«Signore,
abbiamo di nuovo rilevato dei movimenti» disse la voce di De La Rey.
«Che
settore?» chiesi con voce calma.
«Nord-est.»
«Identificazione?»
«Negativa
signore. Sono sfuggenti come delle ombre.»
Ombre contro fantasmi. A
miliardi di anni luce da casa nostra.
Girai
lo sguardo.
Solo
dune di sabbia alte quanto case di sei piani.
Ed il
freddo secco, tipico del deserto.
Siamo atterrati da poche ore su Myrin
e già qualcuno ci tiene sotto osservazione.
Il
brusio della trivella di estrazione arrivò attutito, incrinando appena un
silenzio fatto di scricchiolii, di piccole frane di sabbia, di animali che
andavano strisciando sulle dune in caccia di cibo.
Eravamo
usciti appena ventiquattro ore prima dal wormhole che Tsmir chiamava La Porta
di Myrin e Mox aveva lanciato le sonde sui tre pianeti più vicini.
E
proprio su Myrin avevamo trovato un giacimento insolitamente ricco di PCLT-5,
in pieno deserto, nella fascia tropicale del pianeta.
Sarebbe
stato perfetto: il deserto era un posto dove normalmente avremmo potuto fare
l’estrazione inosservati. Invece nelle vicinanze del sito di perforazione c’era
un’oasi, una macchia verde quasi circolare del diametro di cinque chilometri,
con alberi simili alle palme dalle grandi foglie verdeazzurre ed i tronchi in
legno (suppongo fosse tale…) chiarissimo, la corteccia liscia come quella di
una betulla.
Il
Guardone vi aveva rilevato presenze biologiche ed una una forma di
urbanizzazione.
I
parametri ambientali erano ottimali per la vita umanoide: Myrin aveva
un’atmosfera di ossigeno ed azoto nelle giuste proporzioni. Le scansioni
spettrografiche avevano denunciato la presenza di abbondante acqua nell’oasi. A
parte quella presenza, il più vicino insediamento era un minuscolo villaggio oltre
una cresta di montagne con la roccia scavata dal vento, a circa duecento
chilometri. Il pianeta stesso, pur abbondando di vegetazione nella zona
temperata, sembrava stranamente spopolato.
Quando
arrivammo a Myrin avevamo lasciato Primus da quasi tre settimane ed il tempo
scoccava rintocchi sempre più cupi avvicinandoci verso la scadenza dettata
dall’ammiraglio Stennis, dopo che mi aveva dato il via per ODISSEY.
Avevo
valutato ogni cosa assieme ai miei ragazzi e quindi avevo deciso di non
aspettare e che sarebbe sceso l’intero squadrone appiedato, in quanto atterrare
con gli Eso ci avrebbe fatto sicuramente notare. In caso di bisogno, i piloti
sarebbero scesi con i Dragonfly e gli Eso agganciati.
Dal
momento in cui i pattini di atterraggio dei Drangofly avessero toccato terra
gli Eso sarebbero stati operativi e letali in soli tre minuti.
Per
raggiungere la superficie del pianeta avevamo usato la navetta mineraria della UFSS Mohawk ed a parte lo stile di guida
del tenente Rovax la discesa era stata liscia e senza inconvenienti. Come al
solito, era avvenuta quando nell’emisfero dove dovevamo agire era notte
inoltrata.
Il perimetro
da sorvegliare era ampio: non c’erano punti dove ancorare una difesa e fare
perno. Solo una distesa sterminata di dune di sabbia.
Prima
ancora che i motori antigravità della navetta si fossero spenti, eravamo
schizzati fuori dalla rampa di carico, ci eravamo divisi in quattro pattuglie
da cinque Marines ognuno ed avevamo stabilito un perimetro a trecentosessanta
gradi, con particolare attenzione al lato che dava verso l’oasi.
Proprio
quando sembrava che non ci fossero problemi, la pattuglia di De La Rey, a nord
verso il deserto aperto, aveva rilevato dei movimenti furtivi.
Guardai
verso l’alto.
Quell’ambiente
aveva tanti svantaggi: mancanza d’acqua e di verde, natura ostile, caldo come
un forno di giorno e freddo come l’inverno la notte. Ma nessun cielo era
profondo, pulito e pieno di stelle come quello che copriva un deserto.
Sembrava
di poter alzare la mano e di poter toccare quel brillio prezioso e palpitante.
E
nessun altro cielo ti faceva sentire l’isolamento e la lontananza da casa.
Riportai
lo sguardo verso il basso e scandagliai le dune attorno.
Sull’HUD,
quando incrociavo le posizioni delle pattuglie, i triangoli rossi con i
contrassegni si sovrapponevano al paesaggio.
Eravamo
l’unica presenza della Federazione in quell’angolo sperduto di Via Lattea.
Scacciai
il pensiero che fossimo tutto quello che ne rimaneva.
Aprii
la radio, bisbigliando.
«Pietter,
qui Dax. Altri movimenti?»
Avevo
abolito i nominativi in codice. Difficilmente ci sarebbe stato qualcuno in
grado di tradurre una lingua aliena come l’Inglese Standard. E poi volevo che
ci si sentisse più uniti, esaltare lo spirito di corpo.
«Negativo,
Dexter. Non rileviamo più niente.»
«Un
animale notturno? Tu sei stato un cacciatore in Sudafrica ed una guida.»
«Ero un
ranger del Kruger Park prima di arruolarmi, Dexter. E quello non è un animale
notturno. Era un umanoide. Sono sicuro.»
«Se non
siete minacciati non sparate. Non voglio guai.»
«Ricevuto,
Dexter.»
«Katrhyn?
Tu hai avuto contatti?»
«Negativo,
Dexter. Qui tutto tranquillo.»
Ora la pattuglia verso l’oasi.
Non a caso l’ho data ad Abizaid. Si sentirà a casa…
Poi ricordai
che Hassan Abizaid era libanese. Ed in Libano non c’è alcun deserto, ma il mare
e le montagne della Beka’a, che si incappucciano di neve in inverno.
«Hassan,
rapporto.»
«Negativo
signore. Non si muove niente.»
Nella
mia pattuglia c’era il capitano Turing, alla sua prima uscita in combattimento.
Era nervoso ed eccitato all’idea. Con Taczak ci eravamo guardati e capiti. Il
mio sguardo aveva detto al polacco: Fai
da balia al capitano Turing e fai in modo che non si faccia ammazzare.
«Ascoltate
tutti… » iniziai per radio «… La pattuglia di Pietter ha rilevato movimenti
umanoidi dalla sua parte. Ci sono degli spazi tra una pattuglia e l’altra. Non
voglio che qualcuno si infiltri tra quegli spazi e possa prendervi alle spalle.
Quindi i perni alle estremità pongano attenzione nel settore a lato del proprio
fronte. È chiaro?»
Ottenni
il ricevuto di tutti.
Poi
chiamai Bema Tirex.
«Tenente
Tirex, Rapporto.»
«Abbiamo
finito la perforazione esplorativa, colonnello. C’è una vena di PCLT-5
ricchissima: non arriveremo a sfruttarla tutta. Segno il luogo con un
rilevatore semmai dovessimo averne bisogno di nuovo.»
«Ricevuto.
Quando cominciate ad estrarre?»
«Tre
ore.»
«Tirex…
I carichi vanno trasportati di notte. Non voglio si ripetano gli errori
dell’ultima volta.»
Ci
furono due o tre secondi di silenzio.
Poi
Bema Tirex riaprì la comunicazione.
«Non ce
ne saranno. Tendo a fare gli errori una volta sola.»
«Ne
sono certo, Tirex.»
«Ricevuto.
La avverto quando abbiamo finito l’estrazione.»
«Quando?»
«Per
l’alba avremo il primo carico.»
«Ricevuto.
Chiudo.»
Stabilimmo
dei turni per dormire: uno ogni due. Tre ore di veglia tre ore di sonno.
La
notte non fu confortevole. Dormire all’aperto non lo è quasi mai. Ma passò
senza che le misteriose presenze si facessero vedere. Il sole sorse dando alla
sabbia l’aspetto di una serie di onde rosate congelate nel momento in cui le
creste si frangevano.
La
temperatura si innalzò immediatamente e l’aria divenne rovente.
Le
uniformi da combattimento desertiche avevano un sistema di raffreddamento
alimentato da un piccolo generatore a CLT-5 grosso quanto una noce dissimulato
nella cintura da combattimento, per cui il corpo ed il capo sotto l’elmetto
balistico erano tenuti al fresco.
Il
viso, invece, riceveva in pieno il morso del sole e della sabbia.
Rimediammo
coprendo gli occhi con gli occhialoni e la parte inferiore del viso con la
bandana in dotazione. L’acqua divenne la priorità. Le ore passarono lente, gli
occhi si perdevano nelle curve ripetute all’infinito delle dune, fino a
diventare nell’aria tremolante per il calore delle presenze indistinte. Il sole
passò lo zenith, bruciante come il fuoco biblico che aveva distrutto Sodoma e
Gomorra nelle antiche scritture. Ringraziai mentalmente la tecnologia della
Federazione, che ci permetteva di resistere esposti a quell’ordalia di luce e
di calore.
Fu poco
prima del tramonto che udii la voce di Hassan nella radio.
«Signore,
abbiamo visite.»
«Chi
è?»
«Gli
passo la scansione… Sembra un umanoide. E… Oh cazzo! Un Urdas!»
Urdas qui? Impossibile!
«Hassan,
non sparate se non vi do ordine io! Chiaro?» ringhiai via radio.
«Ricevuto.
Distanza… Due chilometri circa!»
Guardai
la scansione che mi aveva mandato Abizaid sul tablet ed ingrandii.
Un Nameriano. Non è un Urdas.
Abizaid ha equivocato, come ho fatto io quando ho visto Hirkan Gelek. Che ci fa
un Nameriano nell’alto deserto di Myrin?
«Non
sparare Hassan. Non è un Urdas. È un Nameriano.»
«Si
avvicina signore. Dritto da questa parte.»
«È armato?»
«Ha
solo un bastone con se, signore. Non sembra portare armi. Lo fermiamo?»
E come farete a fermarlo? Non
conoscete la sua lingua. Io, anche se non so come, si.
«Abizaid!
Tenetelo sotto tiro ma non sparate se non c’è pericolo immediato! Sto arrivando!»
Mi
voltai verso Taczak.
«Tac,
vado dal tenente Abizaid. Prendi tu il comando qui.»
«Si,
signore.»
Scesi
la duna dove eravamo appostati quasi correndo. Non era semplice come si
potrebbe supporre, con i piedi che affondano nella sabbia ed altra sabbia che
frana dietro di te mentre ti muovi. Voltai verso sud, in direzione dell’oasi. Evitai
di passare attraverso il sito di estrazione, ma questo comportò salire e
scendere altre due file di dune. Se scendere era stato faticoso, salire pendii
di sabbia alti quanto una piccola collina fu un’esercizio estenuante, anche
tenendo conto della forma fisica in cui ero, e cioè quella di un Marine in
piena capacità di combattimento.
Maledii
la scelta di aver ordinato di indossare l’armatura individuale, che proteggeva
il torso.
Quando
cominciai a salire una terza duna, dove era la pattuglia di Abizaid, la sabbia
più fine, sottile come talco, aveva cominciato ad appiccicarsi all’uniforme da
combattimento madida di sudore.
Vidi,
appena accennate, le sagome dei Marines sulla cresta e, tramite HUD che avevo
sull’elmetto, individuai la posizione di Abizaid. Arrivai accanto a lui
strisciando, ansimante.
Abizaid
era in osservazione con il suo visore.
Si girò
un attimo verso di me.
«Ben
arrivato signore. Il nostro contatto è a cinquecento metri. Sembra proprio che
ci abbia individuati.»
«Non
riesco a capire come. Faccio fatica io a vedere dove siete, e so le vostre
posizioni solo tramite il mio HUD.»
«Cosa
facciamo?»
«Nulla.
Tenetelo sotto tiro, ma sparate solo su mio ordine.»
«Ricevuto.»
Abizaid
ripetè le mie disposizioni con decisione via radio al resto della pattuglia.
Quando
l’alta figura fu a cento metri potei distinguere nettamente i tratti del
fenotipo Nameriano.
Mi
voltai verso Abizaid.
«Hassan,
Io adesso mi alzo e gli vado incontro. Scegli due dei tuoi, con un buon angolo
di tiro, e digli di tenersi pronti a coprirmi.»
«Si
signore.»
Abizaid
aprì la radio ed abbaiò rapidamente gli ordini.
«Caporale
Chang! Caporale Sharon! Il colonnello esce allo scoperto. Tenete sotto tiro il
contatto. E mi raccomando: sparate solo ed esclusivamente su mio ordine! Non
voglio problemi di alcun tipo, chiaro?»
«Ricevuto
signore!»
«Ricevuto
tenente!»
«Ragazzi,
se qualcuno spara prima del mio ordine lo lascio senza refrigerante e senza
acqua nel deserto. Non fate cazzate!» ringhiò ancora Abizaid.
Dovrebbe andarci più cauto. È
ancora troppo ansioso. Comunque fa bene ad assicurarsi di avere tutto sotto
controllo.
Diedi
una pacca sulla spalla del Libanese e si alzò una piccola nuvola di sabbia
fine.
«Ben
fatto, Hassan. Vado.»
Mi
alzai e posizionai il fucile sulla schiena.
Mi
bastava afferrarlo per il guardamano anteriore per riportarlo in posizione di
tiro.
Le
braccia erano rilassate, lungo i fianchi, in posizione naturale.
E
naturalmente la mano si era poggiata in prossimità dell’impugnatura della
pistola, infilata nella fondina cosciale. La figura si fermò di colpo.
Non ci aveva visti! Allora dove…
Il sito di estrazione! Era diretto li! Non si aspettava di trovare qualcuno ad attenderlo…
Rimasi immobile
anche io, senza muovere un muscolo ma registrando nel mio cervello tutto quello
che vedevo. La figura misteriosa ed io ci fronteggiammo in questo modo
silenzioso per qualche minuto, poi mi mossi verso di lei, alzando la mano
sinistra in segno di saluto. La figura ricambiò a sua volta.
Forse non ha intenzioni ostili.
Il
Nameriano ricominciò a camminare nella mia direzione, agitando la mano ad
intervalli più o meno regolari ed aiutandosi nel cammino sulle dune con li
bastone.
Quando
fu ad un paio di metri da me si fermò di nuovo, e parlò.
Ancora
una volta, riuscii a capire perfettamente ogni parola.
«Lunga
vita all’Imperatore! Ho sentito questa notte il ronzio a bassa frequenza di
motori antigravità. Credevo che fossero navi della nostra flotta. Invece ho
davanti a me un soldato alieno che cammina nella parte più calda e desolata di
Myrin. Ci state invadendo, per caso? Perché se è cosi qui non c’è molto da
conquistare.»
Scoppiai
a ridere. Fu una cosa naturale. Il Nameriano mi guardava con i suoi occhi da
rettile, anche se le espressioni del suo volto erano perfettamente leggibili. Emise
un suono ritmico che interpretai come se stesse ridendo anche lui.
«Suppongo
non ci stiate invadendo, allora. Gli invasori hanno scarso senso
dell’umorismo.»
Scossi
la testa.
«No non
stiamo invadendo Myrin. Stiamo solo facendo rifornimento. Non siamo ostili.»
«Ma sei
ben armato e quella mi pare un’uniforme. Molto appropriata per l’ambiente: non
ti ho visto fino a quando non ti sei alzato in piedi.»
Usa frasi confidenziali. Non ha
paura e non mostra disagio. A guardarlo bene… Sembra molto anziano. Ma anche
molto vitale.
«Viaggiamo
attraverso la Galassia. Ci fermiamo in mondi sconosciuti. Per questo siamo
armati. Non siamo ostili ne verso di te ne verso l’Imperatore. Eri tu questa
notte che ci osservavi?»
«No.
Non ero io. Il deserto ha molti occhi. E non tutti sono benevoli. Myrin è un
posto pericoloso in questo periodo.»
«Una
ragione in più per essere armati… Il tuo nome?»
«Mumak
lo Scienziato. Almeno è cosi che mi chiamano ad Anfar, l’oasi che sorge qui
vicino, e l’unica per centinaia di chilometri.»
«Il mio
è colonnello Dexter Dax, Corpo dei Marines.»
«Colonnello
è il tuo grado? E’ molto alto?»
«Appena
al di sotto di Generale.»
«Ah, un
curbak! Bene curbak Dax, sono curioso
di vedere cosa state facendo, di vedere la tua nave, di sapere delle tue
usanze, che carburante usate, da dove venite…»
È contro tutte le regole. Non
dovrei nemmeno parlargli. L’avrei dovuto uccidere e basta, secondo i dettami di
una missione segreta e vitale come questa.
«Mumak,
ti parlerò in maniera sincera. Siamo in missione per conto del nostro governo.
Una missione segreta, pericolosa e molto importante per noi. Ne va della nostra
sopravvivenza. Non posso farti avvicinare al nostro… Accampamento.»
«Va bene.
Allora vieni tu al mio accampamento. Dovrete fare anche rifornimento di acqua,
no? E poi… Non è consigliabile restare nel deserto. I Tawar sono in rivolta.
Non hanno simpatia ne per i Nameriani, ne per l’Impero ne per gli stranieri.»
«Tawar?»
«È il popolo
del deserto di Myrin. Non si sono mai sottomessi all’Imperatore. Ed ora la
rivolta è al culmine.»
«Erano
loro questa notte?»
«Molto
probabilmente, anche se i ribelli non si sono mai spinti cosi a sud. Sono
silenziosi e rapidi. Sanno sopravvivere nel deserto come nessun’altro. E sanno
anche combattere nel deserto. Probabilmente è solo una pattuglia di
ricognizione. Ma un paio di città verso il Grande Mare Interno di Myrin,
fondate dall’Impero, sono state conquistate.»
Siamo in pericolo. Devo avere
più informazioni. E per farlo devo correre qualche rischio aggiuntivo.
«È il
tramonto, Mumak. Fino ad Anfar è qualche ora di cammino ed in piena notte, come
hai detto, non è senza pericoli.»
«Nel
deserto è il momento migliore per muoversi. Ma anche per essere uccisi in
silenzio.»
«Ho
deciso, al contrario di quanto ti avevo detto prima, che ti ospiterò nel mio
accampamento e sarai protetto dai miei Marines.»
«Cambiare
idea è segno di saggezza, curbak. In
genere un invasore è poco saggio.»
Aprii
la radio e dovetti fare un piccolo sforzo per parlare in Inglese Standard.
«Qui
Dax a tutto Odissey. Abbiamo un’ospite per stanotte. Non è ostile, ripeto, non
è ostile. Che nessuno spari. Hassan?»
«Ricevuto.
Ragazzi! Mettete le sicure ai vostri fucili! Non sparate! Non sparate, chiaro?
Confermate.»
Arrivarono
le conferme dei tiratori sotto il comando di Abizaid.
«Da
questa parte Mumak.»
Il sito
di estrazione era stato spianato, proprio in mezzo ad una serie di dune, ed era
sorta una duna artificiale dove la sabbia era stata rimossa fino quasi alla
superficie rocciosa.
La
trivella di estrazione formava una specie di piramide con alla sommità il
potentissimo laser di perforazione ed i motori che muovevano i tubi che
portavano i superficie il PCLT-5 grezzo.
Accanto
c’era la navetta mineraria. E uomini in uniforme da combattimento desertica con
le mostrine blu della Flotta Stellare.
Mumak
guardava affascinato in silenzio.
«Curbak… Vedo soldati di altra specie
attorno alla macchina ed alla tua astronave» mormorò improvvisamente Mumak.
«Si.
Sono Dariani. E la Flotta della Federazione include anche Elassani, Morassiani,
qualche Naminiano. Non siamo tutti Terrestri…»
Mumak
si girò di scatto.
«Terrestri?
Tu sei Terrestre?»
«Si.»
Mumak
scosse la testa.
«Non
avrei mai immaginato che questo giorno sarebbe giunto.»
«Di che
parli Mumak?»
Il
Nameriano si accucciò lentamente a terra, sostenendosi al bastone.
«La
sventura sta per abbattersi su Namer se io sto parlando con dei Terrestri.»
«Mumak
non mi risulta che noi Terrestri portiamo cattiva fortuna.»
Il
Nameriano scosse ancora la testa.
«No, ma
porterete con voi gli Urdas.»
Ebbi un
brivido lungo la schiena.
«Gli
Urdas sono nostri nemici, Mumak. I mondi della Federazione stanno morendo a
causa loro.»
Seguì
un lungo silenzio, interrotto solo dai rumori attutiti della trivellazione e della
sabbia che si muoveva franando dalle dune.
Mentre
aspettavo una spiegazione dal Nameriano, una figura femminile in uniforme si
avvicinò rapidamente: Bema Tirex.
«Colonnello
Dax, il primo carico di PCLT-5 è pronto. Vorrei decollare e tornare giù prima
possibile. Avrei intenzione di pianificare l’estrazione ed il trasporto dei
carichi per farne il più possibile durante la notte.»
Annuii.
«Succede
qualcosa, colonnello? La sento… La sento preoccupato.»
«Tracce
degli Urdas. Il Nameriano…»
«Sono
stati qui?» domandò con irruenza Tirex, interessata.
«Non lo
so. Il Nameriano crede che noi condurremo gli Urdas a Namer.»
«È
empatico, colonnello?»
«No.
Perché?»
«Perché
il Nameriano è preoccupato quanto lei. Siete due ricettacoli di negatività.
Preferirei partire subito. Mi sento soffocare.»
«Permesso
di decollo accordato, Tirex. Tra quanto sarà giù di nuovo?»
«Al
massimo tra un paio di ore. Abbiamo un altro carico da portare su prima
dell’alba.»
«Perfetto.»
La
figura formosa e scattante di Bema Tirex si allontanò facendo scricchiolare la
sabbia sotto i suoi passi.
Ruppi
il silenzio in lingua nameriana.
Il
suono della mia voce mi causò una leggera vertigine.
«Cosa
ne sai degli Urdas, Mumak? Da noi sono sinonimo di distruzione. Hanno
avvelenato interi mondi dalle mie parti. Hanno ucciso milioni di persone. Anche
miei soldati e miei amici. Non ho più casa a causa loro. Mumak… Io non ho mai
odiato il nemico contro cui ho combattuto. Gli Urdas mi hanno insegnato
l’odio.»
Nella
notte le iridi negli occhi del Nameriano si erano aperte, assorbendo ogni
singola stilla di luce. Mi guardava.
«Conosco
molto bene i Figli di Urdas, curbak
Dax. Oh si… Molto bene. Perché io conoscevo colui che li ha generati, Ur in
persona.»
Il
vecchio Nameriano si rizzò lentamente in piedi.
«Io
sono stato allievo di Ur e suo aiutante qui, su Myrin, dove Ur aveva stabilito
i suoi laboratori. È molto tempo che nessuno mi chiama più con il mio vero nome
e molti mi credono morto… Io sono Cirlik Navan.»
(Copyright 2016 Paul J. Horten diritti riservati)
Nessun commento:
Posta un commento