domenica 16 dicembre 2018

ANTEPRIMA: SPACEBORNE MARINES - FARAS - CAPITOLO 6





CAPITOLO 6

Fuga da Minia’t


Dal suo nascondiglio Gaia Korrani vide con orrore che i soldati Motani avevano cominciato a gettare granate incendiarie nelle stanze.
Si guardo rapidamente attorno. E prese una decisione dettata dalla disperazione.
Si mosse cautamente si disfece del vest corazzato, del fucile e della pistola, nascondendoli sotto il letto. Poi, vincendo la repulsione, si avvicinò al gruppo di cadaveri che giacevano nel mezzo della camera e ne sollevò di lato uno. Ebbe un sussulto, perchè anche nella penombra riconobbe a chi apparteneva: una cameriera addetta alle stanze personali dell’Enneya.
Chiuse gli occhi, si sdraiò nel viscidume provocato dal sangue e lasciò che il corpo le ricadesse addosso.
 Rimase immobile ma con le orecchie ben tese.
Il tramestio si fece sempre più vicino, come pure le detonazioni soffocate delle granate. Quando la porta si aprì all’improvviso respirò profondamente e trattenne il fiato.
«Mi ricordavo due cadaveri per ogni stanza!» disse una delle voci in Farasiano.
«Con il casino che abbiamo fatto ti ricorderai male… muoviti! Dai fuoco a questo merdaio e andiamocene!» disse una imperiosa voce femminile.
I passi si avvicinarono e gli stivaletti di qualcuno la sfiorarono.
Il soldato gettò la granata sotto al letto.
«Granata incendiaria! Fuori!» urlo la voce maschile. La porta fu chiusa con violenza.
Gaia non si mosse, espirando lentamente. Poi udì il pop soffocato della granate ed un bagliore accecante riempì la stanza. Il letto cominciò immediatamente a prendere fuoco.
Il mio equipaggiamento! Le mie armi!
Si tolse faticosamente il cadavere di dosso e si mise in piedi. La stanza era illuminata. Dovette ritrarsi in un angolo: il calore cominciava ad essere intollerabile.
Le munizioni e le granate nel mio vest. Tra poco esploderanno. Devo andarmene via da qui. Sono disarmata!
Guardò le lenzuola e il materasso del letto che cominciavano a sfaldarsi tra le fiamme. Recuperare qualcosa era impossibile. Tese l’orecchio: non udì passi. Decise di rischiare.
Aprì la porta: calore e volute di fumo entrarono nella stanza, facendole mancare il fiato. Una delle porte gemette. Oltre un mostro di fuoco stava divorando l’interno. Il lezzo di carne umanoide bruciata ammorbava l’aria rovente.
Devono aver cominciato dall’alto, ed hanno proceduto mano a mano che scendevano per lasciare il Palazzo.
Imboccò le scale e cominciò a scendere.
Una voluta di fumo denso le tolse il fiato e la fece tossire. Scese più velocemente, sperando che in quell’inferno non ci fosse nessuno in grado di udirla.
Nel grande pianerottolo che portava al piano terra il calore diminuì, ma il ruggito delle fiamme le fece capire che la sua strada era terminata. Il fumo le fece lacrimare gli occhi e l’accecò.
Urlò di rabbia, e rimpianse di non essersi gettata contro Udara Hannani e di essere morta in quel modo glorioso.
Si mise in ginocchio, ed il fumo diminuì, restituendole parzialmente la vista e lasciandola boccheggiante con i polmoni pieni di fumo.
Si sentì afferrare improvvisamente ed una mano dalle dita forti le tappò la bocca.
Tentò di ribellarsi, ma era priva di forze.
«Stia ferma, colonnello! E non opponga resistenza! Non ho voglia di morire arrostito assieme a lei!» disse una voce maschile in Farasiano.
Non riuscì a divincolarsi, mentre la mano sulla bocca le tolse anche l’ultima illusione di respiro. Soffocava. Cominciò a girarle la testa.
Il maschio la trascinò in un disimpegno e la addossò seduta atterra contro una parete. Poi finalmente il volto di chi l’aveva afferrata e portata via da quell’inferno le si parò innanzi.
«Stia ferma qui e recuperi forze. Chiudo la porta. Mi ha capito?»
Gaia annuì mentre tossiva espellendo fumo e rabbia. Poi si chinò da un lato e vomitò acqua.
Udì uno scatto secco e il disimpegno cadde nell’oscurità.
«Cap… caporale Tyrani… lei è… vivo!»
Il Farasiano rise. Era nero in volto per la fuliggine.
«Sembra che la cosa le dispiaccia, colonnello.»
«Non dica… scemenze… »
La Korrani ebbe una esitazione.
«Grazie per avermi soccorsa. Come ha fatto a sopravvivere?»
«Li abbiamo fermati per un bel po’. Ma poi le munizioni sono finite. Ed allora mi sono finto morto.»
L’ufficiale Ruhoyani annuì.
«Ho fatto la stessa cosa di sopra.»
«L’Enneya è morta. E noi se non vogliamo fare la stessa fine dobbiamo muoverci.»
«Non c’è modo di uscire. Possiamo solo sperare di trovare un modo di suicidarci onorevolmente.»
Tyrani agitò un fucile davanti al viso del suo comandante.
«Ho ancora questo ed un caricatore pieno a metà. Non si preoccupi: ho cartucce per me e per lei, se vuole. Ma un modo per uscire forse c’è.»
«Non dica eresie. Sorvegliano tutte le uscite del Palazzo. Possiamo solo scegliere se morire soffocati dal fumo, bruciati dalle fiamme o sfidare la sorte e farci uccidere dalle pallottole della Casata Motani non appena mettiamo il naso fuori.»
Tyrani scosse la testa.
«Lei può scegliere se morire qui o provare a salvare il suo culo di ufficiale…»
«Come… si permette! Si ricordi chi sono io!»
Il caporale si abbassò e le rise in faccia.
«Tu sei una femmina ed io un maschio. E la morte ci rende uguali, Gaia Korrani. Io provo a salvarmi. Tu prova a seguirmi.»
Cominciò a scendere le scale dopo il disimpegno.
Gaia Korrani ricordò dove portavano: nei sotterranei del Palazzo: dove erano i magazzini, le vecchie cucine e gli appartamenti della servitù di basso rango. Tranne i magazzini, la Casata non usava più gli altri ambienti da anni ed erano in stato di abbandono.
«Tyrani!»
L’altro si voltò e la guardò.
«Viene con me, allora?»
«Ho scelta?» disse l’ufficiale rizzandosi in piedi. Riusciva a respirare e stava recuperando rapidamente forze.
«Temo di no, colonnello.»
Il caporale si voltò e continuò a scendere. Korrani lo seguì. Si udirono dei rumori terribili sopra di loro. Il Palazzo cominciava a crollare.
«Dove andiamo?»
«Lo vedrà.»
Vagarono per le stanze, una per una. Ragnatele di animali sconosciuti riempivano gli angoli delle stanze abbandonate. Gli unici percorsi puliti, illuminati fievolmente da strisce a fluorescenza, erano quelli che portavano ai depositi, stranamente lasciati intatti dalle truppe della Casata Motani.
La Korrani fece per dirigersi da quella parte.
«Direzione sbagliata. Verso le cucine.» disse Tyrani.
«Non c’è niente lì!»
Il Farasiano non le rispose e si inoltrò nell’oscurità.
Poi improvvisamente accese una minuscola torcia e il cono di luce rivelò possenti fondamenta in pietra.
Entrarono nelle vecchie cucine. Le sagome dei forni e i tavoli suscitarono in entrambi, per motivi diversi, emozioni di inquietudine e timore.
Uscirono da una porta laterale della cucina e il caporale cominciò a guardarsi attorno febbrilmente.
«Di qua» disse improvvisamente.
Un corridoio largo come una persona si dipartiva dall’anti-cucina e si inoltrava per diversi metri.
Gaia Korrani aveva recuperato il senso dell’orientamento e seppe che il corridoio si dirigeva sotto al giardino del Palazzo, verso l’esterno.
Conosceva a memoria la mappa dell’edificio e l’aveva accuratamente ispezionato, negli anni, più volte: non c’erano passaggi segreti. Cosa sperava di trovare quel Fuco irriverente?
Il corridoio terminò bruscamente con una porta di acciaio.
«Ci siamo…»
«Ci siamo cosa? Oltre questa porta c'è una stanza senza uscita.»
«Non esattamente. Stia indietro ora…» disse Reva Tyrani.
Puntò il fucile contro la serratura. Gaia fece appena a tempo a turarsi le orecchie, e nonostante tutto la detonazione le fece dolere i timpani.
«Fatto…» disse il caporale dando un calcio formidabile alla porta spalancandola.
La stanza era nuda e senza finestre.
«Te lo avevo detto. Non c’è uscita» disse la Farasiana.
«Ti sbagli. Da qui sono usciti in molti. Ma non da vivi.»
La Korrani trasalì.
«Che intendi dire?»
«Bundar-amyez…» mormorò sogghignando Tyrani.
Il colonnello Ruhoyani capì immediatamente.
Le due parole erano la corruzione dell’espressione bandar-amiz, che in Farasiano indicavano il matrimonio segreto, cioè quando una Amazzone sceglieva un Fuco con cui accoppiarsi per sempre.
Il bundar-amyez era un uso crudele del Matriarcato di Faras: l’uccisione del proprio amante da parte di una Amazzone dopo che questi l’aveva soddisfatta sessualmente. Ci si liberava del corpo dello sfortunato nei modi più vari, a seconda della ricchezza e dello stato sociale. Tra le classi più povere non era raro il caso che l’Amazzone smembrasse il cadavere e poi buttasse i pezzi in un grande fiume o li seppellisse. Tra i nobili, invece, c’era una sorta di ipocrita pudore, per cui il corpo veniva fatto scomparire ad opera di servi fidati. A volte nemmeno la nobile sapeva come questo avvenisse, ma il bundar-amyez era un uso ben noto a tutto su Faras: femmine e maschi.
La luce della torcia del caporale Tyrani sciabolò rapida nella stanza fino a che non si bloccò su un punto del pavimento.
Si udì un frastuono terribile all’altra estremità del corridoio, da dove erano arrivati.
«Non abbiamo molto tempo. Dammi una mano, colonnello…»
Sollevarono con sforzo un pesante coperchio in metallo.
Il Farasiano gettò il cono di luce all’interno: uno stretto condotto che finiva in una specie di fiumiciattolo dalle acque nere e maleodoranti.
«Tanti di noi sono finiti qui, dopo avervi dato piacere. Ora lo useremo per fuggire. Non è curioso? Un luogo di morte per riguadagnare la vita» mormorò.
L’ufficiale rabbrividì.
I Ruhoyani non praticano il bundar-amyez da decenni. È solo una pratica inutile e crudele. Questo passaggio è in disuso da molto tempo.
Per il Fuco era il simbolo di qualcosa che lo opprimeva, causandogli rabbia e sofferenza.
«Non c’è scelta. Vado avanti io.»
«No. Non sapresti dove andare. E sono io quello armato.»
«Sono il tuo ufficiale superiore, Tyrani. È mio dovere guidarti e proteggerti…»
«In genere è il contrario: siamo noi maschi a proteggervi e voi a frustarci nella schiena per farci andare avanti al posto vostro.»
«Non essere impertinente. Non è il momento.»
Le porse il fucile.
«Vai avanti grande comandante. Ma non chiedermi niente al primo bivio…»
La Korrani prese in mano l’arma e si sentì rassicurata.
«Dove porta?»
«Se siamo fortunati, e imbocchiamo tutti gli svincoli giusti, al Mizargar, sei o sette chilometri da qui.»
«Io vado avanti. E tu mi dirai dove andare. Se mi colpiscono, tu prendi il fucile e vai avanti. C’è una cosa che devi assolutamente sapere, però. E se ci sarà l’opportunità di vedere la principessa Awa, gliela devi riferire.»
«Perchè dovrei farlo?»
«Perchè è importante. E screditerebbe i Motani per sempre. E non solo loro. Se tu sai quello che so io, raddoppiamo le possibilità che il messaggio giunga alle orecchie giuste.»
«Il fatto di screditare i Motani mi piace molto, colonnello. Sono dei bastardi che devono pagare per quello che hanno fatto.»
Normalmente lo punirei per aver parlato in quel modo della Casata della Matriarca. Ma non dopo questa notte.
«Chi ci ha attaccato indossava l’uniforme dei Motani. Ma non erano loro.»
«Cosa? Ma… ma è un reato gravissimo! Chi ha infranto i Protocolli d’Onore?»
«Udara Hannani. Era lei a capo di chi stanotte ci ha sterminati. L’ho vista io entrare nella stanza dell’Enneya prima che venisse uccisa. Ed era in uniforme da colonnello della Casata Motani.»
Ci fu un breve momento di silenzio, interrotto dai rumori dei crolli e il crepitio dell’incendio sulle loro teste.
«Io ti giuro, Gaia Korrani, che semmai incontrerò la principessa Awa riferirò quanto mi hai detto. Ma sappi che non lo farò né per te, né tanto meno per il Matriarcato. Ma per Tara Ruhoyani, una Amazzone generosa e gentile. E per tutti i miei commilitoni, maschi e femmine, massacrati questa notte. E per i bambini… per tutti gli innocenti. Ora scendi ed avviamoci.»
Non era molto profondo: il doppio dell’altezza di una persona. Korrani andò per prima. Si calò tenendosi con le mani al bordo e poi si lasciò andare. L’acqua  lurida le arrivava alle ginocchia.
Poi fu la volta di Reva Tyrani. Cominciarono ad incamminarsi nel budello dove l’aria era invasa da miasmi putridi.
«Una volta usciti da qui dovremo fare in modo di raggiungere il Palazzo della Casata» disse Gaia Korrani.
«Non so se sia una buona idea. Dovremo essere molto cauti.»
«Naturalmente. E ci metteremo settimane se non riusciamo a procurarci un mezzo adatto.»
«Il tempo che ci vorrà. Del resto, colonnello, ci credono morti. Nessuno da la caccia a dei morti.»
La Korrani si fermò per un istante, senza smettere di puntare il fucile d’assalto in avanti, e  guardò il volto appena visibile del Fuco.
«Sei saggio per essere un maschio.»
«Grazie colonnello. E lei non è la solita Amazzone arrogante e ottusa.»
«Ora dammi le indicazioni giuste. Li c’è un bivio. Destra o sinistra?»
«Destra. Ho imparato a memoria la mappa della Minia’t sotterranea tanto tempo fa.»
«Perchè?»
«È una lunga storia noiosa. Se sopravviveremo a questa notte e la vorrà sentire la racconterò.»

Il convoglio era composto da due sezioni: un’avanguardia, composta da un veicolo ruotato (Faras non aveva alcuna tecnologia antigravità…) dove viaggiavano i Marines della MSOC, il maggiore Reid Daly e Harta Yrnani, il Farasiano. E il convoglio principale, composto da una trentina veicoli più grandi e leggermente corazzati, dove viaggiavano l’intero Corpo di Guardia delle Casate Heryani e Tinyani,  i loro servitori, e naturalmente le due Enneya con i familiari.
Il sergente maggiore Midi Teryx, un dariano veterano della MSOC, aveva gli occhi senza bianco incollati sul suo tablet di servizio. Improvvisamente si rivolse al suo comandante.
«Maggiore, faccia fermare il convoglio subito. Più avanti hanno organizzato un comitato d’accoglienza.»
Reid-Daly si rivolse ad Harta, mentre il grosso veicolo corazzato rallentava di colpo fino a fermarsi.
«Fai fermare il resto del convoglio!»
«Subito.»
Lo sentì parlare rapidamente in farasiano.
«L’Enneya Tinyani vuole sapere perchè.»
«Digli che stiamo analizzando la situazione. E di stare all’erta.  Non siamo più soli» rispose Reid-Daly.
Poi l’ufficiale dei Marines si mise accanto a Teryx ad osservare il tablet.
«Sono dati che ci vengono da Guardone, signore. Qualcuno deve aver segnalato il convoglio ed hanno piazzato un battaglione di fanteria all’uscita della città, prima di questo ponte. Hanno una batteria di artiglieria e un paio di blindati armati di cannone a tiro rapido. È sufficiente per bucare le corazze di tutti i nostri blindati.»
«Ma noi sappiamo dove sono piazzati.»
Intervenne il farasiano.
«Dan, ora è l’Enneya Heryani a chiedere perchè ci siamo fermati.»
Gesù Cristo, è come avere a che fare con dei bambini viziati.
«Passami il microfono. E metti la frequenza comune.»
Il Farasiano eseguì.
«Qui Messenger One. L’uscita dalla città è bloccata. Stiamo vedendo come risolvere il problema.»
«Maggiore Reid-Daly…» iniziò Mishte Heryani.
Daniel Reid-Daly si trattenne dall’ordinare di tagliare la comunicazione.
Arrogante idiota. Mi chiama con il mio nome invece che con i nomi in codice che le avevo detto di usare. Ora mezza Minia’t saprà che ci sono alieni in città.
«… Desidero essere informata di ogni iniziativa. Non mi piace seguire qualcuno passivamente. Ne va della nostra vita, in fondo…»
L’ufficiale dei Marines ci pensò un secondo. Poi decise che la faccenda dei codici ormai era sorpassata. Se i Farasiani avevano un centro d’ascolto minimamente decente avevano registrato tutto e sapevano già.
«Enneya, le avevo detto di usare il nome in codice. Lei non è mai stata realmente in operazioni. Ora le dico come stanno le cose e la prego di starmi a sentire bene, anche se sono un maschio. Ho i mezzi e il modo di toglierci da questo impiccio. Mi ha capito?»
«Si, maggiore ma…»
«Perfetto» la interruppe Reid-Daly senza curarsi del grado nobiliare della sua interlocutrice e proseguì.
«Le risorse sono della Federazione e sono sotto il mio comando. Lei e i suoi potete fare due cose: rendermela difficile, ed allora le cose si metteranno male per tutti. In quel caso vi abbandono lì dove siete e farete la stessa fine della povera Tara Ruhoyani. Oppure rendermela facile. Ed in quel caso ce ne andiamo di qui sani e salvi e riducendo di qualche centinaio di unità le forze Motani. Ha capito di nuovo quello che le ho detto?»
Ci fu un momento di silenzio.
«Che significa renderla facile per lei, maggiore?»
«Significa che io comando e lei ed i suoi eseguite senza discutere. Le do dieci secondi. Poi io e i miei ripartiamo e ve la caverete da soli come meglio crederete.»
«Non mi dirà che una dozzina di Marines, maggiore, possono forzare un blocco armato di truppe Motani?» rispose in tono beffardo Mishte.
La Federazione non ha bisogno di te per sopravvivere, Heryani. Tu invece hai bisogno della Federazione se vuoi avere una possibilità.
«Come ho detto qualche ora fa, non sono venuto da solo.»
Seguirono una dozzina di secondi di silenzio assoluto.
«Andiamocene… questi stronzi non meritano il nostro aiuto» ringhiò il caporale Hans Dorfmann, un nuovo acquisto della MSOC alla sua prima operazione.
«Calmo, caporale…» rispose Reid-Daly ostentando sicurezza.
«Maggiore… sono Mishte Heryani. Le ordino di proseguire la sua azione. Le affido le truppe della mia guardia.»
Ci fu una risata soffocata e generale all’interno del mezzo. Harta era quello che rideva più di tutti.
«Lei ordina a noi… ma chi cazzo si credono di essere queste Enneye per dare ordini a dei Marines?» mormorò Taczak.
«Non possono perdere la faccia. Ma in realtà ha fatto quello che volevo» rispose Reid-Daly. Aprì la radio.
«Enneya, vi tireremo fuori da qui. Abbia fiducia.»
Harta e il maggiore si guardarono negli occhi e il Farasiano annuì.
«Ora lei e l’Enneya Tinyani mandate i vostri comandanti con due ufficiali fidati qui da me. Ed in fretta. Non abbiamo tempo.»
«Va bene. Ma questa cosa del non abbiamo tempo sta diventando un ossessione…» rispose l’Enneya Heryani.

Il colonnello Ayda Warani ascoltò con attenzione l’ufficiale dei Marines mentre esponeva gli ultimi dettagli del piano. Si sorprese a pensare che per essere un eretico ed un maschio terrestre, in fatto di tattica sapeva il fatto suo.
L’altro colonnello, Merah Syniani, della Casata Tinyani, invece faceva domande e sembrava non risentire del fatto che un inferiore di grado e per di più maschio, avesse la direzione dell’intera operazione.
«Non mi va di sguarnire totalmente la scorta della mia Enneya» ripetè la Syniani.
«Ha ragione colonnello. Ma ho bisogno di tutto il fuoco possibile, anche se è una diversione. Che ne dice di lasciare indietro solo una squadra?» ribatté in maniera diplomatica Reid-Daly.
«Un po’ poco…»
«Ma meglio di niente.»
«E lei dice che potete fornire tutto il fuoco necessario? A guardia di quel ponte ci sono, secondo le vostre stime, seicento uomini dotati di tutto. Noi siamo appena duecentocinquanta.»
«Ma lei non ha calcolato che avete i Marines dalla vostra.»
«Siete dodici! Come potete fare la differenza in dodici?»
«Siamo Marines. Noi e faremo la differenza. È d’accordo sul resto?»
Syniani annuì.
«Il mio gruppo aggira questo isolato ed attacca l’ala sinistra dello schieramento a guardia del ponte. Il gruppo del colonnello Warani fa la stessa cosa sull’ala destra. Voi… attaccate al centro. Ed è questo che non capisco. Siete in dodici! Sfonderanno dalla vostra parte e ci aggireranno!»
«Tutto quello che vi chiedo è di tenerli impegnati per meno di dieci minuti. Poi saremo in condizione di passare con il convoglio. Al segnale, vi ritirate verso il convoglio, che nel frattempo sarà arrivato al centro dello schieramento, e salite a bordo. E passate il ponte a tutta velocità. Chiaro?»
La Farasiana annuì, anche se era visibilmente dubbiosa.
«Chiaro.»
Reid Daly si rivolse al comandante della guardia Heryani.
«Chiaro anche a lei, colonnello Warani?»
«Chiarissimo. O siete dei pazzi, oppure c’è qualcosa che voi sapete e che noi ignoriamo. Il piano è folle.»
Reid-Daly sorrise.
C’è dell’inconsapevole stima nelle parole di questa Farasiana. E sana curiosità. Ha quasi capito tutto.
«Noi siamo un po’ folli. Ma è lucida follia. Si fidi. Si va in scena tra dieci minuti esatti. Prendete posizione in silenzio. Se vi fate beccare ora sarà tutto inutile» rispose l’ufficiale dei Marines ammiccando.

La lunga fila di soldati Heryani, con alla guida il colonnello Warani, si mosse silenziosa lungo la strada, dopo aver aggirato tre isolati alla destra del lungo viale che portava al ponte. Un caporale, in testa alla colonna, alzò un pugno. In perfetto silenzio, tutti i soldati si bloccarono. Warani udì nel suo auricolare la voce dell’uomo in avanscoperta.
«Colonnello… hanno un cannone puntato dalla nostra parte. E hanno messo degli sbarramenti e dei ripari mobili. Circa un centinaio di uomini.»
«Rimanete in attesa. A tutti gli altri… prendete lentamente posizione per l’assalto. Ricordate… non spingetelo a fondo. È solo un diversivo. Nessuno si muova se non al mio segnale.»
Se il Terrestre si è sbagliato, sarà un massacro.

I Terrestri sono pazzi. Oppure sono pericolosi e mortali come narrava mia nonna.
Era questo il pensiero del colonnello Merah Syniani. Ma l’idea di essere lasciata lì, alla periferia di Minia’t, con un ponte presidiato che si frapponeva tra lei e la libertà era ancora meno attraente.
«Prendete posizione alle basi di partenza per l’assalto. Ricordate… è solo un diversivo. Volume di fuoco ma sfruttate ogni riparo. Aspettate il mio segnale.» sussurrò via radio.
Vide i suoi soldati disporsi. Nel buio allungò il braccio, indicando un asse immaginario dove allinearsi.
Se ci stanno inseguendo, ci troveremo circondati e senza scampo. Ora dobbiamo aspettare il via dai Terrestri.

Al riparo del blindato, proprio in fondo al viale che portava al ponte, circa ottocento metri più indietro, il maggiore Reid-Daly guardò il suo tablet di servizio. Annuì e poi prese la radio.
«Qui Messenger. Via! Via! Via!» mormorò.

«Via!» ringhiò via radio il colonnello Warani. I soldati schizzarono correndo fuori dai ripari ed attraversarono la strada. Erano a circa trecento metri dalla postazione a destra del ponte.
Un cannone aprì il fuoco e la granata sbriciolò l’angolo di un palazzo cinquecento metri più indietro.
I soldati Heryani aprirono il fuoco. Warani potè sentire le pallottole impattare sulle barriere delle postazioni nemiche e rimbalzare disordinatamente in aria con un ronzio minaccioso.
Anche le armi leggere dei soldati Motani aprirono il fuoco ad altezza d’uomo.
Al colonnello Warani venne istintivo urlare.
«A terra! A terra!»
I suoi soldati istintivamente avevano già eseguito, ma una mezza dozzina non avevano fatto in tempo, e giacevano a terra feriti o morti.
Uno dei Fuchi, un caporale, tentò di prendere uno dei feriti per il vest corazzato per portarlo al coperto. Il fuoco dallo sbarramento del ponte si concentrò su di lui.
«No! No! Lascialo stare!» urlò Ayda Warani.
Il caporale non la udì o non le diede retta. Afferrò il maniglione del vest e cominciò una trazione formidabile.
«Fate fuoco per coprirlo!» ordinò la Farasiana a chi le era attorno.
Una giovane tenente la guardò stupita.
«È solo un maschio colonnello!»
«Imbecille! Fai fuoco di copertura!» ruggì Warani. Poi si sporse essa stessa dall’angolo dell’isolato e cominciò a fare fuoco contro gli sbarramenti Motani, verso il punto da cui stavano prendendo di mira il suo graduato.
Il caporale lasciò la presa improvvisamente, cadde sulle ginocchia e poi, lentamente, sia accasciò in avanti, colpendo con il viso il terreno.
«Per gli Dei… per quanto ancora possiamo andare avanti?»
Un cannone fece fuoco ed una granata sventrò un edificio dietro di lei, uccidendo due suoi soldati.

L’assalto dall’ala sinistra era progredito per una dozzina di metri.
Poi i primi soldati Tinyani erano stati inesorabilmente falciati e quelli che erano sopravvissuti si erano aggrappati al più piccolo riparo.
Il cannone Motani aveva sparato un paio di colpi, ma aveva desistito immediatamente, perchè un uragano di proiettili aveva colpito il pezzo e spazzato via i serventi. Uno dei blindati Motani si era mosso ed aveva cominciato a prendere di mira, con un cannone al plasma, le posizioni dei soldati del colonnello Syniani.
«Non mollate! Teneteli impegnati!» urlò.
Se non ci annientano prima loro.

Fu all’improvviso che il colonnello Warani, a destra del ponte, e il colonnello Syniani, all’ala sinistra, videro delle figure possenti spiccare un balzo dall’argine opposto del fiume e, letteralmente, volare descrivendo un ampio arco.
Erano una trentina, di forma antropomorfa e tutte armate.
Quando finirono il balzo, piombarono sull’estremità presidiata del ponte, proprio in mezzo allo schieramento nemico. E si scatenò l’inferno.
Al fuoco delle armi con propulsione chimica si unì il brontolio mortale di armi ad induzione e la detonazione cadenzata di granate da 40 millimetri.
I soldati Motani ebbero uno sbandamento, non capendo più da che parte arrivasse l’attacco. Chi era sul punto d’atterraggio delle strane figure venne spazzato via nel giro di pochi secondi.
Sul canale radio a disposizione dei due colonnelli farasiani risuonò una voce in inglese standard.
«Messenger One qui GroundForce One, stiamo aprendo il varco, dateci ancora cinque minuti…»
«Ottimo lavoro GroundForce. Aspetto il vostro segnale. Warani, Syniani, ritiratevi e radunatevi!» disse la voce del maggiore Reid-Daly.

Alcuni soldati Motani cominciarono a scavalcare gli sbarramenti.
Warani sbarrò gli occhi per la sorpresa.
Stanno scappando! Qualcuno gliele sta suonando di santa ragione a quei traditori!
Senza che nessuno lo ordinasse, i soldati Heryani intrappolati sotto il fuoco nemico fino a quel momento cominciarono a fare il tiro al bersaglio sui soldati in fuga, abbattendone parecchi. Era il furore della vendetta.
Il colonnello farasiano li richiamò all’ordine.
«Lasciateli andare! Copertura e ritiriamoci subito!»
Formò un gruppo di fuoco, che continuò a sparare, mentre il resto si incamminava al piccolo trotto verso il punto di raduno. Poi Warani diede l’ordine di rompere il contatto.

«Uccideteli! Uccideteli! E voi rompete il contatto!» urlò Merah Syniani.
Sparava essa stessa con una furia rinnovata, mentre i suoi soldati più avanzati si ritiravano alternandosi: metà sparava contro gli sbarramenti e i soldati Motani in fuga, l’altra metà correva verso il viale da cui erano provenuti. Quando i secondi si erano posizionati cinque o sei metri dietro, aprivano a loro volta il fuoco mentre i loro compagni si ritiravano.
Ci vollero due interi minuti, una eternità, prima che i sopravvissuti all’assalto fossero al riparo.
«Cosa facciamo colonnello?» domandò ansimante un caporale.
«Cosa vuoi fare? In colonna e di corsa al punto di raduno! Muoviti!» gli ringhiò in faccia l’ufficiale Tinyani.
Poi ordinò anche agli ultimi di lasciare le posizioni e cominciarono a correre verso il viale centrale.

Il maggiore Arwa Ferani sparò un’intera raffica con il suo fucile d’assalto contro la figura antropomorfa. Udì l’impatto delle pallottole ma nessun effetto visibile. L’essere non barcollò, non diede segno di cedimento alcuno.
Ed era stato così fin dal momento in cui quei cosi erano piombati in mezzo al suo schieramento, dividendolo in due. Non c’era stato niente a fare. Nemmeno usando le granate da 40 millimetri. Un paio erano stati colpiti ed erano andati a terra. Per rialzarsi un attimo dopo, raccogliere il fucile e ricominciare a combattere. Era stato quello il momento in cui i suoi soldati a presidio del ponte avevano ceduto a livello psicologico ed avevano cominciato scappare. Perchè il punto era quello, anche nella sua mente: come si fa a combattere contro un nemico che non poteva essere ucciso?
La figura si voltò e le puntò contro il fucile.
L’ufficiale Motani sparò di nuovo, ancora senza effetto alcuno.
E fu l’ultima cosa che vide, perchè la figura aprì il fuoco a sua volta, ferendola mortalmente.
Mentre era a terra, premendosi l’addome e sentendo la vita fuggire via, sentì avvicinarsi lo strano essere e sbarrò gli occhi per la sorpresa quando lo sentì parlare in una lingua che conosceva bene.
«Qui GroundForce One a Messenger. Varco aperto. Teniamo la posizione» disse una voce in Inglese standard.

«A bordo! Forza! Forza! Forza!» urlò Reid-Daly mentre gesticolava in mezzo al viale. I suoi Marines si infilarono nel veicolo blindato mentre altri ne stavano arrivando.
«Daniel! Mishte Heryani chiede cosa deve fare!» gridò Harta Yrnani.
«Quello che gli ho detto! Deve recarsi al punto che le ho indicato sulla carta. E poi abbandonare i mezzi ed imbarcarsi sulle navette! La condurremo al suo Palazzo della Casata. La stessa cosa per i Tinyani!» rispose sempre urlando il maggiore dei Marines, mentre il primo grosso mezzo corazzato gli passava accanto a tutta velocità.
«Daniel!»
«Cosa c’è ora? Cosa vuole quella donna impossibile?» urlò Reid-Daly.
«Mishte dice che gli dei benedicano quel Terrestre ostinato!» rispose il Farasiano ridendo.
Rise anche l’ufficiale terrestre, mentre continuava ad indicare ai mezzi che arrivavano di dirigersi verso il ponte.
Non appena fu passato l’ultimo, Harta fece un gesto che aveva imparato dai Terrestri durante la sua permanenza su Primus: braccio teso, pugno chiuso e pollice verso l’alto.
Reid Daly e il Farasiano balzarono a bordo del blindato e il tenente Taczak diede una pacca all’autista farasiano. Venti tonnellate di acciaio balistico balzarono in avanti.
«GroundForce One qui Messenger One, sto passando ora il ponte, Rompere il contatto e ritirarsi al punto di esfiltrazione!»
«Ricevuto Messenger One. Qui abbiamo finito.»

Tishi Motani osservò le colonne di fumo elevarsi in mezzo alla città di Minia’t la Splendente. Sarebbe stata un’altra alba stupenda, mentre la primavera avanzava su quell’emisfero di Faras.
Solo quelle colonne di fumo rigavano un cielo perfetto.
Udara Hannani entrò in quel momento, armata di tutto punto. Indossava l’uniforme da combattimento compresa di vest corazzato, ma non l’elmetto, che pendeva agganciato al fianco.
La Reggente non si voltò.
«Hai fatto come ti ho detto?»
«Sì, Tishi. Ora ardono anche le Case di Rappresentanza delle Casate Heryani e Tinyani. Quei traditori sono riusciti a scappare attraverso il ponte.»
«Come ci sono riusciti? Mi avevi assicurato che un tuo battaglione rinforzato sarebbe stato più che sufficiente per fermarli.»
«Qualcuno sembra li abbia aiutati.»
Tishi Motani si girò lentamente verso la sua interlocutrice.
«Chi?»
«Non lo sappiamo. I soldati sopravvissuti dicono di essere stati attaccati alle spalle da esseri con forza sovrumana ed immuni persino ai colpi di granate.»
«Esseri dotati di… cosa? I tuoi soldati ti stanno prendendo in giro Udara.»
«Non credo.»
«E cosa credi, allora?»
«Che siano stati aiutati davvero. Sai dove dicono si sia rifugiata la principessa Awa, vero?»
«Su Primus.»
«E sai cosa c’è su quel pianeta, Tishi?»
«Il Corpo dei Marines Spazioportati.»
Udara sorrise amaramente e scosse la testa.
«La nostra nemesi.»
«Minia’t è un osso duro da rodere.»
«Vero. Ma non è inespugnabile. Possono spianarla con una testata termonucleare. E dopo stanotte la Dissidenza non esiste più.»
Tishi Motani annuì ed indurì l’espressione del viso.
«La Dissidenza non c’è più. Ora è Ribellione. La guerra civile è iniziata.»
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E con questo capitolo si conclude la serie di anteprime del nuovo libro sugli SPACEBORNE MARINES.

Verranno riproposte poco prima della pubblicazione del libro.










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