martedì 23 agosto 2016

ANTEPRIMA "RESURREZIONE": Capitolo 4 – NELL’ERG DI MYRIN



«Signore, abbiamo di nuovo rilevato dei movimenti» disse la voce di De La Rey.
«Che settore?» chiesi con voce calma.
«Nord-est.»
«Identificazione?»
«Negativa signore. Sono sfuggenti come delle ombre.»
Ombre contro fantasmi. A miliardi di anni luce da casa nostra.
Girai lo sguardo.
Solo dune di sabbia alte quanto case di sei piani.
Ed il freddo secco, tipico del deserto.
Siamo atterrati da poche ore su Myrin e già qualcuno ci tiene sotto osservazione.
Il brusio della trivella di estrazione arrivò attutito, incrinando appena un silenzio fatto di scricchiolii, di piccole frane di sabbia, di animali che andavano strisciando sulle dune in caccia di cibo.
Eravamo usciti appena ventiquattro ore prima dal wormhole che Tsmir chiamava La Porta di Myrin e Mox aveva lanciato le sonde sui tre pianeti più vicini.
E proprio su Myrin avevamo trovato un giacimento insolitamente ricco di PCLT-5, in pieno deserto, nella fascia tropicale del pianeta.
Sarebbe stato perfetto: il deserto era un posto dove normalmente avremmo potuto fare l’estrazione inosservati. Invece nelle vicinanze del sito di perforazione c’era un’oasi, una macchia verde quasi circolare del diametro di cinque chilometri, con alberi simili alle palme dalle grandi foglie verdeazzurre ed i tronchi in legno (suppongo fosse tale…) chiarissimo, la corteccia liscia come quella di una betulla.
Il Guardone vi aveva rilevato presenze biologiche ed una una forma di urbanizzazione.
I parametri ambientali erano ottimali per la vita umanoide: Myrin aveva un’atmosfera di ossigeno ed azoto nelle giuste proporzioni. Le scansioni spettrografiche avevano denunciato la presenza di abbondante acqua nell’oasi. A parte quella presenza, il più vicino insediamento era un minuscolo villaggio oltre una cresta di montagne con la roccia scavata dal vento, a circa duecento chilometri. Il pianeta stesso, pur abbondando di vegetazione nella zona temperata, sembrava stranamente spopolato.
Quando arrivammo a Myrin avevamo lasciato Primus da quasi tre settimane ed il tempo scoccava rintocchi sempre più cupi avvicinandoci verso la scadenza dettata dall’ammiraglio Stennis, dopo che mi aveva dato il via per ODISSEY.
Avevo valutato ogni cosa assieme ai miei ragazzi e quindi avevo deciso di non aspettare e che sarebbe sceso l’intero squadrone appiedato, in quanto atterrare con gli Eso ci avrebbe fatto sicuramente notare. In caso di bisogno, i piloti sarebbero scesi con i Dragonfly e gli Eso agganciati.
Dal momento in cui i pattini di atterraggio dei Drangofly avessero toccato terra gli Eso sarebbero stati operativi e letali in soli tre minuti.
Per raggiungere la superficie del pianeta avevamo usato la navetta mineraria della UFSS Mohawk ed a parte lo stile di guida del tenente Rovax la discesa era stata liscia e senza inconvenienti. Come al solito, era avvenuta quando nell’emisfero dove dovevamo agire era notte inoltrata.
Il perimetro da sorvegliare era ampio: non c’erano punti dove ancorare una difesa e fare perno. Solo una distesa sterminata di dune di sabbia.
Prima ancora che i motori antigravità della navetta si fossero spenti, eravamo schizzati fuori dalla rampa di carico, ci eravamo divisi in quattro pattuglie da cinque Marines ognuno ed avevamo stabilito un perimetro a trecentosessanta gradi, con particolare attenzione al lato che dava verso l’oasi.
Proprio quando sembrava che non ci fossero problemi, la pattuglia di De La Rey, a nord verso il deserto aperto, aveva rilevato dei movimenti furtivi.
Guardai verso l’alto.
Quell’ambiente aveva tanti svantaggi: mancanza d’acqua e di verde, natura ostile, caldo come un forno di giorno e freddo come l’inverno la notte. Ma nessun cielo era profondo, pulito e pieno di stelle come quello che copriva un deserto.
Sembrava di poter alzare la mano e di poter toccare quel brillio prezioso e palpitante.
E nessun altro cielo ti faceva sentire l’isolamento e la lontananza da casa.
Riportai lo sguardo verso il basso e scandagliai le dune attorno.
Sull’HUD, quando incrociavo le posizioni delle pattuglie, i triangoli rossi con i contrassegni si sovrapponevano al paesaggio.
Eravamo l’unica presenza della Federazione in quell’angolo sperduto di Via Lattea.
Scacciai il pensiero che fossimo tutto quello che ne rimaneva.
Aprii la radio, bisbigliando.
«Pietter, qui Dax. Altri movimenti?»
Avevo abolito i nominativi in codice. Difficilmente ci sarebbe stato qualcuno in grado di tradurre una lingua aliena come l’Inglese Standard. E poi volevo che ci si sentisse più uniti, esaltare lo spirito di corpo.
«Negativo, Dexter. Non rileviamo più niente.»
«Un animale notturno? Tu sei stato un cacciatore in Sudafrica ed una guida.»
«Ero un ranger del Kruger Park prima di arruolarmi, Dexter. E quello non è un animale notturno. Era un umanoide. Sono sicuro.»
«Se non siete minacciati non sparate. Non voglio guai.»
«Ricevuto, Dexter.»
«Katrhyn? Tu hai avuto contatti?»
«Negativo, Dexter. Qui tutto tranquillo.»
Ora la pattuglia verso l’oasi. Non a caso l’ho data ad Abizaid. Si sentirà a casa…
Poi ricordai che Hassan Abizaid era libanese. Ed in Libano non c’è alcun deserto, ma il mare e le montagne della Beka’a, che si incappucciano di neve in inverno.
«Hassan, rapporto.»
«Negativo signore. Non si muove niente.»
Nella mia pattuglia c’era il capitano Turing, alla sua prima uscita in combattimento. Era nervoso ed eccitato all’idea. Con Taczak ci eravamo guardati e capiti. Il mio sguardo aveva detto al polacco: Fai da balia al capitano Turing e fai in modo che non si faccia ammazzare.
«Ascoltate tutti… » iniziai per radio «… La pattuglia di Pietter ha rilevato movimenti umanoidi dalla sua parte. Ci sono degli spazi tra una pattuglia e l’altra. Non voglio che qualcuno si infiltri tra quegli spazi e possa prendervi alle spalle. Quindi i perni alle estremità pongano attenzione nel settore a lato del proprio fronte. È chiaro?»
Ottenni il ricevuto di tutti.
Poi chiamai Bema Tirex.
«Tenente Tirex, Rapporto.»
«Abbiamo finito la perforazione esplorativa, colonnello. C’è una vena di PCLT-5 ricchissima: non arriveremo a sfruttarla tutta. Segno il luogo con un rilevatore semmai dovessimo averne bisogno di nuovo.»
«Ricevuto. Quando cominciate ad estrarre?»
«Tre ore.»
«Tirex… I carichi vanno trasportati di notte. Non voglio si ripetano gli errori dell’ultima volta.»
Ci furono due o tre secondi di silenzio.
Poi Bema Tirex riaprì la comunicazione.
«Non ce ne saranno. Tendo a fare gli errori una volta sola.»
«Ne sono certo, Tirex.»
«Ricevuto. La avverto quando abbiamo finito l’estrazione.»
«Quando?»
«Per l’alba avremo il primo carico.»
«Ricevuto. Chiudo.»
Stabilimmo dei turni per dormire: uno ogni due. Tre ore di veglia tre ore di sonno.
La notte non fu confortevole. Dormire all’aperto non lo è quasi mai. Ma passò senza che le misteriose presenze si facessero vedere. Il sole sorse dando alla sabbia l’aspetto di una serie di onde rosate congelate nel momento in cui le creste si frangevano.
La temperatura si innalzò immediatamente e l’aria divenne rovente.
Le uniformi da combattimento desertiche avevano un sistema di raffreddamento alimentato da un piccolo generatore a CLT-5 grosso quanto una noce dissimulato nella cintura da combattimento, per cui il corpo ed il capo sotto l’elmetto balistico erano tenuti al fresco.
Il viso, invece, riceveva in pieno il morso del sole e della sabbia.
Rimediammo coprendo gli occhi con gli occhialoni e la parte inferiore del viso con la bandana in dotazione. L’acqua divenne la priorità. Le ore passarono lente, gli occhi si perdevano nelle curve ripetute all’infinito delle dune, fino a diventare nell’aria tremolante per il calore delle presenze indistinte. Il sole passò lo zenith, bruciante come il fuoco biblico che aveva distrutto Sodoma e Gomorra nelle antiche scritture. Ringraziai mentalmente la tecnologia della Federazione, che ci permetteva di resistere esposti a quell’ordalia di luce e di calore.
Fu poco prima del tramonto che udii la voce di Hassan nella radio.
«Signore, abbiamo visite.»
«Chi è?»
«Gli passo la scansione… Sembra un umanoide. E… Oh cazzo! Un Urdas!»
Urdas qui? Impossibile!
«Hassan, non sparate se non vi do ordine io! Chiaro?» ringhiai via radio.
«Ricevuto. Distanza… Due chilometri circa!»
Guardai la scansione che mi aveva mandato Abizaid sul tablet ed ingrandii.
Un Nameriano. Non è un Urdas. Abizaid ha equivocato, come ho fatto io quando ho visto Hirkan Gelek. Che ci fa un Nameriano nell’alto deserto di Myrin?
«Non sparare Hassan. Non è un Urdas. È un Nameriano.»
«Si avvicina signore. Dritto da questa parte.»
«È armato?»
«Ha solo un bastone con se, signore. Non sembra portare armi. Lo fermiamo?»
E come farete a fermarlo? Non conoscete la sua lingua. Io, anche se non so come, si.
«Abizaid! Tenetelo sotto tiro ma non sparate se non c’è pericolo immediato! Sto arrivando!»
Mi voltai verso Taczak.
«Tac, vado dal tenente Abizaid. Prendi tu il comando qui.»
«Si, signore.»
Scesi la duna dove eravamo appostati quasi correndo. Non era semplice come si potrebbe supporre, con i piedi che affondano nella sabbia ed altra sabbia che frana dietro di te mentre ti muovi. Voltai verso sud, in direzione dell’oasi. Evitai di passare attraverso il sito di estrazione, ma questo comportò salire e scendere altre due file di dune. Se scendere era stato faticoso, salire pendii di sabbia alti quanto una piccola collina fu un’esercizio estenuante, anche tenendo conto della forma fisica in cui ero, e cioè quella di un Marine in piena capacità di combattimento.
Maledii la scelta di aver ordinato di indossare l’armatura individuale, che proteggeva il torso.
Quando cominciai a salire una terza duna, dove era la pattuglia di Abizaid, la sabbia più fine, sottile come talco, aveva cominciato ad appiccicarsi all’uniforme da combattimento madida di sudore.
Vidi, appena accennate, le sagome dei Marines sulla cresta e, tramite HUD che avevo sull’elmetto, individuai la posizione di Abizaid. Arrivai accanto a lui strisciando, ansimante.
Abizaid era in osservazione con il suo visore.
Si girò un attimo verso di me.
«Ben arrivato signore. Il nostro contatto è a cinquecento metri. Sembra proprio che ci abbia individuati.»
«Non riesco a capire come. Faccio fatica io a vedere dove siete, e so le vostre posizioni solo tramite il mio HUD.»
«Cosa facciamo?»
«Nulla. Tenetelo sotto tiro, ma sparate solo su mio ordine.»
«Ricevuto.»
Abizaid ripetè le mie disposizioni con decisione via radio al resto della pattuglia.
Quando l’alta figura fu a cento metri potei distinguere nettamente i tratti del fenotipo Nameriano.
Mi voltai verso Abizaid.
«Hassan, Io adesso mi alzo e gli vado incontro. Scegli due dei tuoi, con un buon angolo di tiro, e digli di tenersi pronti a coprirmi.»
«Si signore.»
Abizaid aprì la radio ed abbaiò rapidamente gli ordini.
«Caporale Chang! Caporale Sharon! Il colonnello esce allo scoperto. Tenete sotto tiro il contatto. E mi raccomando: sparate solo ed esclusivamente su mio ordine! Non voglio problemi di alcun tipo, chiaro?»
«Ricevuto signore!»
«Ricevuto tenente!»
«Ragazzi, se qualcuno spara prima del mio ordine lo lascio senza refrigerante e senza acqua nel deserto. Non fate cazzate!» ringhiò ancora Abizaid.
Dovrebbe andarci più cauto. È ancora troppo ansioso. Comunque fa bene ad assicurarsi di avere tutto sotto controllo.
Diedi una pacca sulla spalla del Libanese e si alzò una piccola nuvola di sabbia fine.
«Ben fatto, Hassan. Vado.»
Mi alzai e posizionai il fucile sulla schiena.
Mi bastava afferrarlo per il guardamano anteriore per riportarlo in posizione di tiro.
Le braccia erano rilassate, lungo i fianchi, in posizione naturale.
E naturalmente la mano si era poggiata in prossimità dell’impugnatura della pistola, infilata nella fondina cosciale. La figura si fermò di colpo.
Non ci aveva visti! Allora dove… Il sito di estrazione! Era diretto li! Non si aspettava di trovare qualcuno ad attenderlo…
Rimasi immobile anche io, senza muovere un muscolo ma registrando nel mio cervello tutto quello che vedevo. La figura misteriosa ed io ci fronteggiammo in questo modo silenzioso per qualche minuto, poi mi mossi verso di lei, alzando la mano sinistra in segno di saluto. La figura ricambiò a sua volta.
Forse non ha intenzioni ostili.
Il Nameriano ricominciò a camminare nella mia direzione, agitando la mano ad intervalli più o meno regolari ed aiutandosi nel cammino sulle dune con li bastone.
Quando fu ad un paio di metri da me si fermò di nuovo, e parlò.
Ancora una volta, riuscii a capire perfettamente ogni parola.
«Lunga vita all’Imperatore! Ho sentito questa notte il ronzio a bassa frequenza di motori antigravità. Credevo che fossero navi della nostra flotta. Invece ho davanti a me un soldato alieno che cammina nella parte più calda e desolata di Myrin. Ci state invadendo, per caso? Perché se è cosi qui non c’è molto da conquistare.»
Scoppiai a ridere. Fu una cosa naturale. Il Nameriano mi guardava con i suoi occhi da rettile, anche se le espressioni del suo volto erano perfettamente leggibili. Emise un suono ritmico che interpretai come se stesse ridendo anche lui.
«Suppongo non ci stiate invadendo, allora. Gli invasori hanno scarso senso dell’umorismo.»
Scossi la testa.
«No non stiamo invadendo Myrin. Stiamo solo facendo rifornimento. Non siamo ostili.»
«Ma sei ben armato e quella mi pare un’uniforme. Molto appropriata per l’ambiente: non ti ho visto fino a quando non ti sei alzato in piedi.»
Usa frasi confidenziali. Non ha paura e non mostra disagio. A guardarlo bene… Sembra molto anziano. Ma anche molto vitale.
«Viaggiamo attraverso la Galassia. Ci fermiamo in mondi sconosciuti. Per questo siamo armati. Non siamo ostili ne verso di te ne verso l’Imperatore. Eri tu questa notte che ci osservavi?»
«No. Non ero io. Il deserto ha molti occhi. E non tutti sono benevoli. Myrin è un posto pericoloso in questo periodo.»
«Una ragione in più per essere armati… Il tuo nome?»
«Mumak lo Scienziato. Almeno è cosi che mi chiamano ad Anfar, l’oasi che sorge qui vicino, e l’unica per centinaia di chilometri.»
«Il mio è colonnello Dexter Dax, Corpo dei Marines.»
«Colonnello è il tuo grado? E’ molto alto?»
«Appena al di sotto di Generale.»
«Ah, un curbak! Bene curbak Dax, sono curioso di vedere cosa state facendo, di vedere la tua nave, di sapere delle tue usanze, che carburante usate, da dove venite…»
È contro tutte le regole. Non dovrei nemmeno parlargli. L’avrei dovuto uccidere e basta, secondo i dettami di una missione segreta e vitale come questa.
«Mumak, ti parlerò in maniera sincera. Siamo in missione per conto del nostro governo. Una missione segreta, pericolosa e molto importante per noi. Ne va della nostra sopravvivenza. Non posso farti avvicinare al nostro… Accampamento.»
«Va bene. Allora vieni tu al mio accampamento. Dovrete fare anche rifornimento di acqua, no? E poi… Non è consigliabile restare nel deserto. I Tawar sono in rivolta. Non hanno simpatia ne per i Nameriani, ne per l’Impero ne per gli stranieri.»
«Tawar?»
«È il popolo del deserto di Myrin. Non si sono mai sottomessi all’Imperatore. Ed ora la rivolta è al culmine.»
«Erano loro questa notte?»
«Molto probabilmente, anche se i ribelli non si sono mai spinti cosi a sud. Sono silenziosi e rapidi. Sanno sopravvivere nel deserto come nessun’altro. E sanno anche combattere nel deserto. Probabilmente è solo una pattuglia di ricognizione. Ma un paio di città verso il Grande Mare Interno di Myrin, fondate dall’Impero, sono state conquistate.»
Siamo in pericolo. Devo avere più informazioni. E per farlo devo correre qualche rischio aggiuntivo.
«È il tramonto, Mumak. Fino ad Anfar è qualche ora di cammino ed in piena notte, come hai detto, non è senza pericoli.»
«Nel deserto è il momento migliore per muoversi. Ma anche per essere uccisi in silenzio.»
«Ho deciso, al contrario di quanto ti avevo detto prima, che ti ospiterò nel mio accampamento e sarai protetto dai miei Marines.»
«Cambiare idea è segno di saggezza, curbak. In genere un invasore è poco saggio.»
Aprii la radio e dovetti fare un piccolo sforzo per parlare in Inglese Standard.
«Qui Dax a tutto Odissey. Abbiamo un’ospite per stanotte. Non è ostile, ripeto, non è ostile. Che nessuno spari. Hassan?»
«Ricevuto. Ragazzi! Mettete le sicure ai vostri fucili! Non sparate! Non sparate, chiaro? Confermate.»
Arrivarono le conferme dei tiratori sotto il comando di Abizaid.
«Da questa parte Mumak.»

Il sito di estrazione era stato spianato, proprio in mezzo ad una serie di dune, ed era sorta una duna artificiale dove la sabbia era stata rimossa fino quasi alla superficie rocciosa.
La trivella di estrazione formava una specie di piramide con alla sommità il potentissimo laser di perforazione ed i motori che muovevano i tubi che portavano i superficie il PCLT-5 grezzo.
Accanto c’era la navetta mineraria. E uomini in uniforme da combattimento desertica con le mostrine blu della Flotta Stellare.
Mumak guardava affascinato in silenzio.
«Curbak… Vedo soldati di altra specie attorno alla macchina ed alla tua astronave» mormorò improvvisamente Mumak.
«Si. Sono Dariani. E la Flotta della Federazione include anche Elassani, Morassiani, qualche Naminiano. Non siamo tutti Terrestri…»
Mumak si girò di scatto.
«Terrestri? Tu sei Terrestre?»
«Si.»
Mumak scosse la testa.
«Non avrei mai immaginato che questo giorno sarebbe giunto.»
«Di che parli Mumak?»
Il Nameriano si accucciò lentamente a terra, sostenendosi al bastone.
«La sventura sta per abbattersi su Namer se io sto parlando con dei Terrestri.»
«Mumak non mi risulta che noi Terrestri portiamo cattiva fortuna.»
Il Nameriano scosse ancora la testa.
«No, ma porterete con voi gli Urdas.»
Ebbi un brivido lungo la schiena.
«Gli Urdas sono nostri nemici, Mumak. I mondi della Federazione stanno morendo a causa loro.»
Seguì un lungo silenzio, interrotto solo dai rumori attutiti della trivellazione e della sabbia che si muoveva franando dalle dune.
Mentre aspettavo una spiegazione dal Nameriano, una figura femminile in uniforme si avvicinò rapidamente: Bema Tirex.
«Colonnello Dax, il primo carico di PCLT-5 è pronto. Vorrei decollare e tornare giù prima possibile. Avrei intenzione di pianificare l’estrazione ed il trasporto dei carichi per farne il più possibile durante la notte.»
Annuii.
«Succede qualcosa, colonnello? La sento… La sento preoccupato.»
«Tracce degli Urdas. Il Nameriano…»
«Sono stati qui?» domandò con irruenza Tirex, interessata.
«Non lo so. Il Nameriano crede che noi condurremo gli Urdas a Namer.»
«È empatico, colonnello?»
«No. Perché?»
«Perché il Nameriano è preoccupato quanto lei. Siete due ricettacoli di negatività. Preferirei partire subito. Mi sento soffocare.»
«Permesso di decollo accordato, Tirex. Tra quanto sarà giù di nuovo?»
«Al massimo tra un paio di ore. Abbiamo un altro carico da portare su prima dell’alba.»
«Perfetto.»
La figura formosa e scattante di Bema Tirex si allontanò facendo scricchiolare la sabbia sotto i suoi passi.
Ruppi il silenzio in lingua nameriana.
Il suono della mia voce mi causò una leggera vertigine.
«Cosa ne sai degli Urdas, Mumak? Da noi sono sinonimo di distruzione. Hanno avvelenato interi mondi dalle mie parti. Hanno ucciso milioni di persone. Anche miei soldati e miei amici. Non ho più casa a causa loro. Mumak… Io non ho mai odiato il nemico contro cui ho combattuto. Gli Urdas mi hanno insegnato l’odio.»
Nella notte le iridi negli occhi del Nameriano si erano aperte, assorbendo ogni singola stilla di luce. Mi guardava.
«Conosco molto bene i Figli di Urdas, curbak Dax. Oh si… Molto bene. Perché io conoscevo colui che li ha generati, Ur in persona.»
Il vecchio Nameriano si rizzò lentamente in piedi.
«Io sono stato allievo di Ur e suo aiutante qui, su Myrin, dove Ur aveva stabilito i suoi laboratori. È molto tempo che nessuno mi chiama più con il mio vero nome e molti mi credono morto… Io sono Cirlik Navan.»

(Copyright 2016 Paul J. Horten diritti riservati)  

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