Spaceborne Marines é in dirittura di arrivo ed allora offro ai miei affezionati lettori una chicca: un racconto breve che funge da esercizio per sviluppare il prossimo libro sulle Comunitá Occulte.
Victor era giovane e prestante.
Era la rappresentazione eterna della giovinezza, e non solo in senso lato.
In senso letterale.
Venticinque anni, fisico perfetto, aveva un aspetto curato fino all'ultimo dettaglio.
Anche quando si muoveva e passava davanti a qualcuno, dava l'impressione di guardare una foto irrealmente definita, come se l'estrema perfezione di Victor fosse stata bidimensionale, buona per una pagina di una rivista di moda maschile.
Sarebbe apparso anche bello, se non fosse stato per l'aria minacciosa e l'espressione ferina. Persino quando sorrideva, quelle rare volte, faceva rabbrividire.
In realtá Victor aveva 250 anni, ed era uno dei piu' vecchi vampiri in circolazione.
Aveva imparato ad uccidere da subito, l'istante dopo essere stato creato da Yekaterina, la sua padrona, la Regina Nera.
"Cosa sono io? Un killer su commissione. Uccido da secoli non per me, ma per chi mi domina..." pensó amaramente Victor.
"Se solo potessi spegnere questa sete una volta per tutte..."
Si sentiva sempre ardere di sete, e Yekaterina lo teneva al laccio.
Solo quando diventava troppo irrequieto, lei allentava la presa e gli permetteva di uccidere mortali.
Non piu' di uno o due al mese. E scegliendoli accuratamente.
Victor sapeva come doveva fare, quali erano le istruzioni.
Tutto di quel mondo si basava sul segreto, l'arma piu' potente delle Comunitá Magiche e di quelle Occulte.
Se i Viventi avessero fiutato il pericolo, avrebbero saputo ricambiare la moneta del terrore con quella della distruzione in una maniera devastante, tanto da fargli pensare che, in fondo, in quanto a crudeltá i Mortali fossero assai piu' simili a loro che al lato illuminato di cui si ritenevano depositari.
Quando era in caccia, su permesso di Yekaterina, c'era quell'eccitazione costante, cosi forte da fargli quasi dimenticare la sete che lo tormentava da quattro secoli. Cominciava a girare di notte per locali, per strade buie, per vicoli senza uscita.
Da quando i fratelli Lumiere l'avevano inventato (lui era li la sera che avevano proiettato "L'Arrivo di un Treno alla Stazione Ciotat", il primo spettacolo a pagamento sul grande schermo) aveva frequentato anche il cinema. Gli piaceva, perché poteva vedere la luce del giorno senza correre pericoli.
E gli era capitato di vedere dei film sui vampiri.
Quello di Murnau, "Nosferatu" gli era piaciuto moltissimo, ma gli altri li aveva trovati ridicoli.
Gli era venuto da ridere quando aveva visto che i mortali ritenevano che quelli come lui si potessero trasformare in tempesta, in animali, come i pipistrelli, e volare via.
Il fatto che gli attribuissero dei poteri cosi fantastici dimostrava il terrore che i mortali nutrivano verso la sua specie.
Victor ci godeva sapendo che erano spaventati a morte.
Ma non aveva affatto riso quando, in un film, dei vampiri ne avevano chiusi altri due all'interno di una torre aperta in alto e li, quando il sole di mezzogiorno era penetrato, i due condannati erano diventati lentamente cenere.
Succedeva veramente se si veniva esposti alla luce solare. Ed era doloroso oltre ogni immaginazione.
Gli era successo una volta, i primi tempi, quando era un vampiro giovane (di primo sangue, si diceva...) ed imprudente.
Una Strega Bianca di cui era in caccia era riuscita a tirarla per le lunghe in una vecchia casa e lui non si era accorto, impazzito dall'odore del premio che batteva nelle vene di quella maledetta puttana piena di buoni propositi, che era arrivato il mattino.
La sua avversaria invece lo sapeva benissimo. E con la sua bacchetta aveva aperto uno squarcio in una parete.
La luce era filtrata bianca, pura, accecante.
Una lama brandita dal sole che significava morte anche per chi, come lui, non era piú nemmeno vivo.
Aveva scartato di lato, con l'impressionante velocitá e riflessi di cui era dotato, e questo gli aveva salvato la sua non-vita. Ma non l'avambraccio destro.
La pelle pallida di Victor si era immediatamente coperta di vesciche di pustole diventando poi fragile e grigia come cenere in un focolare e lui aveva ruggito per il dolore: "Puttanaaaaaaa... "
Aveva ritirato il braccio troppo tardi: il processo si era completato in pochi attimi.
La mano e l'avambraccio si erano dissolti lasciandolo monco.
Il dolore invece, era durato per giorni, rendendolo quasi pazzo, come se il suo corpo di non morto reagisse per limitare una possibile estensione del danno.
La Strega era riuscita a scappare e Yekaterina non era stata affatto contenta.
L'aveva guardato come un insetto.
"Idiota. Te la sei lasciata sfuggire come un dilettante. Dovrei appenderti fuori le mura del castello e farti aspettare l'alba li, per completare il lavoro della mia nemica" aveva detto senza nemmeno alterare il tono per la rabbia.
Non c'era pietá in Yekaterina.
Anche quando si era servita di lui per il suo piacere sessuale, c'era distacco.
Era una prova di dominio.
Nessuna strega normalmente é cosi pazza da fare sesso con un vampiro da lei creato. L'orgasmo allenta il controllo perché é abbandono.
Ma potente come Yekaterina non ce n'era nessuna.
Lui era bello e dotato anche da non-morto.
E lei, in quel modo, aveva dimostrato di poterlo controllare come voleva.
Da vivo, il sesso per Victor era stato uno dei suoi interessi principali.
Da non-morto, dopo che era stato posseduto da Yekaterina, era diventata una pratica perversa che non lo attirava piu'.
L'unico pensiero fisso era il sangue caldo dei viventi che poteva placare la sua sete.
Yekaterina aveva infine deciso che lui gli poteva servire ancora.
Nelle settimane successive, dolorosamente, il braccio era ricresciuto.
Ed, inaspettatamente, quando la ricrescita era stata completa lei gli aveva dato il permesso di cacciare.
"Uno solo per questo mese. Non di piu'. E cerca di ucciderne uno lontano da qui. In questo posto dobbiamo restarci un pezzo."
Forse un residuo della sua vita passata di dongiovanni era rimasto, perché, dopo una settimana di lunghi giri, aveva trovato la sua vittima.
Aveva scelto una ragazza.
L'aveva incontrata in una locanda.
Era una prostituta, molto giovane, molto spaventata e faceva discorsi molto stupidi.
All'epoca le donne non venivano istruite. E quella proveniva dal proletariato piú basso della provincia Francese.
Ricordava vagamente il nome, ma gli occhi gli si erano impressi nella sua implacabile memoria: grandi, azzurro sbiadito, innocenti.
La cosa piu' interessante era che i genitori erano tutti e due morti di peste. Prima che il contagio portasse via anche lei, l'avevano data in affido ad uno zio che viveva a Parigi.
La prima cosa che il parente aveva fatto era stato stuprarla. E poi mandarla a battere la strada per pagarsi il vizio di bere.
E guai a lei se non portava quanto doveva, perché lo zio aveva mani lunghe e pesanti.
Victor era stato gentile e gli aveva messo sotto il naso una scarsella piena di luigi d'oro.
La ragazza ne valeva si e no uno alle tariffe correnti.
Ma l'aveva ingolosita.
Da qualche parte una forma contorta di pietá gli aveva suggerito di farla bere, un modo di alleviare la pena per quello che sarebbe successo dopo.
Ordinó il miglior vino della locanda, pagandolo mezzo luigi d'oro.
Ed era roba completamente differente dalla sciaquatura dozzinale che normalmente servivano.
La ragazza aveva ripreso colore sotto la sporcizia.
Sarebbe stata anche graziosa: da sotto la cuffia spuntavano dei boccoli giallo sporchi che una volta erano stati capelli biondi come l'oro.
Lui aveva tempo e lei cominiciava a stare sulle spine: continuava a ripetere che al mattino doveva tornare dallo zio.
Victor annuí, infine, e le promise un luigi d'oro se avesse fatto tutto quello che lui avesse chiesto.
Lei si ritrasse: "Mi picchierete?"
"Potrei farlo?" chiese lui e poi aggiunse "Ti piace essere picchiata?"
Lei non rispose. Le luccicavano gli occhi per le lacrime trattenute.
Scosse la testa lentamente.
"Ma se ti pagassi un luigi d'oro, forse due, ti faresti picchiare, se lo volessi... vero Virginie?" disse Victor sorridendo a mezza bocca.
Si divertiva a vedere fino a che punto l'abiezione incontrava esseri disposti a piegarsi ad essa.
Una lacrima grossa e luccicante, scese lungo la gota della ragazza.
Strinse gli occhi e poi rispose: "Se cosi voi volete, signore, Ma vi prego... non lasciatemi segni, non rendetemi storpia. Se nessuno viene con me non mangio..."
La cosa colpí Victor.
Il suo problema da vampiro era la sete.
Quello dei mortali il cibo.
In maniera perversa sentí la necessitá della ragazza vicino alla sua.
"Da quanto non mangi?"
Non gli interessava l'umiliazione insita nella domanda, perché non c'era compassione nella sua curiositá.
"Da due giorni signore..." rispose Virginie senza guardarlo.
Victor si voltó ed afferró al volo una delle cameriere.
Dovette dosare la forza, perché se avesse usato tutta quella che aveva, avrebbe staccato il braccio dalla capsula articolare della donna.
"Cameriera, cosa servite stasera da mangiare qui?"
"Cosa ti puoi permettere?"
Lui tiró fuori dei fiorini d'argento delle Fiandre.
La donna sgranó gli occhi.
"C'é arrosto di maiale con patate novelle e..."
"Portalo qui per la mia ospite ..."
Quando la pietanza calda arrivó (Victor non sentiva l'odore, ma l'espressione di Virginie era tutta un programma: guardava incredula la ciotola fumante con la bocca semiaperta) la ragazza cominció a mangiare come un cucciolo di lupo, guardandosi attorno come se fosse diffidente e temesse che qualcuno gliela portasse via prima che lei avesse finito.
Quando rialzó la testa, Victor le disse che era il momento di salire.
Lei esitó un'attimo ma il calore ed il sapore del cibo l'avevano convinta: non le importava piú se un affascinante sconosciuto si eccitava quando una donna veniva percossa.
Lo seguí docile e quando entró dentro la stanza, al piano di sopra della locanda, si giró e gli chiese se doveva spogliarsi.
Lui annuí e cominció ad armeggiare per accendere il fuoco.
Voleva vedere lo spettacolo, non gli importava che la stanza, senza riscaldamenti, fosse gelida e la ragazza tremasse come una foglia.
Quando si giró rimase piacevolmente sorpreso.
A parte la testa un po' grossa in proporzione al corpo, Virginie era ben fatta, forse un po' magra: aveva la pancia incavata e le si vedevano le costole a causa dei frequenti digiuni.
Ma aveva dei seni abbondanti per una della sua etá e gambe snelle.
Sarebbe stato piacevole, se lui fosse stato ancora vivo.
Ma il sesso non gli interessava.
Gli interessava quello che pulsava nelle vene della ragazza.
La commedia doveva essere verosimile. Quando era stato precipitoso aveva sempre avuto problemi. E si era ritrovato con un manipolo di mortali alle calcagna ansiosi di farlo a pezzi.
Non che una mezza dozzina di mortali ubriachi ed arrabbiati rappresentassero un problema: poteva ucciderli tutti in poco tempo.
Il problema era Yekaterina: se avesse lasciato delle tracce cosí evidenti stavolta lo avrebbe appeso davvero ad aspettare il sorgere del sole per farlo lentamente incenerire.
No. Le cose dovevano essere fatte per benino.
La morte richiede un rito, una preparazione tutta sua per arrivare nel modo giusto, pulito.
Del resto, anche i Mortali, quando uccidono un condannato, non hanno tutti quegli stupidi rituali? Il condannato a morte non doveva passare attraverso degli stadi di dolore e paura crescente, fino all'acme, quando la Signora con la Falce arrivava e lo liberava di tutte le pene?
Lui era piú abile del piú abile dei Mortali a togliere la vita.
Cosa poteva andare storto se stava attento?
"Mettiti nel letto mentre scaldo l'acqua..."
Lei si era coperta con le braccia i seni ed il sesso.
"Non... non vuole picchiarmi?"
Le aveva sorriso, senza aprire la bocca, nel suo modo da belva in agguato, per non rivelare la dentatura da vampiro.
E lei aveva sussultato di paura per un'attimo.
"No. Voglio vederti come sei quando sei pulita. Scaldo dell'acqua. Mettiti a letto mentre aspettiamo".
Ci sarebbe voluto un po' di tempo.
Ma lui non aveva fretta.
Aveva l'Eternitá che gli bussava al petto e gli rendeva diaccio il cuore.
Ed aveva pagato la stanza per tutta la notte.
Quando l'acqua fu calda, mise il grosso catino per terra.
"Virginie, mettiti in piedi nel catino..." gli ordinó.
Poi la prese per una mano, nuda, e la condusse per la stanza.
Una Venere dei bassifondi in piedi in un vecchio catino di stagno.
Aggiunse acqua nella brocca fino a che non sentí che la temperatura era accettabile (quella la sentiva ancora, la temperatura...) e cominció lentamente a versare acqua sul capo della ragazza e sulle spalle.
"Stai ferma..." le disse, mentre l'acqua pulita le scorreva sul corpo e con la mano libera le toglieva il sudiciume, mondandola, dal viso e dalle spalle.
Passó la mano sui seni ed i capezzoli si rizzarono immediatamente.
Poi fu la volta delle braccia e delle mani.
Virginie avrebbe avuto delle belle mani, se non fossero state piene di calli e rovinate da lavori pesanti.
Le lavó la schiena, apprezzando con le palme la pelle dei fianchi e la rotonditá delle natiche.
A Victor venne da pensare, per un istante, quanto fosse stato bello desiderare una donna quando era vivo. E si rese conto, con rabbia, che cominciava a dimenticare.
A lungo andare Yekaterina e la sua vita di non morto stavano uccidendo una parte di se che si stava rapidamente atrofizzando. Era troppo connessa al suo essere stato mortale, alla sua umanitá. Un privilegio che non possedeva piu'.
Come quello di poter guardare il mondo di giorno.
Ebbe nostalgia e questo gli fece raddoppiare la rabbia.
La pelle di Virginie era liscia e, ora che era pulita, cominciava a profumare.
La rabbia risveglió la sete, che cominció a diventare incontenibile.
"Ora cosa vuoi che faccia, mio signore?" domandó la ragazza in maniera innocente.
E l'innocenza fu la sua condanna a morte, perché lo sguardo puro e pulito, quasi gioioso per le attenzioni che il carnefice aveva riservato a lei, la vittima, fu intollerabile per Victor.
Gli rimandó il riflesso dell'essere abietto che era diventato.
"Girati, e guarda il fuoco..."
La sagoma del corpo di Virginie si staglió, nera e morbida, contro il baluginio delle fiamme.
"Resta immobile e chiudi gli occhi..."
Lei non lo sentí avvicinarsi.
Solo le mani, lunghe, eleganti e incredibilmente nodose e forti di lui, apparvero quasi per magia sui suoi fianchi e la tennero.
La voce di Victor, roca e piena di desiderio (cosi lei credeva, almeno) gli sussurró all'orecchio.
"Cosí, Virginie, non ti muovere... sei bella"
Poi fu un dolore intollerabile al collo, cosí intenso da lasciarla paralizzata.
Provó a gridare, ma una delle mani salí ad una insospettabile velocitá e gli tappó la bocca. Fu come se qualcuno avesse costruito un muro in quel momento e poi gli avesse premuto la faccia contro.
L'agonia di Virginie duró pochi secondi, mentre il catino si riempiva di sangue purpureo.
Victor la tenne in piedi, mentre le risucchiava fino all'ultima stilla di sangue e la trasformava da ragazza a cadavere.
Era cosí preso dal sapore della vita, che non si rese conto di aver praticamente staccato la testa alla piccola prostituta con il violento morso.
Quando allentó la presa alla vita, si ritrovó con la testa di Virginie in mano.
L'unica cosa che riuscí a pensare, con disappunto, era che non era riuscito a controllarsi per la foga di nutrirsi.
Mentre sentiva il calore diffondersi per il corpo, desideró di non avere piu' Yekaterina come padrona.
La sensazione di potenza che aveva ora era inarrivabile.
Provava persino un vago sentimento di gratitudine per la sua dominatrice per averlo creato vampiro.
Poi guardó la testa di Virginie, staccata dal corpo.
Per l'ultima volta in vita sua, provó vergogna e disgusto di se stesso.
Desideró di essere morto per sempre.
Il senso della crudeltá fine a se stessa di quella vita senza fine lo afferró e lo scosse.
E capí che era solo la Sete la sua vera padrona.
Una vita miserabile ed eterna.
Fu solo un'istante e promise a se stesso che non ci avrebbe pensato mai piu'.
Lui sarebbe rimasto per sembre giovane. Per sempre potente. E per sempre schiavo, anche se fosse riuscito, un giorno, a disfarsi di Yekaterina.
L'unica sua vendetta: uccidere mortali e berne il sangue.
E cosi sia.
Mise il corpo di Virginie nel letto e posó la testa sul collo esangue, immaginando il moto d'orrore che, il mattino dopo, avrebbe colpito chi avesse scostato le coltri.
Rise diveritito al pensiero.
Poi aprí la finestra e con l'abilitá di un mostruoso insetto scese lungo il muro approfittando delle piú piccole increspature dell'intonaco e delle imperfezioni delle pareti.
Mezzanotte era passata da un pezzo, nessuno era per la strada.
Nessuno lo avrebbe notato.
E fino a domani mattina, nessuno avrebbe dato l'allarme.
Era in un luogo di Parigi dove nessuno lo conosceva.
Il senso di protezione offerto dalla segretezza in cui era inabissato il suo mondo lo avvolse e ne fu contento.
Era l'unico rifugio davvero sicuro il segreto.
Sentí nella testa la voce di Yekaterina.
"Ti sei divertito Victor? Come era il tuo dolce giocattolo?"
Non poteva sfuggirgli.
Si incamminó veloce lungo i vigoli umidi e deserti.
Non erano illuminati, ma la notte per lui era come il giorno.
"Ho calmato la sete. Sto tornando."
"Bravo. Vieni da me. E' l'unico posto dove puoi tornare, Victor. Non pensare mai piú che ce ne possa essere un'altro. Mai piú"
Lui non rispose, si coprí con il cappuccio del mantello ed acceleró ancora di piú.
Tra sei ore sarebbe stata l'alba.
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