Lo
spazio si stendeva sconfinato, nero ed ostile, davanti a me.
Mi
voltai.
Il
Dragone Maggiore splendeva su Primus come al solito, intoccato.
Nemmeno
gli Urdas potevano spazzarlo via dal cielo.
Quando
abbassai lo sguardo vidi le rovine di una casa. La mia.
Tutte
le case attorno erano nello stesso stato.
Le cose stanno andando cosi
male?
Mi
sentii chiamare.
La voce
era familiare, ma non riuscivo ancora a riconoscerla, perché mi arrivava
attutita, come se quel qualcuno fosse lontanissimo.
Cercai
attorno con lo sguardo e vidi Fuchida vicino a me.
Era lui
che parlava ma non riuscivo a capire.
«Ishiro?
Ishiro? Cosa succede?»
Quando
la figura di Fuchida cercò di protendersi verso di me, come per toccarmi, lo
spazio interstellare tornò a dividerci ed il suo freddo mortale mi pervase sin
nelle ossa.
Su Primus i miei Marines stanno
morendo. Devo fare presto. Devo fare presto.
Mi
svegliai boccheggiando per l’ansia.
Sentii
la mano di Daria sfiorarmi il fianco e cercare un’abbraccio.
«Dex… Non
è un presagio, cerca di riaddormentarti» disse lei dolcemente.
Respirai
profondamente.
«Come
fai a dirlo?»
«Lo
saprei. So solo che dentro di te sei mortalmente preoccupato da quando siamo
partiti.»
«Cerco
di non mostrarlo.»
«Non
serve dissimulare. È dentro di te ed è come un parassita che ti divora. Io lo
sento.»
Sospirai
e mi misi seduto sul letto.
Guardai
il palmtop si servizio.
«Dove
vai?» chiese Daria insonnolita.
«Ho una
videoconferenza con Mox.»
«Non è
tra due ore?»
«Si. Ma
non ho più sonno. Ne approfitto per prendermi qualcosa in cambusa e
riflettere.»
Daria
non rispose.
Quando
le sfiorai il capo per baciarla udii il respiro regolare. Si era
riaddormentata.
Non so come riesca a farlo.
Invidio i Dariani per questa capacità.
La
figura di Ari Mox galleggiò nell’aria dal terminale 3D, mostrando solo il mezzo
busto.
Mi
guardò per un lungo momento, seduto nella cabina del suo alloggio sulla UFSS Mohawk.
Poi
parlò: «Abbiamo carburante per un mese e mezzo di navigazione. Vorrei riuscire
a fare rifornimento ben prima. Ovviamente dipende anche da dove siamo diretti e
che percorso faremo per raggiungere la nostra meta, Dax.»
Inutile mentire con un Dariano.
E poi ci sono troppe variabili, lo sa anche lui.
«La nostra
meta è Namer, Mox. Come raggiungerla dipende anche dalle informazioni che
raccoglieremo strada facendo. Quanto è il tempo di sosta previsto?»
Mox
fece una smorfia di disappunto, poi ci ripensò e sorrise, con il suo solito
modo gioviale.
«Dieci
giorni, forse dodici.»
«Così
tanto?»
«Dobbiamo
generare barre di CLT-5 per entrambe le navi. E la UFSS Moras è molto più grande di noi.»
Annuii.
«E sia.
Non posso cambiare una realtà tecnica. E poi non dobbiamo solo arrivare su
Namer. Sperabilmente dobbiamo anche tornare indietro.»
”Sperabilmente…»
replicò Mox.
C’era
della pesantezza insolita nel suo comportamento di Dariano.
Forse
doveva combattere più spesso di quanto pensassi il knar’a-dar. Vista la situazione non potevo biasimarlo.
«Come
siamo messi a carburante, al momento?»
«Abbiamo
ripreso a bordo il carico di CLT-5 che avevamo fatto su Mar-Gar più altre barre
di carburante che riempiono le stive ed i corridoi della UFSS Moras. Dal
momento che non trasporta un’intero battaglione di Eso ma solo una compagnia,
di posto ce n’è.»
«Non mi
sembra una cosa negativa.»
«Resta
il fatto che dovremo fare rifornimento, se vogliamo tornare.»
Improvvisamente
suonò un’avviso sonoro e Mox si sfiorò un’area sulla manica dell’uniforme da
Comandante.
«Qui
Mox, avanti.»
Restò
assorto per alcuni secondi poi sfiorò di nuovo la stessa area ed annuì.
«Stiamo
per arrivare in vista della luna di Mar-Gar. Se mi vuole scusare.»
«Assolutamente,
comandante, faccia quello che deve fare. A dopo.»
La
comunicazione si chiuse e ricevetti, contemporaneamente, la chiamata sul mio
palmtop di servizio.
Edson. Meglio che mi sbrighi a
raggiungere la plancia.
Con
l’ex comandante del Corpo dei Marines, ci davamo del tu da quando eravamo
partiti da Primus, una settimana prima.
Ma
l’imprinting era rimasto: mi ero arruolato a vent’anni, con Edson già a capo
del Corpo e inconsciamente continuavo a ritenerlo un superiore, anche se ora
rivestiva cariche civili: Consigliere Federale, l’equivalente di Rappresentante
al Congresso o di Deputato, e Plenipotenziario per conto della Federazione, con
l’autorità di siglare accordi validi tra due civilizzazioni come la Federazione
e l’Impero Namer.
Spensi
il terminale e mi incamminai per i corridoi della UFSS Moras ingombri di barre
di CLT-5 fermate con reti in kevlar alle pareti.
Quando
raggiunsi la plancia Edson era li, che confabulava con il comandante della
nave, il capitano di vascello, Ahmed Hassan.
Fu
l’Arabo a parlarmi per primo.
«Colonnello,
stiamo per raggiungere a velocità sub-luce il punto da cui, secondo le
coordinate fornitemi dal comandante Mox, siete usciti dal wormhole
accidentale.»
Annuii.
«Come
pensa di fare, comandante Hassan? Non sappiamo la situazione dopo la nostra
partenza da Mar-Gar, sei mesi fa. Potrebbe essere presidiata dalla flotta
imperiale, anche se, sinceramente, non mi voglio attribuire troppa importanza.»
«Parcheggeremo
la UFSS Moras in obita stazionaria
attorno alla luna di Mar-Gar. Noi non abbiamo una protezione stealth cosi
spinta. Ma la UFSS Mohawk dovrebbe
essere completamente invisibile. Dai rapporti del comandante Mox non sembra che
i Nameriani abbiano delle capacità di occultamento cosi buone come le nostre…»
Ripensai
all’attacco di droni da combattimento imperiali che su Mar-Gar era costato la
perdita di uno dei miei Marines, uno Zulu dal nome quasi impronunciabile che
avevamo soprannominato, per amor di brevità, Kalele.
No, non le hanno. Mox non ebbe
alcun problema a rilevare tracce delle astronavi imperiali e della discesa
delle navette piene di droni da combattimento.
«Mi sta
bene. Comporrò la squadra principale e quella di riserva immediatamente. Quanto
tempo prima di poter azzardare una discesa sul pianeta?»
«Trentasei
ore, signore.»
«Perfetto.
Chiamo i miei ragazzi per il briefing.»
Feci
per voltarmi quando Edson mi chiamò.
«Dexter,
hai un minuto?»
«Per te
ce l’ho sempre, Reginald.»
Edson
mi accompagnò oltre la paratia della plancia.
«Ti fa
ancora effetto, vero?»
Inarcai
il sopracciglio.
«Chiamarti
per nome dopo tutti questi anni? Si.»
«Sono
solo gradi, Dexter.»
Lo
guardai fisso per un’attimo.
«Dipende
da chi li indossa…»
Il
pensiero di entrambi andò automaticamente a Yugashvili, l’ex comandante in capo
del Corpo dei Marines che, mentre Primus era sotto assedio, aveva dato le
dimissioni e si era fatto evacuare.
«Reginald…
Tu hai sospetti sulla morte del generale Wang?»
Edson
si voltò e per la prima volta da che lo conoscevo lo vidi insicuro.
«Non è
stato un incidente aereo?»
«Io
comincio a dubitarne. Ho fatto le mie indagini su Yugashvili. Carriera troppo
perfetta per uno che non è mai stato in combattimento. Pare fatta apposta per
essere messo, al momento opportuno, al comando del Corpo dei Marines.»
Mi
guardò fisso, poi scosse lentamente la testa.
«Non è
possibile, come ha fatto a sfuggirmi una cosa del genere?»
«L’hanno
orchestrata bene. Non ho ancora nessuna di prova, ma qualcuno mi ha assicurato
che Wang non è morto in un incidente.»
«Chi?»
«Il
capitano Daniel Reid-Daly.»
«Capitano?»
disse Edson sorridendo finalmente.
«Si,
Gli ho fatto avere io la promozione. Yugashvili l’aveva bloccata.»
«Reid-Daly
deve aver trovato qualcosa, anche un indizio minimo. Quando torno sulla Terra
pretenderò dall’MCCIB che le indagini vengano riaperte. A proposito dove è
Danny ora?»
«Su
Moras. Fa parte dello squadrone di guerra asimmetrica della MSOC.»
«Non è
un posto igienico. Spero sia ancora vivo.»
«Lo
spero anche io. Sto per chiamare i miei per pianificare le operazioni su
Mar-Gar.»
«Posso
assistere al briefing, Dexter?»
«Ne
sarei onorato.»
La sala
tattica della UFSS Moras era praticamente vuota, perché progettata per riunioni
ben più ampie: quelle di un intero battaglione. I Marines dell’Odissey Squadron
occupavano solo venti sedie delle oltre quattrocento disponibili.
Sulle
altre poche sedie occupate erano seduti Daria ed entrambi gli Ufficiali
Scientifici della UFSS Mohawk, Bema Tirex e Glora Imex.
Quando
entrai con Edson al seguito, l’attenti fu istantaneo ed eseguito in maniera
perfetta, con gli uomini e le donne in uniforme che scoccavano occhiate
sorprese ed eccitate. Una delle leggende del Corpo era li, tra loro, a ribadire
l’importanza vitale della missione a cui partecipavano.
Diedi
il riposo ed invitai i Marines a sedersi.
Iniziai
i maniera asciutta, saltando ogni preambolo.
«Marines,
tra trentasei ore scenderemo su Mar-Gar, quindi non perderò tempo a lunghe
introduzioni. Lo scopo della missione è di acquisire informazioni sulla nostra
destinazione finale, il sistema di Namer, il pianeta capitale dell’Impero in
cui siamo clandestinamente entrati. Vorrei ribadire quest’ultimo aspetto: noi
qui siamo degli intrusi. Fino a che non avremo contattato le autorità imperiali
ed il consigliere Edson, plenipotenziario della Federazione per conto del
FEXEC, non avrà chiarito la nostra posizione e stretto eventuali accordi di alleanza,
c’è la concreta possibilità che l’Impero ci attacchi, ritenendoci ostili. Va
evitato ogni contatto con gli Imperiali, se possibile. Le cose stanno in questo
modo: metà dello Squadrone va giù appiedato, l’altra metà invece resta su
pronto per intervenire a bordo degli Eso se le cose si dovessero mettere male.
Ho già perso un uomo su Mar-Gar, non voglio perderne altri.»
Collins
alzò timidamente la mano.
«Si
Liam?»
«Chi
scenderà? Ci sono almeno altre tre persone oltre a lei e me, colonnello, che su
quel pianeta ci sono già state.»
«Verranno
proprio loro, per la conoscenza del terreno e della popolazione che
contatteremo, più altri cinque. Io comanderò la squadra di superficie, De La
Rey, come vice comandante, la QRF[1].»
Feci
apparire una mappa 3D della zona di Par-Dak.
Era la
stessa che avevo usato mesi prima quando avevo pianificato con Bema Tirex, il
Secondo Ufficiale Scientifico della UFSS Mohawk, il perimetro di sicurezza per
il prelievo di PCLT-5 da Mar-Gar.
Compariva
segnato, addirittura, il sito di estrazione che avevamo sfruttato.
Io
avevo aggiunto, nella stretta vallata che dal sito di scavo si insinuava tra le
montagne verso nord, le coordinate del villaggio di Par-Dak.
«Ci
metteremo in contatto con Tsmir, il capo villaggio di Par-Dak, e con la sua
gente. Ci deve parecchi favori e siamo in rapporti di amicizia con loro. Gli
abbiamo donato una astronave catturata ad un contrabbandiere nameriano che, a
quanto pare, trafficava tra Mar-Gar e Namer. Assumeremo informazioni per
proseguire la spedizione e sulla situazione dell’Impero, visto che ora viaggiano
anche loro nello spazio per vendere la loro merce e quindi potrebbero in grado
di darci delle notizie preziose. Il comandante Mox, con la sua nave, è in avanscoperta
su Mar-Gar ed ha lanciato una serie di droni da ricognizione, per verificare
che la zona non sia diventata ostile. Tra trentasei ore avremo i risultati e se
tutto sarà tranquillo procederemo allo sbarco per fasi.»
Sulla
mappa 3D, in corrispondenza delle cime attorno a Par-Dak, si illuminarono
quattro zone rosse.
«Le
quattro zone sono degli OP, due a nord e due a sud di Par-Dak, per verificare
che anche attorno non ci siano movimenti ostili. Droidi da combattimento
imperiali potrebbero essere sempre in agguato e non voglio essere colto di
sorpresa. Gli OP saranno composti da due marines ciascuno. Resteranno in
osservazione per dodici ore poi, se anche questa volta risulterà tutto
tranquillo, chiameranno il resto della squadra di superficie: il Consigliere
Edson, il maggiore Yx ed il maggiore Glora Imex, il sergente maggiore Torres e
me.»
«Che
tempi di reazione per la QRF?» domandò Kathryn.
«Mezzora.
Il tempo di scendere dalla UFSS Mohawk
con un paio di Dragonfly fino sulla superficie. Per la QRF abbiamo due DZ, ma
non sono vicine al villaggio perché la vallata è troppo stretta per navigare in
sicurezza con le navette e gli Eso agganciati.»
Si
illuminarono altre due zone in giallo.
«La DZ Blue è cinque chilometri a nord di
Par-Dak. Può accogliere tranquillamente entrambe le navette da sbarco. Il tempo
di intervento da li, per prendere posizione in prossimità del villaggio è di
cinque minuti. La DZ Red è a sud,
nella vallata del sito di estrazione che abbiamo usato otto mesi fa, ed è più
vicina della prima. Tempo di intervento tre minuti a passo di marcia standard.»
Finii
di indicare le Drop Zone e poi mi voltai.
«Noi
verremo giù con la navetta mineraria della UFSS Mohawk. C’è spazio per
atterrare poco distante dal villaggio. Domande?»
«Solo
studiare il piano nel dettaglio e le procedure» rispose Pietter De La Rey.
«Ottimo.
Allora diamoci da fare.»
Nel
cielo ancora preda degli ultimi momenti della notte, la navetta mineraria della
UFSS Moras fece un ultimo largo giro tra le montagne di Par-Dak.
Nell’interfono
risuonò la voce del pilota, il tenente Rovax.
«Cinque
minuti all’atterraggio, colonnello Dax.»
Guardai
l’ora: le cinque del mattino, ora locale.
Il villaggio sarà immerso nel
sonno ancora per poco.
Aprii
la radio sul canale di comunicazione dei Marines e chiamai Kathryn.
“Odissey
Leader a Odissey Due Uno. Stiamo per atterrare. Situazione?»
Kathryn
mi rispose immediatamente. Era lei che comandava tutti gli OP che dodici ore
prima erano stati silenziosamente installati sulle cime che dominavano la valle
di Par-Dak.
«Qui
Odissey Due Uno, Odissey Leader. Ultimo rapporto confermato. Nessuna attività
ostile nei dintorni. Il villaggio è popolato di civili e nelle ultime dodici
ore hanno condotto attività non sospette. Zona di atterraggio confermata?»
«Affermativo,
Odissey Due Uno.»
«Avete
il comitato di accoglienza. Odissey Due Tre e Due Quattro sono sul terreno.»
Colonna e Collins sono già sul
posto. Riduciamo gli OP come abbiamo pianificato da quattro a due nella
prossima ora, non appena saremo sbarcati.
«Ricevuto,
Odissey Due Uno. Chiudo.»
Daria
era accanto a me, gli occhi chiusi.
Sentii
la sua mano cercare la mia e stringerla.
Poi la
sua voce nella mia testa.
… È qui che ho rischiato di
perderti?...
..Si…
…L’altro lato della galassia.
Cosi lontano…
…Ora è diverso Daria. Ora siamo
vicini….
…Hadi…
Sentir
prounciare il nome di mio figlio mi provocò una fitta di dolore.
Sentii
una entità piccina e dolce pulsare d’amore: mia figlia Jeanne, ancora nel
ventre di Daria, cercava di consolarmi.
Mi
sentii improvvisamente calmo e determinato.
Avevo
tutto l’amore dell’Universo con me.
Sapevo
tutto quello che c’era da sapere in quel primo approccio.
Il
fatto di avere come punto di partenza Par-Dak, dove potevamo avere accoglienza
ed ospitalità mi rassicurava.
Pensai
per un’attimo al minuscolo villaggio sperduto nelle montagne. Poi alla distanza
che lo separava da Namer. Un punto di luce in mezzo ad un infinita oscurità,
con tempeste invisibili che attraversavano un oceano fatto di vuoto e di freddo
mortale.
..Ce la faremo Dex…
Invece
di rispondere annuii e strinsi la mano a mia moglie.
«Un
minuto all’atterraggio, colonnello!» disse Rovax attraverso l’interfono.
La
navetta dondolò fortemente un paio di volte e poi sembrò precipitare.
La maniera di pilotare di Rovax
non è migliorata.
L’hummm dei motori antigravità divenne più
forte.
Feci un
cenno a Torres e mi tolsi la cintura di sicurezza. Il contatto con Daria si
interruppe.
Verificai
il tamburo da 300 colpi infilato nel fucile d’assalto, poi posizionai l’arma
agganciata alla cinghia dietro la schiena. Torres fece altrettanto.
Mi
avvicinai alla rampa di carico assieme alla Messicana.
Ci
guardammo in silenzio ed annuimmo assieme.
C’è intesa perfetta. Ho fatto
bene a portare con me Hilda.
«Sai
qual è il tuo compito…» mormorai.
Hilda
annuì di nuovo.
«Starò
attaccata al culo di Daria e di Edson. Conta su di me.»
«Cautela
con i nativi. E segui alla lettera quello che ti dico io oppure il maggiore
Imex.»
«Ricevuto.»
Attivai
il visore notturno, mi afferrai ai sostegni ed attesi.
«Cinque
secondi all’atterraggio» disse di nuovo la voce di Rovax via interfono.
La
rampa cominciò ad aprirsi e vidi che eravamo distanti dal terreno ancora una
cinquantina di metri.
Sentii
i pattini di atterraggio colpire il terreno ghiacciato con un tonfo morbido.
«Siamo
a terra! Trenta secondi!» esclamò Rovax via interfono.
«Torres!
Fuori!» esclamai a mia volta.
Alzai
il fucile d’assalto e tolsi la sicura. Torres ed io scendemmo la rampa coprendo
il nostro settore, io a destra e la Messicana a sinistra fermandoci ad una
decina di metri dalla rampa.
I primi
passi fecero scricchiolare lievemente la neve che copriva il terreno. Arrivava
fino a metà del polpaccio.
Sul
visore comparvero le posizioni di Colonna e di Collins. Erano a venti metri
dalla prua della navetta. Formavamo un perimetro perfetto.
«Edson!
Porti fuori tutti! Zona sicura!» ringhiai sovrastando l’humm dei motori antigravità.
Vinsi
l’istinto di voltarmi per vedere Daria con il suo pancione che scendeva dalla
rampa metallica.
Sentii
toccarmi la spalla. Era Edson, armato anche lui di fucile d’assalto M327.
Anche
se ora era un civile, era stato pur sempre un Marine ed era in missione con
noi, condividendo gli stessi pericoli. Mi era parso naturale permettergli di
portare un’arma per difendersi.
Durante
il briefing sulla UFSS Moras era stato attento e disciplinato, nonostante
avesse più esperienza di tutti noi messi assieme. La cosa aveva colpito tutti i
ragazzi, che gli avevano mostrato rispetto ed ammirazione in una maniera che mi
aveva toccato.
La
presenza del vecchio ufficiale, inoltre, aveva degli effetti benefici sul
morale: era come se l’intero Corpo dei Marines fosse li, mantenendo la sua
coesione e lo spirito anche se, forse, eravamo tutto quello che rimaneva
dell’intera forza armata spazioportata.
«Siamo
tutti qui, colonnello» disse Edson.
«Stai
con Torres assieme al maggiore Yx. Il maggiore Imex, invece, con me.»
«Ricevuto.»
Con la
coda dell’occhio vidi il capo di prima classe Gradex sporgersi dalla rampa e
poi parlare velocemente nell’interfono. Con un hummm potente a bassissima frequenza la navetta si sollevò a razzo,
sparendo nella notte.
Poi fu
solo l’oscurità ed il fruscio delle foglie nella notte.
Automaticamente
Torres ed io ci rivolgemmo, schiena contro schiena, verso l’esterno del piccolo
gruppo, Daria, Edson, e Glora Imex in mezzo a noi.
«Odissey
Leader, qui Odissey Due Tre. Ci muoviamo da nord verso di voi. Siamo in due. Non
sparate.»
«Qui
Odissey Leader, ricevuto.»
Nel
visore vidi improvvisamente emergere alla mia destra, lontani una cinquantina
di metri, due figure in uniforme da Marines, armate di fucile d’assalto e
lanciagranate.
Quando
furono vicini, una di loro si inginocchiò vicino a me.
«Ben
arrivato, colonnello. Ci muoviamo subito?» disse Colonna bisbigliando.
Guardai
verso l’alto.
Il
cielo non era più nero, ma un’azzurro pallido: il sole stava spuntando.
«Si.
Ormai il villaggio si starà svegliando. Ci posizioniamo ai bordi della radura
ed attendiamo fino a che non vedo qualcuno che conosco. Spero Tsmir lo Shar[2].»
«Ricevuto.»
«Tu e
Collins farete da avanguardia. Torres ed io copriremo le spalle. In mezzo tutti
gli altri.»
«La
navetta?»
«Sta
recuperando tutti i Marines dagli OP, come concordato. Tra mezzora sarà qui.
Abbiamo la UFSS Mohawk con il Guardone acceso. Se ci sono movimenti li
rileveranno. Muoviamoci.»
Colonna
fece un cenno a Collins. I due Marines si mossero silenziosamente e
cominciarono ad affrontare la piccola salita che portava, attraversando il
margine della foresta, fino alla radura antistante al villaggio.
Mi
mossi e mi portai vicino a quello che rimaneva del gruppo.
«Torres…
Tu retroguardia. Io in mezzo.»
«Ricevuto.»
«Daria,
Reginald, Glora, attaccati a me.»
Mi
girai verso Torres, che era dieci metri dietro a tutti.
Hilda
annuì.
Nonostante
il peso dovuto alla gravidanza, Daria si mosse cautamente senza farci
rallentare.
Vidi in
continuazione che Glora le era vicina e Hilda non perdeva d’occhio entrambe.
Edson
sembrava ringiovanito. Si muoveva come un gatto, dandomi nettamente
l’impressione di divertirsi un mondo. Forse stava ripercorrendo i tempi della
sua giovinezza, quando faceva il suo lavoro di Marine sul campo di battaglia.
Puntava
l’arma con disinvoltura, rispettando i criteri di sicurezza, cercando di dare
protezione soprattutto alle due Dariane del Servizio Scientifico.
Era
logico, in fondo.
La
copertura esterna la assicuravamo noi Marines. Se qualcuno ci avesse superato,
ed avesse puntato ai due ufficiali della Flotta, avrebbe trovato lui a
respingere una possibile minaccia.
Ci
muovevamo lentamente, passo dopo passo.
Arrivò
una comunicazione sul circuito a bassa potenza della radio.
«Qui
Odissey Due Tre. C’è attività fuori dal villaggio. Riconosco un paio di
persone» disse Colonna.
«Qui
Odissey Leader. Tra tre minuti siamo da voi.»
Eravamo
ormai ai bordi della radura, coperti dalla vegetazione.
Fa freddo. Non posso restare a
lungo qui con Daria in quelle condizioni.
Mi
fermai ed alzai il pugno sinistro chiuso in alto, appena sopra la spalla. Mi
avvicinai al gruppo di retroguardia. Davanti a me c’era Edson. Accostai la
bocca al suo orecchio e bisbigliai.
«Vado
in avanscoperta. Voi restate qui. Passa parola agli altri.»
«Va
bene. Dexter… Tua moglie è esausta. Non lo da a vedere perché è una donna in
gamba. Cerchiamo prima possibile di entrare nel villaggio ed avere un
ricovero.»
Guardai
Daria nel mio visore.
Era
accovacciata vicino al tronco di un’albero, nella neve, gli occhi chiusi. Glora
la teneva a se, come se Daria fosse una figlia. A pochi passi c’era Torres,
fucile in caccia verso la direzione da cui eravamo venuti.
Colsi
un paio di volte la Messicana che dava occhiate nervose e preoccupate verso
Daria.
Improvvisamente
la voce di Daria mi sussurrò nella testa.
…Sto bene Dex. Sono solo stanca.
Ma sto bene. L’uniforme da combattimento invernale dei Marines mi tiene al
caldo. Ma fai presto…
…Non farmi preoccupare, Daria…
…Non hai nulla di cui
preoccuparti se non per quelli che ci aspettano a casa…
Mi
mossi lentamente verso i due uomini di punta.
Intravvidi
le sagome di Colonna e di Collins in osservazione, immerse nella vegetazione e
nella neve.
Mi
stesi silenziosamente vicino a loro.
«Saverio…» bisbigliai.
«Si
signore. Ho visto Ritsa e Dibso. Ma non vedo Tsmir.»
Mi
domandai se fosse successo qualcosa.
Gran
parte dell’appoggio su cui contavo derivava proprio dall’amicizia maturata con
il capo villaggio Tsmir.
Restammo
un quarto d’ora, nel gelo invernale delle montagne di Mar-Gar, in osservazione.
Di
Tsmir nessuna traccia.
Vidi
che mancavano altre persone, tutti uomini.
Non posso aspettare ancora.
«Saverio,
mi muovo io da solo. Voi copritemi.»
«Ricevuto
signore.»
Misi il
fucile in sicura e poi lo posizionai dietro la schiena.
Strisciai
nella neve una decina di metri più in basso, lontano dalla posizione occupata
dai miei due uomini. Poi mi misi lentamente in piedi e mi scrollai la neve da
dosso.
Non
appena uscii, con passo normale, dalla vegetazione, ci fu un movimento nella
piccola folla radunata all’imboccatura dell’immensa caverna che ospitava il
villaggio di Par-Dak.
Decine
di occhi mi stavano osservando curiosi.
Mi hanno visto non appena mi
sono mosso. Istinto indispensabile se si vuole sopravvivere qui.
Alzai
la mano.
Una
figura alta ed imbronciata si staccò dal gruppo e venne verso di me.
Quando
fu ad una decina di passi si fermò e sulla faccia serissima di pardak si
dipinse un sorriso.
Era
Dibso, il braccio destro di Tsmir.
«Kolonelodexterdax?»
«Munadibso. Kundexterdax!» risposi usando
le poche parole che conoscevo della loro lingua.
Dibso
portò entrambe le mani al petto.
Ora
sapevo perché lo faceva: i pardak hanno due cuori.
Nel
salutare, Dibso si era toccato entrambi i punti dove battevano.
Allargai
le braccia e mi toccai il ì petto, dove batteva il mio cuore di Terrestre.
Improvvisamente
ebbi un giramento di testa, lievissimo, ma strano.
E le
parole uscirono dalla mia bocca in maniera inconsulta.
«Gur mirnan gurad tulk amar hurglur.[3]»
Mi resi
conto che d’istinto avevo parlato in Nameriano.
Rimasi
confuso ed interdetto. Ma prima che riuscissi a chiedermi come fosse possibile,
Dibso mi rispose nella stessa lingua e con sorpresa riuscii a capire
chiaramente parola per parola: «Vedo che la Bocca di Namer ha trasformato anche
te. Benvenuto a Par-Dak, colonnello Dexter Dax.»
(Copyright 2016 Paul J. Horten diritti riservati)
Interessante come ci si aspetta da PJH (ricorda di togliere "di" fra nessuna e prova per favore)
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