aperta.
«Lui è… Lui è…» balbettò. Non riuscì a pronunciare la parola.
«Sì. Hamd è il mio bandar, un marito segreto» disse Mishte.
Reid-Daly non si capacitò delle reazioni dei Farasiani al gesto. Quella cosa non c’era in nessuno dei rapporti di intelligence che aveva letto prima della missione.
«Mi piacerebbe tanto sapere di più sui bandar, ma un’altra volta… dobbiamo muoverci» mormorò teso l’ufficiale dei Marines.
«E cosa faremo dopo che saremo scappati da Minia’t? Saremo dei fuggiaschi? Una Casata clandestina per sempre?» domandò Mishte.
Hamd la guardò, pieno di devozione.
«Per ora. Sopravviveremo. In attesa che l’acqua si fermi e serva per temprare l’acciaio.»
L’Enneya annuì.
Aprì il comunicatore e chiamò il comandante della sua Guardia del corpo.
«Colonnello Warani, metta in allarme il personale militare e civile. Ce ne andiamo. Mandi due messaggeri alla Casa di Rappresentanza con un messaggio firmato di mio pugno per Frina Tinyani. Rimanga in attesa un attimo…»
L’Enneya si rivolse verso Reid-Daly.
«Quanto tempo abbiamo?»
«In quanto tempo pensa di poter avere la sua gente pronta ad uscire?»
«Un paio di ore, se non portiamo dietro niente.»
«Gliene do una sola. Avverto i miei.»
«Colonnello Warani, è ancora li?»
«Sì, mia signora.»
«Ha un’ora di tempo per essere pronto a mettersi in marcia. Il punto di raduno con i Tinyani è il Parco del Mizargar. Non ci devono essere ritardi.»
«Non ce ne saranno, Enneya.»

Tara Ruhoyani era in uniforme da ufficiale della Guardia, indossava un vest corazzato e stringeva una pistola nella mano destra ma l’arma era desolatamente puntata verso il basso.
La stanza che una volta era stata il suo rifugio era in uno stato pietoso e le pareti erano segnate da numerosi buchi di pallottole.
Incurante degli altri soldati Motani che le puntavano le loro armi addosso,
aveva lo sguardo scintillante e fiero incrociato con quello sprezzante di Udara Hannani.
«Udara… ti sei messa a rubare le uniformi dei Motani per sentirti più importante?» chiese sorridendo debolmente.
Sto per morire. Ma ti porterò con me.
Udara scosse la testa.
«Tara… Tara… Tara… credevi veramente di poter sfidare il Matriarcato ed uscirne viva?»
«Non sono così stupida. Ma credevo che il Protocollo d’Onore rendesse solo me il bersaglio. Invece avete tentato di distruggere la mia intera Casata. E vi siete dimenticati che mia figlia Awa è ancora viva. Uccidete me e l’Enneya diventerà lei.»
Ci fu una risata cattiva.
«Scusa… non è carino ridere prima di uccidere qualcuno» disse Udara coprendosi la bocca con un gesto plateale.
«Non posso credere che non hai notato che indosso un’uniforme Motani. E nemmeno questo sarebbe consentito dal Protocollo d’Onore. Ma c’è un motivo… ed è la cosa più spassosa di tutta la faccenda!»
«I Protocolli d’Onore sono per le Amazzoni. Servivano a differenziarci, anche in guerra, dai maschi. E tu li hai traditi. Non credi che la cosa ti creerà problemi? Cosa ti fa ridere tanto, Udara? Il fatto che se si venisse a sapere, tu e Tishi verreste frustate davanti a tutti e perdereste il vostro status di Amazzoni?»
Udara si mosse ed uno dei soldati Motani si spostò accanto a lei, dandole copertura in caso l’Enneya avesse alzato la pistola e tentato di uccidere il suo comandante.
L’ufficiale Motani fece alcuni passi con studiata lentezza, poi si sedette su un divanetto, miracolosamente illeso.
«E chi lo dirà in giro, Tara? In tutto il Palazzo non c’è rimasto un Ruhoyani vivo. Il problema è che non ti sei fatta la domanda giusta: perchè io sono in una uniforme che non è quella della mia Casata? E la risposta è: che non è rimasto vivo nessuno nemmeno nel tuo regno…»
«Avete…» sibilò la Ruhoyani.
«Sì! Tutte le divisioni della Casata Motani, tranne una, hanno attaccato il cuore del tuo regno. Le tue milizie non ci sono più. I campi attorno alla tua capitale sono in fiamme, il tuo popolo è disperso ai quattro venti ed anche il tuo Palazzo natale brucia. Come brucerà questo quando avrò finito con te. Awa potrà anche diventare una Enneya. Ma erediterà solo morte e distruzione. Non sarà mai in grado di reclamare nulla. Non solo perchè non ne avrà più la forza, ma perchè non avrà più nulla da chiedere indietro. Per questo Tishi ha utilizzato truppe e ufficiali Hannani, dei suoi non ce ne sono più disponibili. Ma tutti dovranno credere che è stata la mano della Reggente a punirti.»
«Immagino che Tishi abbia promesso una parte dei miei territori…»
«Mia madre ne voleva la metà. Si è accordata per un terzo. È stata una ricompensa generosa comunque, devo ammetterlo.»
«E così l’estensione delle terre degli Hannani diventerà superiore alla mia… da una Casata piccola e chiassosa siete cresciuti. E puntate a rimpiazzare anche i Motani…»
Tara ebbe un lampo nella mente. E vide chiaramente quello che stava per succedere.
Awa sperava che io accettassi l’evacuazione. Ma non ci contava sul serio. Conosce sua madre. Ed ha preparato il piano di riserva se io non fossi fuggita. Quel soldato Terrestre… anche quello è un messaggio. Mia figlia ha l’appoggio dell’intera Federazione. I Terrestri vogliono porre fine al Matriarcato. Ed appoggeranno Awa per metterla a capo di tutto.
Si sentì una pedina in un gioco più grande. Freccia, arco ed arciere ad un tempo. Non poteva evitare quello che sarebbe successo. Ma era il come sarebbe accaduto che avrebbe fatto la differenza.
Guardò intensamente Udara e, lentamente, aprì le dita della mano destra.
La pistola cadde sul pavimento con un tonfo sgradevole.
«Venite a prendere Faras. E ridate a mia figlia il suo posto tra la sua gente» mormorò come se fosse in preda ad una visione.
Udara la guardò con il disprezzo riservato a chi perde la ragione. Poi capì un’istante troppo tardi, quando Tara le si slanciò contro infilando una mano all’interno del vest corazzato.
Non riuscì a muoversi in tempo, ma vide un’ombra pararsi davanti a lei prima che l’esplosione la scaraventasse a terra.
Restò sorda per alcuni secondi, poi riacquistò parzialmente l’udito e vide che uno dei Fuchi cercava di metterla in piedi.
«Lasciami! Lasciami maiale!» urlò la Farasiana.
Divincolò con un gesto sgarbato il braccio dalla presa del soldato che la stava aiutando.
«Io volevo solo…» balbettò il caporale.
«Toccami di nuovo senza che io te l’abbia ordinato e ti uccido. Mi hai capito?» ringhiò lei.
«Sì, colonnello…» ed immediatamente si allontanò a rispettosa distanza.
Osservò la scena e invece di provare raccapriccio e disgusto fu invasa da un furore quasi incontrollabile.
Parte del busto, dal seno in su, e la testa di Tara Ruhoyani giacevano ad una estremità della stanza, contro una parete. Il busto non aveva più le braccia.
Il bacino e le gambe erano dalla parte opposta.
Mancava tutto l’addome, che era sparso per la stanza assieme ai pezzi di un caporale, di cui ricordava vagamente il nome.
«Maledetta… si è fatta saltare per aria nel tentativo di uccidermi!»
Si guardò attorno. I soldati, stupiti e inorriditi, si erano trasformati in statue titubanti.
«Che aspettate? Raccogliete i pezzi del caporale Amar e dell’Enneya Ruhoyani! Muovetevi!»
«Cosa ne facciamo dei pezzi di Amar?» chiese un sergente.
«Non mi interessa. Radunate quelli di Tara Ruhoyani e componeteli in una bara degna di questo nome. Anche se nemica, era sempre una Enneya.»
Udara non trovò nulla di meglio da fare che uscire dalla stanza della carneficina. Sentiva il bisogno di aria fresca. Non si avvide degli sguardi stupiti ed arrabbiati dei Fuchi in uniforme. Incontrò il suo vice-comandante, il maggiore Edarya Merani.
«Edarya…»
L’ufficiale la guardò in modo strano, come se si stesse trattenendo dal dirle qualcosa.
«Comandi, colonnello…»
«Non appena nella stanza dell’Enneya i nostri hanno finito, fai piazzare delle granate incendiarie e dai fuoco a questo covo di dissidenti.»
«Ma, signora… i corpi…»
«Non c’è bisogno di portarli via.»
«Stiamo ancora cercando di identificare tra i caduti il corpo del colonnello Gaia Korrani… »
Udara si voltò con una espressione così adirata che l’altro ufficiale non trovò opportuno insistere.
«Sì, signora. Faccio eseguire subito l’ordine.»
«In caso di necessità mi troverai dalla Reggente. Ho bisogno di darmi una ripulita. E fai portare i resti dell’Enneya al Palazzo Matriarcale nella massima discrezione.»
«Sarà fatto.»
Udara uscì all’aperto. Il giardino era pieno di soldati che uscivano ed entravano dal palazzo. Passò in mezzo al loro non rispondendo a nessuno dei saluti che le venivano tributati in quanto ufficiale comandante.
Aveva una strana e sgradevole sensazione. Un pensiero sconosciuto la opprimeva senza riuscire a manifestarsi compiutamente. Sapeva solo che l’ultimo gesto di Tara Ruhoyani aveva generato un cambiamento, ma non avrebbe saputo dire con precisione in cosa consistesse.
Tutto quello che riuscì a pensare, prima di infilarsi nel veicolo di servizio che l’avrebbe portata al Palazzo del Matriarcato, fu non era così che doveva andare.

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