sabato 20 agosto 2016

ANTEPRIMA "RESURREZIONE": Capitolo 1 – RITORNO A PAR-DAK



Lo spazio si stendeva sconfinato, nero ed ostile, davanti a me.
Mi voltai.
Il Dragone Maggiore splendeva su Primus come al solito, intoccato.
Nemmeno gli Urdas potevano spazzarlo via dal cielo.
Quando abbassai lo sguardo vidi le rovine di una casa. La mia.
Tutte le case attorno erano nello stesso stato.
Le cose stanno andando cosi male?
Mi sentii chiamare.
La voce era familiare, ma non riuscivo ancora a riconoscerla, perché mi arrivava attutita, come se quel qualcuno fosse lontanissimo.
Cercai attorno con lo sguardo e vidi Fuchida vicino a me.
Era lui che parlava ma non riuscivo a capire.
«Ishiro? Ishiro? Cosa succede?»
Quando la figura di Fuchida cercò di protendersi verso di me, come per toccarmi, lo spazio interstellare tornò a dividerci ed il suo freddo mortale mi pervase sin nelle ossa.
Su Primus i miei Marines stanno morendo. Devo fare presto. Devo fare presto.

Mi svegliai boccheggiando per l’ansia.
Sentii la mano di Daria sfiorarmi il fianco e cercare un’abbraccio.
«Dex… Non è un presagio, cerca di riaddormentarti» disse lei dolcemente.
Respirai profondamente.
«Come fai a dirlo?»
«Lo saprei. So solo che dentro di te sei mortalmente preoccupato da quando siamo partiti.»
«Cerco di non mostrarlo.»
«Non serve dissimulare. È dentro di te ed è come un parassita che ti divora. Io lo sento.»
Sospirai e mi misi seduto sul letto.
Guardai il palmtop si servizio.
«Dove vai?» chiese Daria insonnolita.
«Ho una videoconferenza con Mox.»
«Non è tra due ore?»
«Si. Ma non ho più sonno. Ne approfitto per prendermi qualcosa in cambusa e riflettere.»
Daria non rispose.
Quando le sfiorai il capo per baciarla udii il respiro regolare. Si era riaddormentata.
Non so come riesca a farlo. Invidio i Dariani per questa capacità.

La figura di Ari Mox galleggiò nell’aria dal terminale 3D, mostrando solo il mezzo busto.
Mi guardò per un lungo momento, seduto nella cabina del suo alloggio sulla UFSS Mohawk.
Poi parlò: «Abbiamo carburante per un mese e mezzo di navigazione. Vorrei riuscire a fare rifornimento ben prima. Ovviamente dipende anche da dove siamo diretti e che percorso faremo per raggiungere la nostra meta, Dax.»
Inutile mentire con un Dariano. E poi ci sono troppe variabili, lo sa anche lui.
«La nostra meta è Namer, Mox. Come raggiungerla dipende anche dalle informazioni che raccoglieremo strada facendo. Quanto è il tempo di sosta previsto?»
Mox fece una smorfia di disappunto, poi ci ripensò e sorrise, con il suo solito modo gioviale.
«Dieci giorni, forse dodici.»
«Così tanto?»
«Dobbiamo generare barre di CLT-5 per entrambe le navi. E la UFSS Moras è molto più grande di noi.»
Annuii.
«E sia. Non posso cambiare una realtà tecnica. E poi non dobbiamo solo arrivare su Namer. Sperabilmente dobbiamo anche tornare indietro.»
”Sperabilmente…» replicò Mox.
C’era della pesantezza insolita nel suo comportamento di Dariano.
Forse doveva combattere più spesso di quanto pensassi il knar’a-dar. Vista la situazione non potevo biasimarlo.
«Come siamo messi a carburante, al momento?»
«Abbiamo ripreso a bordo il carico di CLT-5 che avevamo fatto su Mar-Gar più altre barre di carburante che riempiono le stive ed i corridoi della UFSS Moras. Dal momento che non trasporta un’intero battaglione di Eso ma solo una compagnia, di posto ce n’è.»
«Non mi sembra una cosa negativa.»
«Resta il fatto che dovremo fare rifornimento, se vogliamo tornare.»
Improvvisamente suonò un’avviso sonoro e Mox si sfiorò un’area sulla manica dell’uniforme da Comandante.
«Qui Mox, avanti.»
Restò assorto per alcuni secondi poi sfiorò di nuovo la stessa area ed annuì.
«Stiamo per arrivare in vista della luna di Mar-Gar. Se mi vuole scusare.»
«Assolutamente, comandante, faccia quello che deve fare. A dopo.»
La comunicazione si chiuse e ricevetti, contemporaneamente, la chiamata sul mio palmtop di servizio.
Edson. Meglio che mi sbrighi a raggiungere la plancia.
Con l’ex comandante del Corpo dei Marines, ci davamo del tu da quando eravamo partiti da Primus, una settimana prima.
Ma l’imprinting era rimasto: mi ero arruolato a vent’anni, con Edson già a capo del Corpo e inconsciamente continuavo a ritenerlo un superiore, anche se ora rivestiva cariche civili: Consigliere Federale, l’equivalente di Rappresentante al Congresso o di Deputato, e Plenipotenziario per conto della Federazione, con l’autorità di siglare accordi validi tra due civilizzazioni come la Federazione e l’Impero Namer.
Spensi il terminale e mi incamminai per i corridoi della UFSS Moras ingombri di barre di CLT-5 fermate con reti in kevlar alle pareti.
Quando raggiunsi la plancia Edson era li, che confabulava con il comandante della nave, il capitano di vascello, Ahmed Hassan.
Fu l’Arabo a parlarmi per primo.
«Colonnello, stiamo per raggiungere a velocità sub-luce il punto da cui, secondo le coordinate fornitemi dal comandante Mox, siete usciti dal wormhole accidentale.»
Annuii.
«Come pensa di fare, comandante Hassan? Non sappiamo la situazione dopo la nostra partenza da Mar-Gar, sei mesi fa. Potrebbe essere presidiata dalla flotta imperiale, anche se, sinceramente, non mi voglio attribuire troppa importanza.»
«Parcheggeremo la UFSS Moras in obita stazionaria attorno alla luna di Mar-Gar. Noi non abbiamo una protezione stealth cosi spinta. Ma la UFSS Mohawk dovrebbe essere completamente invisibile. Dai rapporti del comandante Mox non sembra che i Nameriani abbiano delle capacità di occultamento cosi buone come le nostre…»
Ripensai all’attacco di droni da combattimento imperiali che su Mar-Gar era costato la perdita di uno dei miei Marines, uno Zulu dal nome quasi impronunciabile che avevamo soprannominato, per amor di brevità, Kalele.
No, non le hanno. Mox non ebbe alcun problema a rilevare tracce delle astronavi imperiali e della discesa delle navette piene di droni da combattimento.
«Mi sta bene. Comporrò la squadra principale e quella di riserva immediatamente. Quanto tempo prima di poter azzardare una discesa sul pianeta?»
«Trentasei ore, signore.»
«Perfetto. Chiamo i miei ragazzi per il briefing.»
Feci per voltarmi quando Edson mi chiamò.
«Dexter, hai un minuto?»
«Per te ce l’ho sempre, Reginald.»
Edson mi accompagnò oltre la paratia della plancia.
«Ti fa ancora effetto, vero?»
Inarcai il sopracciglio.
«Chiamarti per nome dopo tutti questi anni? Si.»
«Sono solo gradi, Dexter.»
Lo guardai fisso per un’attimo.
«Dipende da chi li indossa…»
Il pensiero di entrambi andò automaticamente a Yugashvili, l’ex comandante in capo del Corpo dei Marines che, mentre Primus era sotto assedio, aveva dato le dimissioni e si era fatto evacuare.
«Reginald… Tu hai sospetti sulla morte del generale Wang?»
Edson si voltò e per la prima volta da che lo conoscevo lo vidi insicuro.
«Non è stato un incidente aereo?»
«Io comincio a dubitarne. Ho fatto le mie indagini su Yugashvili. Carriera troppo perfetta per uno che non è mai stato in combattimento. Pare fatta apposta per essere messo, al momento opportuno, al comando del Corpo dei Marines.»
Mi guardò fisso, poi scosse lentamente la testa.
«Non è possibile, come ha fatto a sfuggirmi una cosa del genere?»
«L’hanno orchestrata bene. Non ho ancora nessuna di prova, ma qualcuno mi ha assicurato che Wang non è morto in un incidente.»
«Chi?»
«Il capitano Daniel Reid-Daly.»
«Capitano?» disse Edson sorridendo finalmente.
«Si, Gli ho fatto avere io la promozione. Yugashvili l’aveva bloccata.»
«Reid-Daly deve aver trovato qualcosa, anche un indizio minimo. Quando torno sulla Terra pretenderò dall’MCCIB che le indagini vengano riaperte. A proposito dove è Danny ora?»
«Su Moras. Fa parte dello squadrone di guerra asimmetrica della MSOC.»
«Non è un posto igienico. Spero sia ancora vivo.»
«Lo spero anche io. Sto per chiamare i miei per pianificare le operazioni su Mar-Gar.»
«Posso assistere al briefing, Dexter?»
«Ne sarei onorato.»

La sala tattica della UFSS Moras era praticamente vuota, perché progettata per riunioni ben più ampie: quelle di un intero battaglione. I Marines dell’Odissey Squadron occupavano solo venti sedie delle oltre quattrocento disponibili.
Sulle altre poche sedie occupate erano seduti Daria ed entrambi gli Ufficiali Scientifici della UFSS Mohawk, Bema Tirex e Glora Imex.
Quando entrai con Edson al seguito, l’attenti fu istantaneo ed eseguito in maniera perfetta, con gli uomini e le donne in uniforme che scoccavano occhiate sorprese ed eccitate. Una delle leggende del Corpo era li, tra loro, a ribadire l’importanza vitale della missione a cui partecipavano.
Diedi il riposo ed invitai i Marines a sedersi.
Iniziai i maniera asciutta, saltando ogni preambolo.
«Marines, tra trentasei ore scenderemo su Mar-Gar, quindi non perderò tempo a lunghe introduzioni. Lo scopo della missione è di acquisire informazioni sulla nostra destinazione finale, il sistema di Namer, il pianeta capitale dell’Impero in cui siamo clandestinamente entrati. Vorrei ribadire quest’ultimo aspetto: noi qui siamo degli intrusi. Fino a che non avremo contattato le autorità imperiali ed il consigliere Edson, plenipotenziario della Federazione per conto del FEXEC, non avrà chiarito la nostra posizione e stretto eventuali accordi di alleanza, c’è la concreta possibilità che l’Impero ci attacchi, ritenendoci ostili. Va evitato ogni contatto con gli Imperiali, se possibile. Le cose stanno in questo modo: metà dello Squadrone va giù appiedato, l’altra metà invece resta su pronto per intervenire a bordo degli Eso se le cose si dovessero mettere male. Ho già perso un uomo su Mar-Gar, non voglio perderne altri.»
Collins alzò timidamente la mano.
«Si Liam?»
«Chi scenderà? Ci sono almeno altre tre persone oltre a lei e me, colonnello, che su quel pianeta ci sono già state.»
«Verranno proprio loro, per la conoscenza del terreno e della popolazione che contatteremo, più altri cinque. Io comanderò la squadra di superficie, De La Rey, come vice comandante, la QRF[1]
Feci apparire una mappa 3D della zona di Par-Dak.
Era la stessa che avevo usato mesi prima quando avevo pianificato con Bema Tirex, il Secondo Ufficiale Scientifico della UFSS Mohawk, il perimetro di sicurezza per il prelievo di PCLT-5 da Mar-Gar.
Compariva segnato, addirittura, il sito di estrazione che avevamo sfruttato.
Io avevo aggiunto, nella stretta vallata che dal sito di scavo si insinuava tra le montagne verso nord, le coordinate del villaggio di Par-Dak.
«Ci metteremo in contatto con Tsmir, il capo villaggio di Par-Dak, e con la sua gente. Ci deve parecchi favori e siamo in rapporti di amicizia con loro. Gli abbiamo donato una astronave catturata ad un contrabbandiere nameriano che, a quanto pare, trafficava tra Mar-Gar e Namer. Assumeremo informazioni per proseguire la spedizione e sulla situazione dell’Impero, visto che ora viaggiano anche loro nello spazio per vendere la loro merce e quindi potrebbero in grado di darci delle notizie preziose. Il comandante Mox, con la sua nave, è in avanscoperta su Mar-Gar ed ha lanciato una serie di droni da ricognizione, per verificare che la zona non sia diventata ostile. Tra trentasei ore avremo i risultati e se tutto sarà tranquillo procederemo allo sbarco per fasi.»
Sulla mappa 3D, in corrispondenza delle cime attorno a Par-Dak, si illuminarono quattro zone rosse.
«Le quattro zone sono degli OP, due a nord e due a sud di Par-Dak, per verificare che anche attorno non ci siano movimenti ostili. Droidi da combattimento imperiali potrebbero essere sempre in agguato e non voglio essere colto di sorpresa. Gli OP saranno composti da due marines ciascuno. Resteranno in osservazione per dodici ore poi, se anche questa volta risulterà tutto tranquillo, chiameranno il resto della squadra di superficie: il Consigliere Edson, il maggiore Yx ed il maggiore Glora Imex, il sergente maggiore Torres e me.»
«Che tempi di reazione per la QRF?» domandò Kathryn.
«Mezzora. Il tempo di scendere dalla UFSS Mohawk con un paio di Dragonfly fino sulla superficie. Per la QRF abbiamo due DZ, ma non sono vicine al villaggio perché la vallata è troppo stretta per navigare in sicurezza con le navette e gli Eso agganciati.»
Si illuminarono altre due zone in giallo.
«La DZ Blue è cinque chilometri a nord di Par-Dak. Può accogliere tranquillamente entrambe le navette da sbarco. Il tempo di intervento da li, per prendere posizione in prossimità del villaggio è di cinque minuti. La DZ Red è a sud, nella vallata del sito di estrazione che abbiamo usato otto mesi fa, ed è più vicina della prima. Tempo di intervento tre minuti a passo di marcia standard.»
Finii di indicare le Drop Zone e poi mi voltai.
«Noi verremo giù con la navetta mineraria della UFSS Mohawk. C’è spazio per atterrare poco distante dal villaggio. Domande?»
«Solo studiare il piano nel dettaglio e le procedure» rispose Pietter De La Rey.
«Ottimo. Allora diamoci da fare.»

Nel cielo ancora preda degli ultimi momenti della notte, la navetta mineraria della UFSS Moras fece un ultimo largo giro tra le montagne di Par-Dak.
Nell’interfono risuonò la voce del pilota, il tenente Rovax.
«Cinque minuti all’atterraggio, colonnello Dax.»
Guardai l’ora: le cinque del mattino, ora locale.
Il villaggio sarà immerso nel sonno ancora per poco.
Aprii la radio sul canale di comunicazione dei Marines e chiamai Kathryn.
“Odissey Leader a Odissey Due Uno. Stiamo per atterrare. Situazione?»
Kathryn mi rispose immediatamente. Era lei che comandava tutti gli OP che dodici ore prima erano stati silenziosamente installati sulle cime che dominavano la valle di Par-Dak.
«Qui Odissey Due Uno, Odissey Leader. Ultimo rapporto confermato. Nessuna attività ostile nei dintorni. Il villaggio è popolato di civili e nelle ultime dodici ore hanno condotto attività non sospette. Zona di atterraggio confermata?»
«Affermativo, Odissey Due Uno.»
«Avete il comitato di accoglienza. Odissey Due Tre e Due Quattro sono sul terreno.»
Colonna e Collins sono già sul posto. Riduciamo gli OP come abbiamo pianificato da quattro a due nella prossima ora, non appena saremo sbarcati.
«Ricevuto, Odissey Due Uno. Chiudo.»
Daria era accanto a me, gli occhi chiusi.
Sentii la sua mano cercare la mia e stringerla.
Poi la sua voce nella mia testa.
… È qui che ho rischiato di perderti?...
..Si…
…L’altro lato della galassia. Cosi lontano…
…Ora è diverso Daria. Ora siamo vicini….
…Hadi…
Sentir prounciare il nome di mio figlio mi provocò una fitta di dolore.
Sentii una entità piccina e dolce pulsare d’amore: mia figlia Jeanne, ancora nel ventre di Daria, cercava di consolarmi.
Mi sentii improvvisamente calmo e determinato.
Avevo tutto l’amore dell’Universo con me.
Sapevo tutto quello che c’era da sapere in quel primo approccio.
Il fatto di avere come punto di partenza Par-Dak, dove potevamo avere accoglienza ed ospitalità mi rassicurava.
Pensai per un’attimo al minuscolo villaggio sperduto nelle montagne. Poi alla distanza che lo separava da Namer. Un punto di luce in mezzo ad un infinita oscurità, con tempeste invisibili che attraversavano un oceano fatto di vuoto e di freddo mortale.
..Ce la faremo Dex…
Invece di rispondere annuii e strinsi la mano a mia moglie.
«Un minuto all’atterraggio, colonnello!» disse Rovax attraverso l’interfono.
La navetta dondolò fortemente un paio di volte e poi sembrò precipitare.
La maniera di pilotare di Rovax non è migliorata.
L’hummm dei motori antigravità divenne più forte.
Feci un cenno a Torres e mi tolsi la cintura di sicurezza. Il contatto con Daria si interruppe.
Verificai il tamburo da 300 colpi infilato nel fucile d’assalto, poi posizionai l’arma agganciata alla cinghia dietro la schiena. Torres fece altrettanto.
Mi avvicinai alla rampa di carico assieme alla Messicana.
Ci guardammo in silenzio ed annuimmo assieme.
C’è intesa perfetta. Ho fatto bene a portare con me Hilda.
«Sai qual è il tuo compito…» mormorai.
Hilda annuì di nuovo.
«Starò attaccata al culo di Daria e di Edson. Conta su di me.»
«Cautela con i nativi. E segui alla lettera quello che ti dico io oppure il maggiore Imex.»
«Ricevuto.»
Attivai il visore notturno, mi afferrai ai sostegni ed attesi.
«Cinque secondi all’atterraggio» disse di nuovo la voce di Rovax via interfono.
La rampa cominciò ad aprirsi e vidi che eravamo distanti dal terreno ancora una cinquantina di metri.
Sentii i pattini di atterraggio colpire il terreno ghiacciato con un tonfo morbido.
«Siamo a terra! Trenta secondi!» esclamò Rovax via interfono.
«Torres! Fuori!» esclamai a mia volta.
Alzai il fucile d’assalto e tolsi la sicura. Torres ed io scendemmo la rampa coprendo il nostro settore, io a destra e la Messicana a sinistra fermandoci ad una decina di metri dalla rampa.
I primi passi fecero scricchiolare lievemente la neve che copriva il terreno. Arrivava fino a metà del polpaccio.
Sul visore comparvero le posizioni di Colonna e di Collins. Erano a venti metri dalla prua della navetta. Formavamo un perimetro perfetto.
«Edson! Porti fuori tutti! Zona sicura!» ringhiai sovrastando l’humm dei motori antigravità.
Vinsi l’istinto di voltarmi per vedere Daria con il suo pancione che scendeva dalla rampa metallica.
Sentii toccarmi la spalla. Era Edson, armato anche lui di fucile d’assalto M327.
Anche se ora era un civile, era stato pur sempre un Marine ed era in missione con noi, condividendo gli stessi pericoli. Mi era parso naturale permettergli di portare un’arma per difendersi.
Durante il briefing sulla UFSS Moras era stato attento e disciplinato, nonostante avesse più esperienza di tutti noi messi assieme. La cosa aveva colpito tutti i ragazzi, che gli avevano mostrato rispetto ed ammirazione in una maniera che mi aveva toccato.
La presenza del vecchio ufficiale, inoltre, aveva degli effetti benefici sul morale: era come se l’intero Corpo dei Marines fosse li, mantenendo la sua coesione e lo spirito anche se, forse, eravamo tutto quello che rimaneva dell’intera forza armata spazioportata.
«Siamo tutti qui, colonnello» disse Edson.
«Stai con Torres assieme al maggiore Yx. Il maggiore Imex, invece, con me.»
«Ricevuto.»
Con la coda dell’occhio vidi il capo di prima classe Gradex sporgersi dalla rampa e poi parlare velocemente nell’interfono. Con un hummm potente a bassissima frequenza la navetta si sollevò a razzo, sparendo nella notte.
Poi fu solo l’oscurità ed il fruscio delle foglie nella notte.
Automaticamente Torres ed io ci rivolgemmo, schiena contro schiena, verso l’esterno del piccolo gruppo, Daria, Edson, e Glora Imex in mezzo a noi.
«Odissey Leader, qui Odissey Due Tre. Ci muoviamo da nord verso di voi. Siamo in due. Non sparate.»
«Qui Odissey Leader, ricevuto.»
Nel visore vidi improvvisamente emergere alla mia destra, lontani una cinquantina di metri, due figure in uniforme da Marines, armate di fucile d’assalto e lanciagranate.
Quando furono vicini, una di loro si inginocchiò vicino a me.
«Ben arrivato, colonnello. Ci muoviamo subito?» disse Colonna bisbigliando.
Guardai verso l’alto.
Il cielo non era più nero, ma un’azzurro pallido: il sole stava spuntando.
«Si. Ormai il villaggio si starà svegliando. Ci posizioniamo ai bordi della radura ed attendiamo fino a che non vedo qualcuno che conosco. Spero Tsmir lo Shar[2]
«Ricevuto.»
«Tu e Collins farete da avanguardia. Torres ed io copriremo le spalle. In mezzo tutti gli altri.»
«La navetta?»
«Sta recuperando tutti i Marines dagli OP, come concordato. Tra mezzora sarà qui. Abbiamo la UFSS Mohawk con il Guardone acceso. Se ci sono movimenti li rileveranno. Muoviamoci.»
Colonna fece un cenno a Collins. I due Marines si mossero silenziosamente e cominciarono ad affrontare la piccola salita che portava, attraversando il margine della foresta, fino alla radura antistante al villaggio.
Mi mossi e mi portai vicino a quello che rimaneva del gruppo.
«Torres… Tu retroguardia. Io in mezzo.»
«Ricevuto.»
«Daria, Reginald, Glora, attaccati a me.»
Mi girai verso Torres, che era dieci metri dietro a tutti.
Hilda annuì.
Nonostante il peso dovuto alla gravidanza, Daria si mosse cautamente senza farci rallentare.
Vidi in continuazione che Glora le era vicina e Hilda non perdeva d’occhio entrambe.
Edson sembrava ringiovanito. Si muoveva come un gatto, dandomi nettamente l’impressione di divertirsi un mondo. Forse stava ripercorrendo i tempi della sua giovinezza, quando faceva il suo lavoro di Marine sul campo di battaglia.
Puntava l’arma con disinvoltura, rispettando i criteri di sicurezza, cercando di dare protezione soprattutto alle due Dariane del Servizio Scientifico.
Era logico, in fondo.
La copertura esterna la assicuravamo noi Marines. Se qualcuno ci avesse superato, ed avesse puntato ai due ufficiali della Flotta, avrebbe trovato lui a respingere una possibile minaccia.
Ci muovevamo lentamente, passo dopo passo.
Arrivò una comunicazione sul circuito a bassa potenza della radio.
«Qui Odissey Due Tre. C’è attività fuori dal villaggio. Riconosco un paio di persone» disse Colonna.
«Qui Odissey Leader. Tra tre minuti siamo da voi.»
Eravamo ormai ai bordi della radura, coperti dalla vegetazione.
Fa freddo. Non posso restare a lungo qui con Daria in quelle condizioni.
Mi fermai ed alzai il pugno sinistro chiuso in alto, appena sopra la spalla. Mi avvicinai al gruppo di retroguardia. Davanti a me c’era Edson. Accostai la bocca al suo orecchio e bisbigliai.
«Vado in avanscoperta. Voi restate qui. Passa parola agli altri.»
«Va bene. Dexter… Tua moglie è esausta. Non lo da a vedere perché è una donna in gamba. Cerchiamo prima possibile di entrare nel villaggio ed avere un ricovero.»
Guardai Daria nel mio visore.
Era accovacciata vicino al tronco di un’albero, nella neve, gli occhi chiusi. Glora la teneva a se, come se Daria fosse una figlia. A pochi passi c’era Torres, fucile in caccia verso la direzione da cui eravamo venuti.
Colsi un paio di volte la Messicana che dava occhiate nervose e preoccupate verso Daria.
Improvvisamente la voce di Daria mi sussurrò nella testa.
…Sto bene Dex. Sono solo stanca. Ma sto bene. L’uniforme da combattimento invernale dei Marines mi tiene al caldo. Ma fai presto…
…Non farmi preoccupare, Daria…
…Non hai nulla di cui preoccuparti se non per quelli che ci aspettano a casa…
Mi mossi lentamente verso i due uomini di punta.
Intravvidi le sagome di Colonna e di Collins in osservazione, immerse nella vegetazione e nella neve.
Mi stesi silenziosamente vicino a loro.
«Saverio…» bisbigliai.
«Si signore. Ho visto Ritsa e Dibso. Ma non vedo Tsmir.»
Mi domandai se fosse successo qualcosa.
Gran parte dell’appoggio su cui contavo derivava proprio dall’amicizia maturata con il capo villaggio Tsmir.
Restammo un quarto d’ora, nel gelo invernale delle montagne di Mar-Gar, in osservazione.
Di Tsmir nessuna traccia.
Vidi che mancavano altre persone, tutti uomini.
Non posso aspettare ancora.
«Saverio, mi muovo io da solo. Voi copritemi.»
«Ricevuto signore.»
Misi il fucile in sicura e poi lo posizionai dietro la schiena.
Strisciai nella neve una decina di metri più in basso, lontano dalla posizione occupata dai miei due uomini. Poi mi misi lentamente in piedi e mi scrollai la neve da dosso.
Non appena uscii, con passo normale, dalla vegetazione, ci fu un movimento nella piccola folla radunata all’imboccatura dell’immensa caverna che ospitava il villaggio di Par-Dak.
Decine di occhi mi stavano osservando curiosi.
Mi hanno visto non appena mi sono mosso. Istinto indispensabile se si vuole sopravvivere qui.
Alzai la mano.
Una figura alta ed imbronciata si staccò dal gruppo e venne verso di me.
Quando fu ad una decina di passi si fermò e sulla faccia serissima di pardak si dipinse un sorriso.
Era Dibso, il braccio destro di Tsmir.
«Kolonelodexterdax?»
«Munadibso. Kundexterdax!» risposi usando le poche parole che conoscevo della loro lingua.
Dibso portò entrambe le mani al petto.
Ora sapevo perché lo faceva: i pardak hanno due cuori.
Nel salutare, Dibso si era toccato entrambi i punti dove battevano.
Allargai le braccia e mi toccai il ì petto, dove batteva il mio cuore di Terrestre.
Improvvisamente ebbi un giramento di testa, lievissimo, ma strano.
E le parole uscirono dalla mia bocca in maniera inconsulta.
«Gur mirnan gurad tulk amar hurglur.[3]»
Mi resi conto che d’istinto avevo parlato in Nameriano.
Rimasi confuso ed interdetto. Ma prima che riuscissi a chiedermi come fosse possibile, Dibso mi rispose nella stessa lingua e con sorpresa riuscii a capire chiaramente parola per parola: «Vedo che la Bocca di Namer ha trasformato anche te. Benvenuto a Par-Dak, colonnello Dexter Dax.»

(Copyright 2016 Paul J. Horten diritti riservati)


[1] QRF= Quick Reaction Force,  Forza di Intervento Rapido.
[2] Shar = In lingua pardak “autorità” o “capo”.
[3] Gur mirnan gurad tulk amar hurglur. = In lingua nameriana significa “Sono di nuovo qui per chiedere aiuto”

1 commento:

  1. Interessante come ci si aspetta da PJH (ricorda di togliere "di" fra nessuna e prova per favore)

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