Blog dedicato ai libri, alle riflessioni, alle curiosità di Paul J. Horten, scrittore, fotografo, giornalista, lettore, testimone. Se volete essere sempre aggiornati sui contenuti di questo blog, mettete nella lista dei vostri. bookmark questo URL.
lunedì 10 dicembre 2018
ANTEPRIMA: SPACEBORNE MARINES - FARAS - CAPITOLO 4
CAPITOLO 4
La Notte del Massacro
Tara Ruhoyani si appoggiò alla balaustra del balcone, all’ultimo piano del Palazzo di Rappresentanza della Casata.
Tutte le Casate lo avevano, da quando Faras si era unificata per far fronte alla Federazione Terrestre, decenni prima. Le Casate si erano combattute per secoli, con fortune alterne, ed il grado di litigiosità aveva favorito l’invasione da parte degli Eretici venuti dallo spazio. Oltre alla propria sede naturale, il Palazzo della Casata nella capitale di ciascun territorio, il Palazzo di Rappresentanza dava l’idea tangibile di unità in una sola entità: Minia’t, la capitale planetaria di Faras sede anche della Casata più potente: la casata Motani.
Ma da un anno a questa parte la rappresentazione non funzionava più.
All’inizio c’era stato il bombardamento termonucleare da parte della Flotta Stellare di un insediamento Urdas appena fuori Minia’t.
Tara era sempre stata contraria ad accogliere gli Urdas ed a dargli rifugio in cambio di tecnologia e conoscenza. Ma la paranoia di Iknas per il ritorno della Federazione era stata più forte di tutto. Ed aveva scatenato l’ira della Federazione, per fortuna senza conseguenze per i Farasiani. Lei era convinta che il bombardamento fosse stato accuratamente preparato per evitare vittime collaterali: abbastanza forte per distruggere gli ultimi Urdas, ma non abbastanza devastante da suscitare una qualsiasi reazione da parte di Faras. Reazione suicida, a suo giudizio. Perchè la Federazione, a quanto ne sapeva, era più forte che mai.
Iknas dopo quell’episodio era diventata più ossessionata che mai dalla paura dell’invasione e dall’odio per il maschio. C’era il terrore nella popolazione maschile di Faras, perchè negli ultimi due anni bastava un nonnulla per dare inizio ai pervaz, una sorta di autodafè dove venivano giustiziati 12 Fuchi che, però dovevano professare la loro sottomissione al Matriarcato. I 12 venivano bruciati sulla pubblica piazza, ma l’atto di sottomissione pubblico permetteva ai disgraziati di sottrarsi all’atroce tormento: gli veniva dato un veleno che si attivava all'innalzamento della temperatura esterna. Morivano in pochi secondi, prima che le fiamme cominciassero a divorare i loro corpi. A chi non pronunciava il pervaz, non veniva dato nulla. Ed era così che aveva visto morire uno dei suoi Fuchi più fedeli, con cui si era accoppiata più volte e che le aveva permesso di dare alla luce la sua primogenita, Awa. Non aveva dimenticato il dolore e la rabbia. E solo allora, quando lo aveva visto contorcersi tra le fiamme, aveva capito che la sua preferenza aveva un nome: amore.
Ai pervaz ed al terrore era seguita la sparizione di Iknas. Dapprima era stata diffusa la notizia di un problema fisico importante. Poi, quando era stata nominata come reggente la nipote Tishi, tutti avevano capito: Iknas non era più viva o non era più su Faras. Era stata la Reggente stessa a dire come stavano le cose: la Matriarca era stata catturata dalla Federazione con un vile stratagemma, usando dei contrabbandieri Terrestri. E la musica non era cambiata: la paura dell’invasione e l’odio per lo straniero si erano amplificati a livelli mai visti, instillando dubbi anche in chi, come lei, era stata fedele per decenni al Matriarcato.
Qualcosa doveva essere accaduto, perchè Tishi Motani aveva convocato d’urgenza il Consiglio delle Amazzoni. Anche se c’erano molte cose che non le tornavano.
Una voce femminile la distrasse dai suoi pensieri.
«Colonnello Korrani, cosa la porta da me?» domandò l’Enneya.
Gaia Korrani, il comandante delle sue Guardie a Minia’t, abbassò la voce.
«Mia signora, ci sono novità per lei. Due persone desiderano conferire urgentemente con l’Enneya. E vengono da Primus…»
Tara ebbe un tuffo al cuore.
Notizie di Awa! Mia figlia ha qualcosa da dirmi!
«Falli entrare subito! Ma usa la massima discrezione.»
L’ufficiale fece un lieve inchino.
«Naturalmente, mia signora» disse, e poi sparì dalla stanza.
Ricomparve alcuni minuti dopo accompagnato da due Farasiani ammantati nel burak, il mantello con il cappuccio tipico di Faras.
Riconobbe immediatamente uno dei due: Harta Yrnani, il compagno di Awa, e si chiese se sua figlia avesse già contratto matrimonio segreto con il Fuco. L’altro le era totalmente sconosciuto: non era nessuno dei 24 che erano fuggiti con Awa da Faras.
Harta si chinò profondamente, alla maniera dei Fuchi. L’altro lo seguì dopo una breve esitazione.
«Mia signora, porto notizie ed una preghiera da tua figlia.»
«Alzati, Harta, e benvenuto su Faras, anche se i tempi sono tormentati ed incerti. E presentami lo sconosciuto compagno che rechi con te.»
Harta apparve imbarazzato.
«Preferirei lo facesse da solo, se permetti…» replicò mormorando.
«E sia. Chi sei tu? Non ricordo il tuo volto né tra quelli partiti né tra chi è rimasto…»
Lo sconosciuto fece ancora un breve inchino e poi sorrise.
«Sua altezza mi perdonerà il travestimento, ma io non sono affatto Farasiano. Ho dovuto celare il mio aspetto per non attirare pericolo e attenzione sulla mia guida e fedele compagno di tua figlia. Sono Terrestre, e quello che vedi è frutto di cosmesi e nanochirurgia reversibile. Il mio grado e nome è maggiore dei Marines Daniel Reid-Daly, forze speciali della Federazione.»
Tara si portò una mano al cuore. Indicò delle sedie e si sedette essa stessa.
«Immagino che se un soldato della Federazione è qui con te, le notizie non siano delle migliori…»
Reid-Daly non mosse un muscolo del volto. Era abituato alla dissimulazione dalla natura delle sue missioni con lo Special Warfare Squadron. Ma sapeva perfettamente i limiti di quello che poteva dire.
Non deve sapere che abbiamo infiltrato delle spie persino nella corte della Reggente. Se le dico quello che so, le brucio. Dovrò persuaderla senza dirle troppo.
«Enneya, Harta reca un messaggio di tua figlia Awa. Lascia che il messaggero parli liberamente. Non sappiamo quanto tempo abbiamo ancora» disse Reid-Daly
«E sia. Harta?»
«Tua figlia Awa ha parlato con Iknas, prigioniera, come sai, della Federazione. La Matriarca ha predetto rovina e sventura per i Ruhoyani ad opera di Tishi. Tu e la Casata siete in mortale pericolo e ti prega di accettare l’offerta della Federazione se volete avere una speranza di prevalere.»
«Di che offerta si tratta?» disse Tara Ruhoyani con la massima calma.
Iknas deve aver spaventato Awa a morte. Temo di sapere cosa mi stanno per offrire. E sono spaventata anche io.
Reid-Daly si schiarì la voce e poi parlò.
«Sua altezza, un commando di una dozzina di Marines la attende fuori dal palazzo. Ed a cinque chilometri dai confini di Minia’t c’è un’altro gruppo pesantemente armato ad attendere lei e chi vorrà portare con sé assieme a due navette della Fanteria Federale, pronte a raggiungere un’astronave della federazione in orbita geostazionaria.»
La Enneya sbarrò gli occhi e sporse il mento. Il senso delle parole del Terrestre erano chiare.
Awa vuole che io evacui da Faras! Così grande è il pericolo, che ha predetto Iknas! Per gli Dei…
«Non lascerò Faras. E se devo morire, morirò al mio posto.»
Harta scosse la testa incredulo.
«Mia signora, non puoi restare! Cosa ne sarebbe della Casata? Tishi Motani avrebbe vinto ancora prima di cominciare!»
«C’è Awa. Lei erediterà la guida della Casata. Funziona così. E porterà avanti la Dissidenza. Fine delle negoziazioni.»
Poi si voltò verso Reid-Daly.
«Sono spiacente che lei abbia fatto un viaggio così lungo per non avere niente. Io sospetto qualche tipo di trappola in questa convocazione d’urgenza. Ma sono sicura che al massimo sarei io il bersaglio. Non l’intera Casata. Non… non è mai accaduto nell’intera storia di Faras. Tranne in guerra, ovviamente…»
Improvvisamente l’ufficiale dei Marines portò la mano destra all’orecchio ed assunse un’espressione concentrata per qualche istante. Si riscosse e si rivolse all’Enneya.
«Sua altezza, ho pessime notizie. I Marines in osservazione fuori del palazzo riferiscono l’arrivo di soldati armati con le insegne della Casata Motani.»
«Da che direzione?» domandò Tara Ruhoyani.
«Da tutte. Ci stanno circondando. Deve decidere in fretta.»
L’Enneya chiamò il colonnello Korrani con l'intercom.
La risposta la sconcertò.
«Non siamo in grado di metterci in contatto con il Palazzo della Casata nella nostra capitale. Le comunicazioni sono interrotte.»
«Grazie colonnello. Metta i suoi in allarme. Stiamo per essere attaccati.»
«La cosa non mi stupisce, mia signora. Provvedo subito.»
Tara chiuse la comunicazione e poi guardò Reid-Daly.
«Ho un compito da affidarle, come risposta al suo incarico qui. Io non mi muoverò. Ma le affido le vite delle sorelle minori di Awa, Itay e Menashine. Le porti in salvo ed avverta le altre due casate dissidenti. Devono raccontare quello che sta succedendo qui. Faras si solleverà di fronte a tanta ignobile crudeltà. È tutto.»
Il maggiore dei Marines provò a replicare, ma Harta lo bloccò e scosse il capo lentamente, in un gesto di diniego, senza proferire parola.
Reid-Daly annuì e si alzò.
La Enneya ha preso la sua decisione. Ed è una decisione suicida. Proviamo a salvare il salvabile.
«Altezza…»
«Grazie per il tentativo. Il mio comandante della Guardia vi attende con le mie figlie. Buona fortuna» disse Tara Ruhoyani.
Yrnani e Reid-Daly fecero appena in tempo ad uscire ed a percorrere meno di un isolato. Dietro di loro videro affluire soldati Farasiani con le insegne della Casata Motani. Le donne urlavano gli ordini, gli uomini li eseguivano scattando senza esitare.
«Qui Messenger One a Messenger. Dove siete? Il punto di raduno è deserto» mormorò via radio.
«Hanno bloccato le comunicazioni, Dan…» mormorò Harta.
«Non le nostre…» rispose a bassa voce in Farasiano Reid Daly.
«Qui Messenger Two, ci siamo spostati trecento metri più a nord, per non rimanere chiusi nei movimenti di truppe che vediamo. Dobbiamo intervenire?»
«Negativo, Messenger Two. Ma non muovetevi. Abbiamo del carico prezioso ed una variazione alla missione.»
«Ricevuto Messenger One. Vi vediamo.»
L’ufficiale dei Marines chiuse la radio.
«Paura?» domandò alle due ragazze.
«No. Mia madre si fida di lei» rispose Itar, la più grande.
«Lei non è Farasiano, vero?» disse in tono impertinente Menashine, la più piccola.
«Non è importante. Ora vi portiamo da amici, al sicuro» rispose Reid-Daly.
E dovreste avere paura. Molta paura.
Si sentirono delle esplosioni.
Le due ragazze si bloccarono di botto e guardarono indietro.
«Mamma!» gridò una delle due.
Harta, che fungeva da retroguardia, la prese per mano.
«Menashine, non puoi farci niente. Devi essere forte, una vera Ruhoyani.»
«Tu sei un maschio! Lasciami! Ti farò frustare!» gridò la ragazza.
Itay fu rapida ad intervenire: prese la mano della sorella e le parlò in maniera ferma e decisa.
«Sei spaventata. Ma non lo devi dare a vedere. Mamma sa quello che fa, come sempre. Ci ha ordinato di fidarci di questi maschi. Quindi obbedirai. E non parlare mai più in quel modo ad Harta. Ci sta salvando.»
«Abbiamo finito con le conferenze di famiglia?» ringhiò Reid-Daly.
«La seguiamo, signore. Menashine è solo spaventata.»
Il Terrestre annuì.
«Manca ancora poco…»
Si rimisero in cammino, affrettando il passo. Erano giustificati dal rumore di esplosioni e di colpi di armi da fuoco che, sempre più numerosi, cominciavano a provenire dal Palazzo alle loro spalle. Con la coda dell’occhio Harta vide un filo di fumo innalzarsi.
Usano granate incendiarie… Non rimarrà pietra su pietra…
«Siamo arrivati…» mormorò Reid Daly.
Erano a lato di una piazza, vicino ad un parco.
Il secondo dopo i quattro furono circondati da un’altra dozzina di figure incappucciate ed armate. Erano tutti muniti con fucili a propulsione chimica, come era d’uso su Faras, dove le armi ad induzione erano sconosciute.
«Sono lieto di vederti intero, Dan. Non ci hanno individuato per un pelo. Esfiltriamo?»
«Non ancora Tac. La missione è cambiata. Abbiamo un carico da consegnare per conto dei Ruhoyani.»
Il tenente Taczak guardò le due ragazze Farasiane.
Non disse niente ed annuì.
Avanzavano corridoio per corridoio. E nonostante il colonnello Gaia Korrani, fucile alla mano, impartisse gli ordini con energia, sapeva di stare combattendo una battaglia senza speranza.
Non c’è modo di respingerli, sono troppi…
«Seguitemi!» disse ad un gruppo di una dozzina di soldati.
Il Palazzo rimbombava ormai di detonazioni ed esplosioni.
Prese per le spalle una giovane Farasiana, un tenente.
«Tenente Kima, trappole esplosive qui con le bombe a mano. Voi vi piazzate nelle stanze adiacenti. Una volte detonate, sparate su tutto quello che si muove. Se non rimane nessuno vivo, riguadagnate il terreno perso. Altrimenti vi spostate all’ingresso dell’ala degli ospiti e fate lo stesso lavoro lì, è chiaro?»
L’ufficiale annuì, con gli occhi sbarrati.
Fu un caporale di trent’anni, il grado massimo che un Fuco poteva raggiungere, a prendere la parola.
«Con tutto il rispetto, colonnello, se riusciamo a non farci ammazzare qui, punterei direttamente per resistere all’inizio dell’ala per gli ospiti. Se non sono arrivati già anche lì. Il corridoio è lungo e stretto e senza uscite, tranne le finestre. Se vogliono passare si devono far ammazzare in molti.»
«Stai zitto, maschio! Come osi…» abbaiò il tenente Kima.
Gaia Korrani invece annuì.
«Come ti chiami?»
«Caporale Reva Tyrani. E non ho paura di venire punito.»
«Non verrai punito. È una eccellente idea. Prendi sei soldati con te e fai come hai detto. Mi aspetto che resistiate fino all’ultimo e che facciate pagare un prezzo altissimo al nemico.»
«L’idea è quella, colonnello. Voglio far fuori quanti più tirapiedi dei Motani prima di crepare.»
«Muoviti.»
Tyrani toccò rapidamente sei uomini che lo seguirono al piccolo trotto.
«Tu fai quello che ti ho detto in questo punto» disse il colonnello Korrani al tenente.
Kima era furente.
«Lei mi ha dimezzato la squadra!»
«È più che sufficiente. Ora mi aspetto che tu esegua.»
Una esplosione più forte delle altre annunciò che il pericolo era vicinissimo.
La Korrani si ritrovò da sola, mentre gli ultimi due soldati agli ordini del tenente Kima finirono di predisporre la serie di trappole con le granate.
Korrani annuì.
«Ben fatto. Ci vediamo all’inferno» disse senza tradire emozioni e corse via.
Udì detonare la prima granata mentre stava ancora salendo le scale.
Si nascose fulmineamente in una stanza quando udì dei passi pesanti.
Un gruppo di quattro soldati della Casata Motani le passarono davanti.
Non badarono alla porta e solo i primi due puntavano le armi in avanti.
Devono essere passati già di qua. Stanno per prendere Kima ed i suoi alle spalle. Questo settore già è perso, allora.
Li lasciò transitare e poi prese una decisione.
Aspettò che gli ultimi due fossero a non più di tre metri. Impugnò il fucile d’assalto con la destra e con la sinistra spalancò la porta, mentre andava in punteria con l’arma.
Il primo soldato morì senza nemmeno udire i colpi che venivano sparati alle sue spalle.
Il secondo ebbe solo il tempo di girarsi prima di andare a terra.
Il terzo ed il quarto, invece, risposero al fuoco. Ma Korrani era già a terra, proseguendo l’azione di fuoco, ed i colpi avversari passarono a un metro sopra di lei.
Falciò il terzo soldato e poi rotolò a terra, mentre sentiva i colpi degli impatti attorno a lei. Pregò gli Dei di non essere colpita proprio in quel momento.
Il soldato dei Motani commise l’errore di cercare di colpirla senza essere dietro un riparo, mentre Gaia Korrani era un bersaglio in movimento e con una angolazione, per di più, che la rendeva difficile da colpire.
Il colonnello della guardia del corpo Ruhoyani controllò la rotazione e per una frazione di secondo ebbe nel mirino il torso dell’avversario. Strinse forte il fucile tra le mani e premette il grilletto, lasciando partire una lunga raffica.
L’ultimo soldato Motani rimasto crollò a terra per non rialzarsi mai più.
Gaia Korrani respirò forte, per recuperare il controllo.
Poi ricordò dove era.
Erano gli alloggi della servitù: cameriere, cuochi, maggiordomi. Gente che non faceva politica. Aveva visto qualcosa nell’oscurità, con la coda dell’occhio, quando era entrata nella sua stanza-rifugio.
Si alzò, mentre il frastuono della sparatoria dal piano di sotto aumentava e rientrò nella stanza da dove era uscita un istante prima.
Si turò la bocca per non urlare. La stanza era piena di cadaveri con le mani legate dietro la schiena e chinati in avanti.
Maiali schifosi! Hanno ucciso tutti con un colpo alla nuca! Erano disarmati! Maledetti! Maledetti!
Ricacciò le lacrime di dolore e di rabbia. Non era il momento. Uscì fuori dalla stanza e cominciò a risalire verso gli alloggi dei nobili. C’era un’altro gruppo che aveva messo a difesa della sua Enneya. Dei 150 soldati ed ufficiali che costituivano la Guardia del Corpo non ne restavano molti. Ad irrompere nel palazzo era almeno un battaglione.
È uno sterminio. Non lasceranno in vita nemmeno uno di noi. Se gli Dei mi fanno uscire da qui incolume, dedicherò la mia vita alla vendetta. Ucciderò Tishi Motani a mani nude, se necessario. Sia maledetta lei e la Matriarca!
Si accorse che, improvvisamente, la sparatoria si era allontanata.
Nell’ala dove era lei si udivano solo colpi sporadici, meditati, singoli.
Esecuzioni. Uccidono anche i feriti.
L’unico accenno di sparatoria intensa proveniva dall’ala degli ospiti.
La posizione del caporale Tyrani resiste. Ma per quanto? Se sono dappertutto è solo questione di tempo prima che li prendano alle spalle.
Poi anche quel rumore cessò di colpo. Seguì un silenzio spaventoso alle sue spalle, interrotto di quando in quando da spari isolati.
L’ufficiale Farasiano dovette fare forza su se stessa per non tornare indietro ed impedire quell’abominio.
Risalì le scale e quello che vide la riempì di orrore. Il vice comandante e gli altri soldati della Guardia erano tutti morti. Alcuni avevano le mani legate dietro la schiena ed avevano un buco nella nuca. La pallottola, uscendo dal lato opposto, aveva devastato la faccia.
Sentì dei passi e si nascose. Questa volta erano molti di più ed erano più attenti. Dalla fessura della porta da cui osservava quanto accadeva vide passare un drappello di almeno una ventina di soldati Motani. Si posizionarono in modo da rendergli impossibile ripetere un agguato come quello che aveva già messo in atto due piani più in basso. Apparve un alto ufficiale, un colonnello. Korrani rimase sbalordita. E decise che non avrebbe agito. Si era ripromessa un’azione suicida: uscire eliminare l’alto ufficiale anche a costo della sua vita.
Ma quando aveva riconosciuto la donna aveva cambiato idea.
Udara Hannani! Uomini e ufficiali della Casata Hannani che vestono uniformi della Casata Motani! Questo è tradimento dei Protocolli d’Onore. Ed io ne sono stata testimone. Se muoio ora, nessuno lo verrà a sapere.
Vide l’alta ed elegante figura di Udara Hannani salire gli ultimi scalini che portavano agli alloggi dell’Enneya. E seppe che comunque fosse andata, la Casata dei Ruhoyani non sarebbe esistita più.
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