Se
l’Erg di Myrin era uno dei luoghi più inospitali del pianeta, l’oasi di Anfar
era semplicemente meravigliosa. Una macchia di vegetazione verdeazzurra nel
bruno rosato della sabbia arida.
Gli
alberi di muwdra, questo era il nome,
non toglievano luce, ma quando il sole era più alto e cocente filtravano con
una efficacia inaspettata i raggi che il sole dardeggiava con maligna ferocia.
L’aria
rovente veniva rinfrescata da quell’ombra soave al punto che al centro dell’oasi
c’era quella che chiamo la temperatura
perfetta: ne caldo ne freddo e con il giusto tasso di umidità.
Veniva
voglia di mettersi nudi per gustare a fior di pelle quella carezza.
La
differenza di temperatura tra il bordo dell’oasi ed il centro creava una
ventilazione naturale: tra gli alberi spirava sempre una brezza che stemperava
il calore. Nel centro esatto dell’oasi c’era la cosa più preziosa che qualsiasi
essere possa trovare in un deserto: l’acqua. Il lago non era esposto alla luce
del sole. I muwdra in vicinanza
dell’acqua diventavano enormi ed i tronchi, anche se radi, misuravano
circonferenze anche di sei metri. La chioma dalle larghe foglie misurava decine
di metri, chinata su quel gioiello liquido come mani gelose a coprire le forme
di una donna.
Il lago
era limpido e l’acqua freschissima.
Avevo
ridimensionato il dispositivo difensivo per il sito di estrazione, rendendolo
più compatto. Due pattuglie formavano il perimetro, le altre due erano
accampate attorno alla casa di Navan, in riposo.
Per
dare il cambio usavamo dei muli: dei
piccoli trasporti ad antigravità in grado di alloggiare un plotone di Marines
con il loro equipaggiamento. Torres li aveva prelevati da un deposito della
Fanteria Federale presente su Primus producendo documenti falsi e nel deserto
si erano rivelati utilissimi, risparmiandoci tempo e fatica per coprire i dieci
chilometri che separavano Anfar da dove stavamo scavando il PCLT-5.
Il
villaggio, ovviamente, partiva dalle sponde del lago e si allargava come i
petali di un fiore verso la periferia. Le case, fatte di sabbia cosi compressa
da sembrare cemento al tatto e con le
mura spesse un metro, erano dipinte di bianco ed avevno le imposte blu e si
sviluppavano solo al piano terra. Tutte avevano una scala che portava sul tetto
piatto, che fungeva da terrazza.
L’unica
che differiva dalle altre era proprio la casa dove ci trovavamo: quella di
Cirlik Navan.
Il nome
non mi diceva nulla, ma il fatto che fosse stato un discepolo di Ur e che lo
avesse conosciuto lo rendeva straordinariamente interessante.
Quando
lo avevo comunicato a Daria ed a Glora, avevano voluto scendere a tutti i costi
su Myrin ed Edson le aveva seguite, avido di notizie quanto loro.
Navan
godeva di autorità e di ottima reputazione presso i Tawar che abitavano l’oasi
ed aveva ottenuto il permesso dal capo, Nagib Muna Ad Tawari, di farci entrare
e soggiornare nell’oasi.
Per la
prima volta avevo potuto vedere gli indigeni dell’Alto Erg: esseri dai tratti
perfettamente umanoidi dalla pelle blu scuro liscia come il velluto.
Si
muovevano sulla sabbia con una precisione ed un rapidità che lasciavano
interdetti. Ed erano estremamente silenziosi. Aspettavo davanti alla casa di
Navan l’arrivo del mulo con a bordo Daria, Edson e Glora.
Il
mezzo rassomigliava ad una saponetta in metallo completamente aperta
superiormente, in modo da poter far sporgere il busto e le armi, e viaggiava
sospeso a cinquanta centimetri dal suolo. All’occorrenza poteva decollare e
raggiungere una quota di un centinaio di metri, trasformandosi in una piccola
piattaforma di tiro volante.
Alla
guida c’era Kathryn. Fece scivolare lentamente il mulo lungo il vialetto di sabbia battuta che attraversava l’oasi da
nord a sud e sorprendentemente vidi che al seguito c’era un codazzo di bambini
Tawar. Incuriositi dagli stranieri arrivati dalle stelle, avevano vinto la
diffidenza e la timidezza tipica di quel popolo schivo.
Arrivata
all’altezza della casa, Kathryn arrestò il mezzo, poggiandolo delicatamente sui
pattini di atterraggio.
«Ciao
Dex. Ti ho portato gli ospiti» disse Kathryn in Inglese Standard.
«Grazie
Kat.»
Mi
avvicinai ed aiutai Daria, con il pancione, a scendere dal mulo.
Vidi
Glora aiutare Daria a sua volta.
Daria
la ringraziò, ma notai che non la guardava in viso.
Daria tiene le distanze. Spero che questo non sia sintomo di altri problemi.
«Io
torno all’accampamento, Dex. Se hai bisogno chiama via radio.»
Con un
ronzio sommesso il mulo si risollevò
e Kathryn sparì nella penombra tra gli alberi.
Navan
era impettito ed aveva messo una tunica blu, come quella dei Tawar con cui
viveva.
Si
rivolse a me.
«Come
faremo a parlare? Farai tu da traduttore Dexter?»
«Si.»
«Allora
inizia...»
Si girò
verso il trio e parlò in lingua Namer come se tutti la potessero capire.
Cercai
di tradurre meglio che potevo, sentendo in arrivo un mal di testa.
«Il mio
nome è Cirlik Navan vi do il benvenuto nella mia casa. Anche se l’Erg di Myrin
non è il miglior luogo dove atterrare, l’oasi di Anfar è un piccolo paradiso.»
Solo
allora notai che c’era un quarto componente del gruppo. Turing era sceso dal mulo anche lui.
Ho bisogno di tutte le risorse
intellettuali per capire chi abbiamo di fronte. Forse è un bene che sia qui.
«Dex… Credo
sia il caso che tu faccia le presentazioni» disse Daria.
Aveva
il capo leggermente piegato ed un sorriso gentile. Empatia in azione.
Annuii.
«La
donna che ha parlato è Daria Yx. È un ufficiale scientifico della Flotta
Federale. L’altra donna è Glora Imex. Anche lei è ufficiale e donna di
scienze.»
Navan
annuì a sua volta con sussiego.
«Non
sono della tua specie» osservò.
«No.
Sono entrambe Dariane.»
«Io
sono anche tua moglie Dex. Diglielo» insistè Daria.
Glora
Imex le scoccò uno sguardo e poi tornò a fissare il Nameriano.
Tradussi
quello che aveva detto Daria e Cirlik Navan annuì soddisfatto.
«Questa
è una cosa insolita, Dexter. Due persone di specie diverse unite in matrimonio.
Ci sarà tempo per fare delle domande, spero. Chi sono i due Terrestri?»
«Il più
anziano è il Consigliere Reginald Edson. Ed il più giovane il capitano dei
Marines John Turing.»
«Consigliere?
Che titolo è?»
«Fa
parte del Consiglio Federale, un’organo del governo.»
«Un
Consigliere cosa fa? Consiglia il vostro imperatore?»
«Non
abbiamo imperatore» intervenne Edson non appena tradussi la risposta «Esiste
un presidente, eletto dai popoli della Federazione.»
«Permettete
ai popoli conquistati di governare?»
Il tono
di Cirlik Navan era sbalordito.
«Si.
Contribuiscono alla prosperità della Federazione, quindi hanno diritto di
partecipare alle decisioni del governo» rispose Edson.
«Anche
questo sarà oggetto di molte domande. L’umanoide Turing chi è?»
«È un
ufficiale della mia unità. È esperto di tecnologia.»
«Ah la
tecnologia! Un’arma a doppio taglio!» esclamò Cirlik Navan e poi aggiunse
«Suppongo che sarà lui quello che farà molte domande.»
Turing
ridacchiò imbarazzato.
«Penso
proprio di si, signore. Non capita tutti i giorni trovarsi davanti ad un alieno
vecchio di oltre un secolo!»
Tutti,
tranne Navan, guardammo sorpresi il capitano Turing.
La verità a volte ti è davanti
agli occhi, ma non è detto che uno la veda. Turing ne ha appena svelata una.
«Entrate
nella mia casa. Le conversazioni si fanno meglio davanti una tazza di kufwa calda od un vassoio di frutta
fresca.»
L’entrata
dava su ampio spazio con le pareti interrotte regolarmente da ampie finestre
dalle imposte blu.
Sentii
Glora mormorare.
«Adesso
ho capito perché è l’unica casa con un primo piano…»
Il
piano terra più che ad un salotto era una via di mezzo tra un laboratorio ed
una biblioteca e probabilmente la parte abitativa si trovava al piano
superiore.
Le
pareti erano per tre quarti coperte di scaffali popolati da centinaia di
cilindri con delle scritte in nameriano.
Lessi
qualche titolo su quelli più vicini: gli argomenti spaziavano dalla biologia
molecolare alla storia dell’Impero.
C’era
una enorme scrivania in legno chiaro, probabilmente lo stesso degli alberi che
popolavano l’oasi. Sopra c’era uno schermo e qualche decina di cilindri
impilati in disordine.
A lato
della stanza uno scaffale era pieno di componenti elettronici o meccanici, non
lo avrei saputo ben dire, con un tavolo ingombro delle stesse cose, più altri
dispositivi che avevano tutta l’aria di essere destinati ad essere montati in
qualche apparecchiatura.
In
tutto questo caos, in un angolo luminoso ma al riparo dalla luce diretta, c’era
un tappeto coloratissimo ed una serie di cuscini con un tavolo basso al centro.
Una
figura blu, dai tratti femminili, ci guardava in piedi in quell’unico posto
destinato all’accoglienza.
«La mia
servitrice tawar, Zywa» disse Cirlik e poi aggiunse «Scusate il disordine ma
raramente ricevo ospiti.»
«L’antro
del genio» replicò Edson.
Cirlik
scosse la testa.
«A
volte il genio genera mostri, Consigliere.»
Ci
sedemmo nell’angolo con i cuscini, Glora ed io aiutammo Daria, impacciata dalla
gravidanza.
Notai
che nonostante tutto si era portata appresso la pistola con tutti i caricatori
di riserva, ed altrettanto aveva fatto Glora.
Edson e
Turing erano muniti di fucile d’assalto, che misero accanto a loro appoggiato
alla parete.
«Cosa
gradite? Qualcosa di caldo o qualcosa di freddo?» chiese Cirlik Navan.
«Quali
sono le usanze ad Anfar?» domandò Daria.
«In
genere a quest’ora i Tawar bevono kufwa
caldo. È corroborante e da forza.»
«Lo
gradirei molto.»
«Credo
che ci uniremo al maggiore Yx» risposero Edson e Glora.
Navan
diede rapide istruzioni a Zywa. La donna si inchinò leggermente ed in maniera
assolutamente silenziosa uscì dalla stanza.
«È
usanza che non si parli e non si facciano soprattutto domande fino a che
l’ospite non è stato servito» disse Cirlik Navan.
«Ci
adegueremo. Abbiamo una forte tradizione, nella Federazione, nel rispettare le
usanze degli altri popoli» rispose Edson.
«Questo
è indice di saggezza.»
Dal poco che ha detto finora,
sembra che Cirlik Navan stimi molto la dote della saggezza. Mi chiedo come
potrebbe considerare i Quattro Pilastri Dariani.
Il
pensiero di Daria mi arrivò forte e chiaro nella mente.
… Pensi come un Dariano. Senti
come un Dariano. Ami come un Dariano?...
… Il dubbio uccide, Daria. Segui
il cuore, non la ragione…
La voce
si spense.
Zywa
tornò in quel momento con un vassoio: sei ciotole ed al centro una cuccuma
fumante in terracotta. La Tawar era come comparsa dal nulla, senza fare rumore.
Posò
sul tavolino al centro il vassoio e poi estrasse da una tasca un sacchetto di
stoffa.
Recitò
qualcosa nella sua lingua.
Improvvisamente
sentii Navan cantilenare in nameriano: «Un
pizzico per ogni tazza, ogni tazza da il tributo alla caraffa. Così il kufwa
darà forza all’ospite, cosi il kufwa darà forza alla casa.»
Mi
venne istintivo domandare.
«Cosa
significa?»
«Le
domande dopo il primo sorso, curbak
Dexter Dax.»
Zywa
prelevò dal sacchetto un pizzico di erba con la punta delle eleganti dita blu e
ne depose una per ogni tazza. Poi ne prese sei porzioni, una ad una, e
ripetendo la litania le gettò nella caraffa di acqua bollente.
Prese
un mestolo di legno, lo immerse nella caraffa e girò l’infusione.
Stavolta
la litania fu diversa.
Navan
cantilenò di nuovo con lei in nameriano: «Un
giro per ogni tazza, più uno per la caraffa. La forza esce dal kufwa per
entrare nell’ospite, come la forza del Creatore uscì dal suo Occhio Benedetto e
creò il mondo. In principio era il caos, ma il Creatore diede ordine. Ora
dall’ordine ricreo il caos. Cosi il kufwa da forza all’ospite, cosi il kufwa da
forza alla casa.»
«Beviamo»
disse con un sorriso Cirlik Navan.
Guardai
con un po’ di apprensione la ciotola ripiena di acqua scura con delle spezie
che vi galleggiavano sopra. Poi la portai alla bocca e bevvi un piccolo sorso.
Se
avevo definito il tè di Par-Dak una delizia ristoratrice, l’effetto del kufwa fu quello di una medicina, o di
una droga. Il calore del sorso scese giù lungo la gola fino allo stomaco. Poi
parve irradiarsi come se avesse trovato un chakra e lo avesse attivato alla
massima potenza. La stanchezza e le preoccupazioni mi parvero una cosa remota. La
temperatura del corpo si abbassò, perché smisi di sudare, e la stanza sembrò
percorsa da una fresca brezza di primavera. Avevo la sensazione di potermi
alzare e fare i quindici chilometri di corsa mattutini dei Marines in
scioltezza. E poi di poterne fare altri quindici ugualmente senza problemi.
Parlai
in nameriano e per la prima volta, da quando cambiavo lingua, non ebbi il
solito giramento di testa iniziale.
«È una
bevanda miracolosa, Navan!»
Vidi
Daria sorseggiare lentamente dalla ciotola, gli occhi chiusi. L’espressione era
simile a quella di una persona che dopo un lungo cammino abbia trovato un luogo
dove riposare. Tutti sembravano lasciare da parte il cattivo umore o le paure
che accompagnavano il nostro viaggio. Cirlik Navan sembrava calmo e
soddisfatto, ci guardava sorridendo come un Buddha sotto ad un albero di
banano.
La
Tawar disse qualcosa nella sua lingua, Navan tradusse.
«Zywa
chiede se il kufwa è di vostro
gradimento.»
Daria
aprì gli occhi e guardò la servitrice.
«Grazie
Zywa. La mia bambina ed io ne avevamo bisogno.»
Zywa
spalancò gli occhi. Erano neri, senza bianco come quelli di dariani. Aperti
sulla pelle blu indaco del volto davano l’impressione di guardare dentro dei
pozzi neri.
«Zywa
chiede come fai a sapere che la tua bambina ne ha bisogno» tradusse ancora
Navan.
«Io
posso sentire quello che sente la gente attorno a me. Ed anche la mia bambina.
Si chiama empatia. E ti posso dire che la mia bambina ora è felice.»
Zywa si
ritrasse spaventata.
«Zywa
chiede se puoi leggere i suoi pensieri. Si vergogna.»
«No,
non posso leggere i suoi pensieri. Ma le sue emozioni si. Ed ho apprezzato
l’amore con cui ci ha preparato il kufwa»
rispose Daria sorridendo dolcemente.
Zywa si
mise una mano davanti alla bocca, come una bambina che avesse parlato troppo.
Poi
disse qualcos’altro e vidi Navan ascoltare ed approvare annuendo energicamente.
«Zywa
dice che non c’è altro modo di preparare il kufwa
se non pieni di amore per l’ospite.»
«Che tu
sia benedetta, Zywa» replicò Daria.
La
Tawar finalmente sorrise e si portò una mano all’altezza del petto. Lo battè
tre volte.
«Accetto
la tua benedizione, Donna delle Stelle.»
Navan
congedò la Tawar, che sparì dalla stanza nel suo solito modo silenzioso.
«Hai
conquistato un cuore Tawar con la tua benedizione, Daria. È molto raro. C’entra
nulla la tua empatia?» chiese Navan sorpreso.
«Sentire
le emozioni degli altri aiuta a comprenderli.»
«Tocca
a me con le domande visto che sono il padrone di casa. Risponderò alle vostre
solo quando avrò finito di fare le mie.»
Edson
annuì.
«Mi
sembra giusto. In fondo siamo solo ospiti di passaggio qui.»
«Da
dove venite? Il curbak Dexter Dax
dice che siete Terrestri. Ma non vedo solo Terrestri qui. Che luogo è la
Terra?»
«È una
storia lunga, ma gliela racconterò volentieri, se il colonnello Dax ce la fa a
tradurla tutta» rispose Edson
«Ho
tempo. E poi ho capito una cosa, Consigliere Edson. I Marine sono tipi tosti.
Ce la farà…»
Edson
rise.
«Lo so.
Sono stato anche io un Marine.»
Edson
passò l’ora successiva a raccontare come la Terra si fosse trovata in
difficoltà, con le proprie risorse esaurite e l’ecosistema devastato da secoli
di sfruttamento indiscriminato, di come fosse stato scoperto l’FTL (l’Iperluce,
come lo chiamavano i Nameriani) di come ci fossimo avvenurati tra le stelle e
come fosse nata la Federazione Terrestre.
Ogni
tanto Cirlik Navan interrompeva garbatamente per fare una o due domande,
annuiva gravemente ed Edson proseguiva.
Il
volto gli si scurì mentre Edson descriveva l’invasione Urdas e la guerra che
stavamo combattendo.
Quando
il Consigliere Federale finì il racconto Cirlik Navan rimase in silenzio per
qualche minuto.
Poi lo
infranse con una frase sola.
«Torneranno.»
«Navan…»
intervenne Glora Imex. La lingua era nameriano, ma non aveva parlato lei.
Nessuno,
durante il racconto di Edson, aveva notato che aveva indossato un’oggetto di
cui, nella Federazione, esistevano solo due esemplari: il mio e quello, appunto,
che aveva riportato lei da Par-Dak. Glora stava usando un Meh-Namer.
Il che
semplificò la comunicazione per lei, ma raddoppiò il mio lavoro, visto che ora
dovevo tradurre ai presenti sia Navan che la Imex.
«…
Dobbiamo sapere di più sugli Urdas. Noi sappiamo solo che sono una razza
mutante dei Nameriani. Non sappiamo nulla di Ur, solo che furono creati da lui
e che ci fu una guerra civile, una ribellione, che gli Urdas persero. Il nostro
viaggio verso Namer è nella speranza di trovare alleati. Gli Urdas sono troppo
numerosi per la nostra Flotta.»
Intervenni
io a mia volta, prima in Inglese Standard e poi in Nameriano.
«Hai
detto che tu eri allievo di Ur e che lo hai conosciuto. Ma ciò è stato molto
tempo fa. Più di un cento anni fa, come il capitano Turing ha intuito. Vogliamo
sapere la storia dietro gli Urdas. Solo cosi possiamo capire se c’è un punto
debole che non sappiamo.»
Cirlik
Navan rimase di nuovo in silenzio a lungo, gli occhi chiusi, come se stesse
rivivendo un passato lontano e doloroso.
Glora
mi guardò.
«Dex ti
do il cambio io nel tradurre se vuoi.»
Annuii
e la ringraziai dal profondo del cuore, tradurre dal Nameriano all’Inglese
Standard richiedeva un grosso sforzo ed ero esausto. Ne approfittai per bere un
sorso di kufwa. L’effetto, a bevanda
fredda, fu minore, ma servì a recuperare ugualmente forze.
«È una
lunga storia anche la mia, anche se non abbraccia mille anni come la vostra ma
solo l’ultimo secolo e mezzo. Ed è la storia di come un genio assoluto, Ur,
divenne un pazzo assetato di potere. E di come il suo genio creò cose superbe,
come la Bocca di Namer che state usando, e cose mostruose, come gli Urdas. E
Myrin, questo pianeta, c’entra con la storia di Ur e la mia molto più di quanto
possiate supporre.»
Daria
annuì e sorrise.
«Finchè
abbiamo kufwa e tempo ascolteremo.»
Navan
sorrise.
«Quello
è un vecchio detto Tawar, dottoressa Yx. Ora ascoltatemi.»
(Copyright 2016 Paul J. Horten diritti riservati)
..non sono empatico ma vorrei trasmettere la mi gratitudine per questi 5 capitoli in anteprima. Vorrei continuare a leggere tutto il libro il prima possibile, anche solo come e-book da Amazon. Non vedo l'ora.....Grazie ancora.. (Oz)
RispondiEliminaGrazie a te. (non mi arrivano le notifiche! GRRRRR)
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