domenica 21 agosto 2016

ANTEPRIMA "RESURREZIONE": Capitolo 2 – NELLA TORMENTA



L’inverno tra le montagne di Par-Dak era rigido.
Dibso ci aveva detto che Tsmir non era nel villaggio. Era partito due giorni prima con il Mercante Nero, l’astronave che avevamo catturato ad un contrabbandiere nameriano di nome Hirkan Gelek, e sarebbe ritornato solo tra altri cinque o sei. Nell’attesa avevamo occupato i ripiani più bassi del villaggio, che sorgeva all’interno dell’enorme sistema di caverne.
Daria e Glora Imex avevano organizzato un ambulatorio in uno dei locali, ricevendo un’infinità di visite sia per motivi medici, sia per curiosità.
Uno dei visitatori era una madre con la figlioletta. La piccola era una delle pazienti che Glora aveva curato da una brutta frattura e la bambina aveva mostrato con orgoglio alla Dariana la gamba completamente guarita.
Dopo due giorni avevo fatto togliere tutti gli OP sulle montagne e rinforzato la guarnigione a terra attorno al villaggio.
Avevo preso questa decisione per due motivi.
Il primo era che ormai eravamo certi che non ci fossero ne droni ne osservatori delle truppe imperiali nascosti da qualche parte, e quindi affidavamo la sorveglianza ad un paio di postazioni appena fuori il villaggio, più comode e che consentivano di fare una rotazione più agevole tra i Marines, ed all’IPMD della UFSS Moras.
Il secondo era che dall’astronave in orbita ci avevano avvertito dell’arrivo di una perturbazione, con venti e tormente di neve di altissima intensità.
Il servizio meteorologico non si sbagliava. Il vento ora frustava l’aria davanti alla caverna, ammucchiando la neve, portando le temperatura molto al di sotto dello zero e rendendo doloroso uscire all’aperto senza protezione per il corpo, specialmente per il volto, perché le raffiche violente trasformavano la neve in lame di ghiaccio fluttuanti nell’aria. Al culmine del maltempo, tolsi anche la postazione all’esterno, sostituendola con dei turni di guardia in prossimità dell’immensa imboccatura della caverna. Era inutile esporre i miei uomini a quel flagello.

Mi sentivo frustrato per quella perdita di tempo, ma non c’era niente altro da fare, per cui mi concentrai sugli uomini, su Daria e cercai con lei e con Glora di trovare una spiegazione sul fatto che ero in grado di parlare la lingua nameriana.
«Ti avevo detto che il Meh-Namer non era un semplice traduttore, Dex» disse Glora posando la tazza vicino alla cuccuma fumante di tè di montagna. Daria sedeva silenziosa poco distante, sorseggiando dalla sua tazza e ci guardava conversare.
La piccola stanza dove eravamo fungeva da vestibolo dell’ambulatorio improvvisato, in uno dei rari momenti, in genere verso il tramonto quando i pardak si ritiravano, in cui non arrivava più nessuno per farsi visitare.
«L’avresti dovuto capire quando, indossandolo, hai potuto non solo capire il nameriano ma anche leggerlo.»
«A te non è successo? Lo hai usato anche tu.»
«Siamo specie differenti te ed io. Tu Terrestre ed io Dariana. A livello sinaptico siamo diversi.»
Sorrisi.
«Questo senza dubbio, Glora.»
«Quando è stata l’ultima volta che hai pensato o parlato in nameriano?»
Strizzai gli occhi per un’attimo.
La figura del guerriero Urdas nella sua armatura individuale comparve vivida nella mia mente. La rimossi con la forza della volontà, assieme all’ira che si stava accendendo a quella visione.
Riaprii gli occhi.
«Di ritorno da Moras. Durante la discesa d’assalto su Primus. Ero in contatto empatico con Daria.»
Daria scosse la testa.
«Ho percepito un’odio ed una rabbia spaventosi. Ma non erano tuoi, Dex. Mi hanno ricordato le emozioni dell’Urdas che catturammo su Erya. Non ho avuto visioni, però.»
«Nessun’altra occorrenza?» insistè Glora.
«No. Non è più capitato.»
«Deve essere stato qualche fattore ambientale.»
«Oppure» intervenne Daria «L’influenza di qualche Urdas dal campo telepatico estremamente forte.»
«Ipotesi interessante, Daria» rispose Glora inclinando il capo leggermente di lato.
Non ebbe tempo di aggiungere altro perché sentimmo bussare leggermente.
Si affacciò il tenente Taczak.
«Colonnello... Tsmir è tornato. Dibso mi ha detto che è atterrato con il Mercante Nero e domani mattina si metterà in marcia verso il villaggio.»
«Con questo tempo da lupi?» esclamai stupefatto.
«Si signore. Saranno qui verso ora di pranzo.»
Ora le cose cominciano ad ingranare per il verso giusto. Abbiamo perso una settimana fermi a Par-Dak. Sono sicuro che Tsmir ci potrà fornire le informazioni che mi servono.
«Grazie Tac. Senti se hanno bisogno di scorta o di aiuto da parte nostra.»
«Si signore» rispose pronto il Polacco, poi uscì e richiuse la porta, lasciando il lontano sibilo del vento all’esterno.
«Sono stanca morta» mormorò Glora «Vi lascio al vostro tè, io mi ritiro nella mia cuccia.»
Glora indossò il giaccone mimetico dei Marines in Hypertex sopra l’uniforme della Flotta ed uscì dalla stanza. Daria ed io rimanemmo soli.
«Dex…» disse lei posando la tazza.
«Si?»
«Cosa c’è tra te e Glora?»
La domanda mi colse completamente spiazzato.
«Che intendi con cosa c’è tra te e Glora esattamente?»
«Credo di conoscere bene l’Inglese Standard per farmi capire anche da un Terrestre.»
Sorseggiai il tè, e la bevanda corroborante e calda mi rinfrancò.
Ridussi la mia mente ad una lavagna grigia.
Poi dalla lavagna emersero due volti: Daria e Hadi.
«Profonda amicizia. Non sono innamorato di altri se non di te» risposi lentamente.
«Dex… Lei ti vuole.»
«Lo so. Non può avermi. Lo sai.»
«Tu la vuoi?»
Scossi la testa deciso.
«No. Ma le voglio bene. Daria… Glora non è come le altre Dariane. E sa quale è il suo posto…»  «… Due donne nella stessa casa sono follia… È un vostro proverbio» aggiunsi.
Daria rise e potei percepire che si scioglieva la tensione.
«Cosa ti preoccupa, amore?»
Lei scosse la testa a sua volta.
«È una cosa totalmente insolita per noi Dariani sentire che il proprio partner è desiderato da qualcun altro. Mi fa sentire spaventata e disorientata.»
«Io non emano l’ehim’rach, tesoro. Non posso respingere le altre femmine Dariane con i vostri ferormoni da post-innamoramento. Ma qualsiasi Dariana può sentire quanto ti amo. A quanto pare tutte tranne te.»
Il tono era scherzoso, ma vidi gli occhi di Daria inumidirsi  ugualmente.
L’abbracciai e la tenni stretta a me a lungo, memore di quando ero stato in quel luogo senza la speranza di rivederla più.
«Io ti sento ogni momento, Dex. Ogni momento.  Ma questa… È… È una cosa totalmente nuova per me. Non so che fare, come gestirla.»
Senza smettere di abbracciarmi mi guardò.
«Suppongo sia il prezzo da pagare per non aver sposato un Dariano…»
Si sciolse dall’abbraccio e si deterse le lacrime.
«Scusami. Non so quello che dico. Hai una moglie sciocca.»
«Non lo dire nemmeno per scherzo, Daria. Conosco poche donne forti e sagge come sei tu.»
«E come Glora Imex…»
«Glora non mi interessa come una donna può interessare ad un uomo» risposi con decisione ma cercando di lasciar trasparire un minimo di dolcezza.
«Come fate voi Terrestri a vivere nell’incertezza di chi amate?»
Ci pensai un’attimo su.
E mi parve che l’Umanità, vista da fuori, fosse composta da folli. Amare qualcuno tanto da dedicargli la vita ed un momento dopo non amarlo più era una cosa che nella società terrestre succedeva in continuazione. Gli Umani erano fatti cosi. Ma vivere con Daria mi aveva lentamente instillato un punto di vista diverso. E nonostante fosse frutto di un condizionamento genetico della loro specie, l’atteggiamento Dariano verso le unioni tra uomini e donne mi pareva infinitamente più saggio e sensato.
«Non lo so. Noi Terrestri facciamo molte cose che non hanno apparentemente senso. Come cercare di sopravvivere anche se non abbiamo alcuna speranza. O inoltrarci tra le stelle, in cerca di una via per salvare il nostro mondo, come stiamo facendo ora. Ci aggrappiamo ad una visione tenue come un sospiro nella notte. Ed a volte, se non combiniamo disastri, riusciamo anche a fare miracoli, Daria. Come quello che porti in grembo. E nel cuore.»
«È la mente, Dex, che mi porta a dubitare. Se ascolto il cuore, curiosamente, mi suggerisce solo certezze su di te.»
Esitò un’attimo.
«Ti ha toccato?»
«Si. Mi manifesta la sua amicizia come fanno le Terrestri. Ma solo quando nessuno di voi guarda. Devi ammettere che Glora è fuori degli standard dariani, però.»
«Sapevo che era un personaggio singolare. Davvero non chiede sesso quando ti abbraccia?»
«Davvero. E con il tempo è diventata immune dal knar’a-dar»
«Stai scherzando?» esclamò Daria sollevando le sopracciglia in una espressione di totale sorpresa.
«Affatto. Lo ha scoperto quando eravamo qui, senza un modo per ritornare. E poi quale donna dariana conosci che a trentacinque anni sia ancora nubile e senza prole?»
«Solo le vedove, Dex. E su Dari ora ce ne sono tante.»
Il pensiero mi riportò alla mente tutti gli interrogativi, che avevo sepolto accuratamente dentro di me, su quello che avremmo trovato al ritorno. Se mai fossimo tornati. E se mai avessimo trovato qualcosa a cui tornare.
«Se Glora fosse Terrestre ti preoccuperesti?»
«No, naturalmente. So i vostri usi.»
«Forse dovresti indagare meglio sui vostri, Daria.»
La risposta la lasciò di nuovo esterrefatta.
«Cosa vuoi dire?»
Forse ho parlato troppo. Siamo soli, sperduti in un settore della Galassia lontanissimo da casa nostra. Perché voglio toglierle anche le sue certezze?
«Nulla. Devo andare ora.»
«Taczak può aspettare»  esclamò morbidamente Daria.
«Non è il momento.»
«Cosa credi di sapere, Dex?»
La guardai per un lungo momento.
«Io non credo. Io so. E tra le cose che so è che se smettessi di amarti cesserei di vivere.»
Poi aprii la porta ed uscii dalla stanza.
L’equilibrio del Keer’Medun si è alterato per un’istante. È ora che Daria cominci a prendere coscienza del passato del suo popolo. A volte aiuta per il futuro.

La tormenta era continuata per tutta la notte e parte della mattinata, accumulando la coltre bianca e gelata fino a formare un muro alto quasi un metro all’entrata dell’enorme caverna.
I pardak si erano dati da fare, scavando un sentiero nella neve largo abbastanza per far passare due di loro.
Mi ero dato da fare, assieme ai miei Marines, per dare una mano per quanto possibile, usando i loro attrezzi anche se erano fatti per persone alte, in media, quasi due metri.
Mano a mano che un sole schermato dalla pesante nuvolaglia si avvicinava allo zenith la tormenta scemava fino a che, proprio a mezzogiorno, il cielo si aprì completamente, il vento e la neve cessarono ed una luce dorata e perfetta illuminò ogni cosa, donando al manto bianco uno splendore abbacinante.
Fu allora che nel sentiero scavato nella neve comparvero le alte figure dei portatori pardak.
In testa alla colonna con gli zaini in spalla c’era Tsmir, appena riconoscibile perché indossava dei grossi occhialoni per proteggersi dal riverbero.
La gente di Par-Dak cominciò a scendere per le ripide scale che univano i vari quartieri in piazze e vie, il villaggio si sviluppava in verticale all’interno dell’immensa caverna, fino a raggiungere terra.
Una processione rutilante di colori e di vestiti sgargianti per festeggiare i migliori uomini di Par-Dak che tornavano dal loro viaggio tra le stelle, portando beni e ricchezza al villaggio.
La folla vociante si era radunata ed io ero in mezzo a loro mentre la piccola formazione entrava nella caverna. Ci fu una moltitudine di abbracci, di parole liete. Intravvidi Dibso avvicinarsi a Tsmir e parlottare animatamente. Tsmir sorrise e poi lo sguardo vagò tra la folla, fino a che non incrociò il mio.
Sorride. È contento di vedermi, buon segno.
Una figura esile lo abbracciò forte: sua moglie Kyra. Poi lo Shar di Par-Dak si diresse verso di me.
Cercai Glora e come per magia me la ritrovai accanto.
«Credo che tra dieci secondi avrò bisogno di te, Glora.»
«Spero che questo non ti crei problemi, Dex.»
Le diedi uno sguardo indagatore senza proferire parola.
«Sono empatica anche io. Tua moglie mi ha trasmesso una grande agitazione. Ed anche un sentimento completamente nuovo, che non so come chiamare. Qualcosa che su Dari non esiste.»
«Si chiama gelosia.»
«Cosa è?»
«La paura di perdere qualcuno che si ama.»
«Non capisco fino in fondo… Cosa teme Daria?»
«Te.»
«Non ha senso…» borbottò Glora dopo averci pensato su un istante.
«Parleremo in un altro momento… Ora ho bisogno delle tue doti di interprete pardak.»
Tsmir finì di avvicinarsi, fece un sorriso con espressione incredula e si toccò il petto con entrambe le mani.
«Kolonelodexterdax!»
«Tsmir!»
Tsmir si avvicinò, poi toccò la sua fronte e la mia, nel tipico saluto allo straniero.
«Gloraimex? Kuasakeimpardak?»
«Motadvars, Tsmir, Motadvars» rispose Glora toccandosi la fronte in segno di saluto.
«Glora, digli che dobbiamo parlargli di cose importanti. Siamo qui a causa degli Urdas» insistei.
Glora tradusse.
Vidi Tsmir lanciarmi due occhiate di sottecchi.
Poi annuì gravemente.
«Deter. Deter. Kulilanamdbir. Alkol.[1]»
Poi aggiunse qualcos’altro sorridendo.
Glora mi tradusse dal pardak.
«Ha detto che va bene. Stasera parleremo di tutto. Ora è il momento di festeggiare buoni affari.»
«Digli che abbiamo curato la sua gente, questa settimana.»
Glora e Tsmir parlarolo fitto per un paio di minuti.
Tsmir si rivolse a me e mi diede una formidabile pacca su una spalla.
«Donadodandexter! Donadodan!»
Tsmir si allontanò da noi, impartendo ordini a Ritsa e Dibso, che sparirono veloci tra la folla.
Si formarono dei gruppi attorno ai due, mentre i portatori si muovevano verso gli edifici al livello del terreno, dove erano i magazzini.
Poi i gruppi si sciolsero e quello che seguì fu una straordinaria dimostrazione di cooperazione comunitaria.
Ognuno dei pardak sembrava che sapesse esattamente cosa fare.
Al primo livello il villaggio aveva la piazza più grande.
Furono portate tavole e casse a formare sedili e tavoli.
Anzi un tavolo solo, enorme, in grado di ospitare l’intero villaggio.
Furono accesi fuochi attorno, in modo da vincere la morsa dell’inverno montano, e cominciò ad affluire cibo di ogni genere.
Ovviamente noi Marines eravamo invitati.
Tsmir aveva detto che con quel tempo era impossibile anche per l’Impero mettere il naso fuori dalla porta. E per quella volta non istituii nessun turno di guardia, consentendo a tutti noi Marines di sederci assieme alla gente villaggio.
Daria sedeva vicino Kyra, io vicino Tsmir. Glora vicino a me, in veste di interprete.
Colsi un paio di occhiate di Daria. Ma non era gelosia. Era desiderio di vicinanza.
Le celebrazioni iniziarono nel primo pomeriggio e si trascinarono fin dopo cena.
Notai che il genere di cibo che servivano era assai più variato e sofisticato di quello che avevo assaggiato quando ci ero stato la prima volta.
Un segno che le cose per il villaggio, da quando Tsmir ed i suoi trafficavano direttamente la loro merce di contrabbando, si erano messe per il meglio.
Verso la fine della cena Tsmir si rivolse a Glora e le disse che avremmo parlato meglio tutti a casa sua. Mentre fuori il banchetto continuava in allegria, Edson, Daria, Glora ed io ci sedemmo sui cuscini del salotto di Tsmir, con l’immancabile cuccuma piena del forte ed ottimo tè di Par-Dak.



 (Copyright 2016 Paul J. Horten diritti riservati)


[1] “Più tardi, Più tardi. Parleremo assieme. Di tutto.”

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