L’inverno
tra le montagne di Par-Dak era rigido.
Dibso
ci aveva detto che Tsmir non era nel villaggio. Era partito due giorni prima
con il Mercante Nero, l’astronave che
avevamo catturato ad un contrabbandiere nameriano di nome Hirkan Gelek, e
sarebbe ritornato solo tra altri cinque o sei. Nell’attesa avevamo occupato i
ripiani più bassi del villaggio, che sorgeva all’interno dell’enorme sistema di
caverne.
Daria e
Glora Imex avevano organizzato un ambulatorio in uno dei locali, ricevendo
un’infinità di visite sia per motivi medici, sia per curiosità.
Uno dei
visitatori era una madre con la figlioletta. La piccola era una delle pazienti
che Glora aveva curato da una brutta frattura e la bambina aveva mostrato con
orgoglio alla Dariana la gamba completamente guarita.
Dopo
due giorni avevo fatto togliere tutti gli OP sulle montagne e rinforzato la
guarnigione a terra attorno al villaggio.
Avevo
preso questa decisione per due motivi.
Il
primo era che ormai eravamo certi che non ci fossero ne droni ne osservatori
delle truppe imperiali nascosti da qualche parte, e quindi affidavamo la
sorveglianza ad un paio di postazioni appena fuori il villaggio, più comode e
che consentivano di fare una rotazione più agevole tra i Marines, ed all’IPMD
della UFSS Moras.
Il
secondo era che dall’astronave in orbita ci avevano avvertito dell’arrivo di
una perturbazione, con venti e tormente di neve di altissima intensità.
Il
servizio meteorologico non si sbagliava. Il vento ora frustava l’aria davanti
alla caverna, ammucchiando la neve, portando le temperatura molto al di sotto
dello zero e rendendo doloroso uscire all’aperto senza protezione per il corpo,
specialmente per il volto, perché le raffiche violente trasformavano la neve in
lame di ghiaccio fluttuanti nell’aria. Al culmine del maltempo, tolsi anche la
postazione all’esterno, sostituendola con dei turni di guardia in prossimità
dell’immensa imboccatura della caverna. Era inutile esporre i miei uomini a
quel flagello.
Mi
sentivo frustrato per quella perdita di tempo, ma non c’era niente altro da
fare, per cui mi concentrai sugli uomini, su Daria e cercai con lei e con Glora
di trovare una spiegazione sul fatto che ero in grado di parlare la lingua nameriana.
«Ti
avevo detto che il Meh-Namer non era
un semplice traduttore, Dex» disse Glora posando la tazza vicino alla cuccuma fumante
di tè di montagna. Daria sedeva silenziosa poco distante, sorseggiando dalla
sua tazza e ci guardava conversare.
La piccola
stanza dove eravamo fungeva da vestibolo dell’ambulatorio improvvisato, in uno
dei rari momenti, in genere verso il tramonto quando i pardak si ritiravano, in
cui non arrivava più nessuno per farsi visitare.
«L’avresti
dovuto capire quando, indossandolo, hai potuto non solo capire il nameriano ma
anche leggerlo.»
«A te
non è successo? Lo hai usato anche tu.»
«Siamo
specie differenti te ed io. Tu Terrestre ed io Dariana. A livello sinaptico
siamo diversi.»
Sorrisi.
«Questo
senza dubbio, Glora.»
«Quando
è stata l’ultima volta che hai pensato o parlato in nameriano?»
Strizzai
gli occhi per un’attimo.
La
figura del guerriero Urdas nella sua armatura individuale comparve vivida nella
mia mente. La rimossi con la forza della volontà, assieme all’ira che si stava
accendendo a quella visione.
Riaprii
gli occhi.
«Di
ritorno da Moras. Durante la discesa d’assalto su Primus. Ero in contatto
empatico con Daria.»
Daria
scosse la testa.
«Ho
percepito un’odio ed una rabbia spaventosi. Ma non erano tuoi, Dex. Mi hanno
ricordato le emozioni dell’Urdas che catturammo su Erya. Non ho avuto visioni,
però.»
«Nessun’altra
occorrenza?» insistè Glora.
«No.
Non è più capitato.»
«Deve
essere stato qualche fattore ambientale.»
«Oppure»
intervenne Daria «L’influenza di qualche Urdas dal campo telepatico
estremamente forte.»
«Ipotesi
interessante, Daria» rispose Glora inclinando il capo leggermente di lato.
Non
ebbe tempo di aggiungere altro perché sentimmo bussare leggermente.
Si
affacciò il tenente Taczak.
«Colonnello...
Tsmir è tornato. Dibso mi ha detto che è atterrato con il Mercante Nero e domani mattina si metterà in marcia verso il
villaggio.»
«Con
questo tempo da lupi?» esclamai stupefatto.
«Si
signore. Saranno qui verso ora di pranzo.»
Ora le cose cominciano ad
ingranare per il verso giusto. Abbiamo perso una settimana fermi a Par-Dak.
Sono sicuro che Tsmir ci potrà fornire le informazioni che mi servono.
«Grazie
Tac. Senti se hanno bisogno di scorta o di aiuto da parte nostra.»
«Si
signore» rispose pronto il Polacco, poi uscì e richiuse la porta, lasciando il
lontano sibilo del vento all’esterno.
«Sono
stanca morta» mormorò Glora «Vi lascio al vostro tè, io mi ritiro nella mia
cuccia.»
Glora
indossò il giaccone mimetico dei Marines in Hypertex sopra l’uniforme della
Flotta ed uscì dalla stanza. Daria ed io rimanemmo soli.
«Dex…»
disse lei posando la tazza.
«Si?»
«Cosa
c’è tra te e Glora?»
La
domanda mi colse completamente spiazzato.
«Che
intendi con cosa c’è tra te e Glora
esattamente?»
«Credo
di conoscere bene l’Inglese Standard per farmi capire anche da un Terrestre.»
Sorseggiai
il tè, e la bevanda corroborante e calda mi rinfrancò.
Ridussi
la mia mente ad una lavagna grigia.
Poi
dalla lavagna emersero due volti: Daria e Hadi.
«Profonda
amicizia. Non sono innamorato di altri se non di te» risposi lentamente.
«Dex…
Lei ti vuole.»
«Lo so.
Non può avermi. Lo sai.»
«Tu la
vuoi?»
Scossi
la testa deciso.
«No. Ma
le voglio bene. Daria… Glora non è come le altre Dariane. E sa quale è il suo
posto…» «… Due donne nella stessa casa sono follia… È un vostro proverbio»
aggiunsi.
Daria
rise e potei percepire che si scioglieva la tensione.
«Cosa
ti preoccupa, amore?»
Lei
scosse la testa a sua volta.
«È una
cosa totalmente insolita per noi Dariani sentire che il proprio partner è
desiderato da qualcun altro. Mi fa sentire spaventata e disorientata.»
«Io non
emano l’ehim’rach, tesoro. Non posso
respingere le altre femmine Dariane con i vostri ferormoni da
post-innamoramento. Ma qualsiasi Dariana può sentire quanto ti amo. A quanto
pare tutte tranne te.»
Il tono
era scherzoso, ma vidi gli occhi di Daria inumidirsi ugualmente.
L’abbracciai
e la tenni stretta a me a lungo, memore di quando ero stato in quel luogo senza
la speranza di rivederla più.
«Io ti
sento ogni momento, Dex. Ogni momento.
Ma questa… È… È una cosa totalmente nuova per me. Non so che fare, come
gestirla.»
Senza
smettere di abbracciarmi mi guardò.
«Suppongo
sia il prezzo da pagare per non aver sposato un Dariano…»
Si
sciolse dall’abbraccio e si deterse le lacrime.
«Scusami.
Non so quello che dico. Hai una moglie sciocca.»
«Non lo
dire nemmeno per scherzo, Daria. Conosco poche donne forti e sagge come sei
tu.»
«E come
Glora Imex…»
«Glora
non mi interessa come una donna può interessare ad un uomo» risposi con
decisione ma cercando di lasciar trasparire un minimo di dolcezza.
«Come
fate voi Terrestri a vivere nell’incertezza di chi amate?»
Ci
pensai un’attimo su.
E mi
parve che l’Umanità, vista da fuori, fosse composta da folli. Amare qualcuno
tanto da dedicargli la vita ed un momento dopo non amarlo più era una cosa che
nella società terrestre succedeva in continuazione. Gli Umani erano fatti cosi.
Ma vivere con Daria mi aveva lentamente instillato un punto di vista diverso. E
nonostante fosse frutto di un condizionamento genetico della loro specie,
l’atteggiamento Dariano verso le unioni tra uomini e donne mi pareva
infinitamente più saggio e sensato.
«Non lo
so. Noi Terrestri facciamo molte cose che non hanno apparentemente senso. Come
cercare di sopravvivere anche se non abbiamo alcuna speranza. O inoltrarci tra
le stelle, in cerca di una via per salvare il nostro mondo, come stiamo facendo
ora. Ci aggrappiamo ad una visione tenue come un sospiro nella notte. Ed a
volte, se non combiniamo disastri, riusciamo anche a fare miracoli, Daria. Come
quello che porti in grembo. E nel cuore.»
«È la
mente, Dex, che mi porta a dubitare. Se ascolto il cuore, curiosamente, mi
suggerisce solo certezze su di te.»
Esitò
un’attimo.
«Ti ha
toccato?»
«Si. Mi
manifesta la sua amicizia come fanno le Terrestri. Ma solo quando nessuno di
voi guarda. Devi ammettere che Glora è fuori degli standard dariani, però.»
«Sapevo
che era un personaggio singolare. Davvero non chiede sesso quando ti
abbraccia?»
«Davvero.
E con il tempo è diventata immune dal knar’a-dar»
«Stai
scherzando?» esclamò Daria sollevando le sopracciglia in una espressione di
totale sorpresa.
«Affatto.
Lo ha scoperto quando eravamo qui, senza un modo per ritornare. E poi quale
donna dariana conosci che a trentacinque anni sia ancora nubile e senza prole?»
«Solo
le vedove, Dex. E su Dari ora ce ne sono tante.»
Il
pensiero mi riportò alla mente tutti gli interrogativi, che avevo sepolto
accuratamente dentro di me, su quello che avremmo trovato al ritorno. Se mai fossimo
tornati. E se mai avessimo trovato qualcosa a cui tornare.
«Se
Glora fosse Terrestre ti preoccuperesti?»
«No,
naturalmente. So i vostri usi.»
«Forse
dovresti indagare meglio sui vostri, Daria.»
La
risposta la lasciò di nuovo esterrefatta.
«Cosa
vuoi dire?»
Forse ho parlato troppo. Siamo
soli, sperduti in un settore della Galassia lontanissimo da casa nostra. Perché
voglio toglierle anche le sue certezze?
«Nulla.
Devo andare ora.»
«Taczak
può aspettare» esclamò morbidamente
Daria.
«Non è
il momento.»
«Cosa
credi di sapere, Dex?»
La
guardai per un lungo momento.
«Io non
credo. Io so. E tra le cose che so è
che se smettessi di amarti cesserei di vivere.»
Poi
aprii la porta ed uscii dalla stanza.
L’equilibrio del Keer’Medun si è
alterato per un’istante. È ora che Daria cominci a prendere coscienza del
passato del suo popolo. A volte aiuta per il futuro.
La
tormenta era continuata per tutta la notte e parte della mattinata, accumulando
la coltre bianca e gelata fino a formare un muro alto quasi un metro
all’entrata dell’enorme caverna.
I
pardak si erano dati da fare, scavando un sentiero nella neve largo abbastanza
per far passare due di loro.
Mi ero
dato da fare, assieme ai miei Marines, per dare una mano per quanto possibile,
usando i loro attrezzi anche se erano fatti per persone alte, in media, quasi
due metri.
Mano a
mano che un sole schermato dalla pesante nuvolaglia si avvicinava allo zenith
la tormenta scemava fino a che, proprio a mezzogiorno, il cielo si aprì
completamente, il vento e la neve cessarono ed una luce dorata e perfetta
illuminò ogni cosa, donando al manto bianco uno splendore abbacinante.
Fu
allora che nel sentiero scavato nella neve comparvero le alte figure dei
portatori pardak.
In
testa alla colonna con gli zaini in spalla c’era Tsmir, appena riconoscibile
perché indossava dei grossi occhialoni per proteggersi dal riverbero.
La
gente di Par-Dak cominciò a scendere per le ripide scale che univano i vari
quartieri in piazze e vie, il villaggio si sviluppava in verticale all’interno
dell’immensa caverna, fino a raggiungere terra.
Una processione
rutilante di colori e di vestiti sgargianti per festeggiare i migliori uomini
di Par-Dak che tornavano dal loro viaggio tra le stelle, portando beni e
ricchezza al villaggio.
La
folla vociante si era radunata ed io ero in mezzo a loro mentre la piccola
formazione entrava nella caverna. Ci fu una moltitudine di abbracci, di parole
liete. Intravvidi Dibso avvicinarsi a Tsmir e parlottare animatamente. Tsmir
sorrise e poi lo sguardo vagò tra la folla, fino a che non incrociò il mio.
Sorride. È contento di vedermi,
buon segno.
Una
figura esile lo abbracciò forte: sua moglie Kyra. Poi lo Shar di Par-Dak si
diresse verso di me.
Cercai
Glora e come per magia me la ritrovai accanto.
«Credo
che tra dieci secondi avrò bisogno di te, Glora.»
«Spero
che questo non ti crei problemi, Dex.»
Le
diedi uno sguardo indagatore senza proferire parola.
«Sono
empatica anche io. Tua moglie mi ha trasmesso una grande agitazione. Ed anche
un sentimento completamente nuovo, che non so come chiamare. Qualcosa che su
Dari non esiste.»
«Si
chiama gelosia.»
«Cosa
è?»
«La
paura di perdere qualcuno che si ama.»
«Non
capisco fino in fondo… Cosa teme Daria?»
«Te.»
«Non ha
senso…» borbottò Glora dopo averci pensato su un istante.
«Parleremo
in un altro momento… Ora ho bisogno delle tue doti di interprete pardak.»
Tsmir
finì di avvicinarsi, fece un sorriso con espressione incredula e si toccò il
petto con entrambe le mani.
«Kolonelodexterdax!»
«Tsmir!»
Tsmir
si avvicinò, poi toccò la sua fronte e la mia, nel tipico saluto allo
straniero.
«Gloraimex? Kuasakeimpardak?»
«Motadvars, Tsmir, Motadvars» rispose
Glora toccandosi la fronte in segno di saluto.
«Glora,
digli che dobbiamo parlargli di cose importanti. Siamo qui a causa degli Urdas»
insistei.
Glora
tradusse.
Vidi
Tsmir lanciarmi due occhiate di sottecchi.
Poi
annuì gravemente.
«Deter. Deter. Kulilanamdbir. Alkol.[1]»
Poi
aggiunse qualcos’altro sorridendo.
Glora
mi tradusse dal pardak.
«Ha
detto che va bene. Stasera parleremo di tutto. Ora è il momento di festeggiare
buoni affari.»
«Digli
che abbiamo curato la sua gente, questa settimana.»
Glora e
Tsmir parlarolo fitto per un paio di minuti.
Tsmir
si rivolse a me e mi diede una formidabile pacca su una spalla.
«Donadodandexter! Donadodan!»
Tsmir
si allontanò da noi, impartendo ordini a Ritsa e Dibso, che sparirono veloci tra
la folla.
Si
formarono dei gruppi attorno ai due, mentre i portatori si muovevano verso gli
edifici al livello del terreno, dove erano i magazzini.
Poi i
gruppi si sciolsero e quello che seguì fu una straordinaria dimostrazione di
cooperazione comunitaria.
Ognuno
dei pardak sembrava che sapesse esattamente cosa fare.
Al
primo livello il villaggio aveva la piazza più grande.
Furono
portate tavole e casse a formare sedili e tavoli.
Anzi un
tavolo solo, enorme, in grado di ospitare l’intero villaggio.
Furono
accesi fuochi attorno, in modo da vincere la morsa dell’inverno montano, e
cominciò ad affluire cibo di ogni genere.
Ovviamente
noi Marines eravamo invitati.
Tsmir
aveva detto che con quel tempo era impossibile anche per l’Impero mettere il
naso fuori dalla porta. E per quella volta non istituii nessun turno di
guardia, consentendo a tutti noi Marines di sederci assieme alla gente
villaggio.
Daria
sedeva vicino Kyra, io vicino Tsmir. Glora vicino a me, in veste di interprete.
Colsi
un paio di occhiate di Daria. Ma non era gelosia. Era desiderio di vicinanza.
Le
celebrazioni iniziarono nel primo pomeriggio e si trascinarono fin dopo cena.
Notai
che il genere di cibo che servivano era assai più variato e sofisticato di
quello che avevo assaggiato quando ci ero stato la prima volta.
Un
segno che le cose per il villaggio, da quando Tsmir ed i suoi trafficavano
direttamente la loro merce di contrabbando, si erano messe per il meglio.
Verso
la fine della cena Tsmir si rivolse a Glora e le disse che avremmo parlato meglio
tutti a casa sua. Mentre fuori il banchetto continuava in allegria, Edson,
Daria, Glora ed io ci sedemmo sui cuscini del salotto di Tsmir, con
l’immancabile cuccuma piena del forte ed ottimo tè di Par-Dak.
(Copyright 2016 Paul J. Horten diritti riservati)
Non vedo l'ora che si risolvano le cose con CE per leggere il resto.
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