martedì 15 dicembre 2020

ANTEPRIMA: SPACEBORNE MARINES - FARAS 2° Parte - Capitolo 2

 Capitolo 2

VILLAGE E PROTEUS


Lena Kazinsky si sporse dal cratere dove si era schiantato il suo drone e guardò Sema.
«Sei viva!» mormorò la Morassiana cercando di controllare la sorpresa.
«Sei tu che mi mantieni in vita» rispose la Polacca.
Sema scosse la testa.
Questo non è logico. Lena è morta otto mesi fa su Faras. Io… io sono tornata sulla Terra in licenza!
«Sei tu che fai in modo che Village continui ad esistere. E fino a che Village continuerà ad operare io continuerò a vivere» continuò Lena Kazinsky.
È un sogno. Non c’è altra spiegazione logica.

 
Con uno sforzo sovrumano di pura volontà, aprì gli occhi di colpo  e si ritrovò nella penombra della stanza da letto di casa sua, sulla Terra.
Sono dove dovrei essere. Anche se non potrò rimanervi per sempre.
Cercò a tentoni la sveglia sul comodino. Avrebbe potuto azionare il comando vocalmente, ma non voleva svegliare Red, che dormiva profondamente al suo fianco.
Le sei del mattino. Tra mezz’ora devo alzarmi, fare colazione e poi andare in ufficio. Casey mi aspetta.
Sorrise. Un senso di trionfo, tipicamente morassiano, l’avvolse: la logica aveva trionfato sull’inconscio. Il messaggio che le era arrivato dal profondo di se stessa era chiaro. C’era un lavoro enorme che l’attendeva: spostare gli asset principali di Village su Faras. Dax aveva ragione: non poteva gestire tutta l’intelligence di un intero pianeta da sola.
Rendere efficiente l’FSA, in un certo qual modo, era la continuazione dell’opera di Lena, era onorare la sua memoria per la sua tragica morte. Di cui nessuno, tranne lei, Casey ed un pugno di altre persone, avrebbe mai saputo le circostanze, racchiuse in un file elettronico criptato nell’immenso database dell’Agenzia.
Interruppe la fila di pensieri rigorosi che le avevano cominciato ad affollare la mente con la stessa morassiana determinazione di quando aveva interrotto il sogno.
Aveva bisogno di lasciarsi andare.
Era tornata da due giorni, ed aveva chiesto al Direttore di potersi dedicare alla famiglia prima di tornare al lavoro. Casey si era dimostrato comprensivo e glielo aveva accordato senza problemi.
Sema ne aveva approfittato per godersi la sua famiglia: Red e Kynn. Suo marito e suo figlio. Si era immedesimata nel ruolo di moglie e di madre fino in fondo.
Kynn era la sua vita. L’aveva lasciato che aveva appena passato la fase dello svezzamento e l’aveva ritrovato che parlava, confondendo allegramente la lingua morassiana e l’Inglese Standard, e cominciava  camminare.
Allo spazioporto, quando Red era venuto a prenderla, aveva costretto il marito ad accompagnarla al negozio di giocattoli più vicino ed aveva comprato il giocattolo più costoso che aveva potuto trovare: una replica radiocomandata in scala di un Eso dei Marines. Red si era messo a ridere e lei si era resa conto di aver fatto una cosa totalmente illogica, perchè Kynn non era ancora in grado di azionare il grosso pupazzo dall’aria minacciosa. Red l’aveva baciata e le aveva detto una sola frase: è perfetto. Kynn lo adorerà, perchè glielo hai portato tu.
Red era l’altra parte della sua gioia. L’aveva trovato leggermente ingrassato: stare in casa e badare al figlio, invece di dedicarsi al lavoro di investigatore forense, lo aveva un po’ impigrito. Ma nonostante un leggero accenno di pancetta, ritrovarsi fisicamente vicino a lui l’aveva accesa. Gli aveva impedito di cucinare e di accudire alla casa e l’aveva spedito fuori a correre, come faceva prima che lei partisse per Faras. Ma poi l’aveva ricompensato nella maniera più logica possibile: con tanto sesso.
L’avevano fatto il giorno stesso dell’arrivo sulla Terra mentre Kynn faceva il sonnellino del pomeriggio. Poi la notte. Anche più di una volta. E quando, dopo essersi baciati e toccati quasi febbrilmente lui l’aveva penetrata, aveva spinto il suo sesso in fondo a quello di lei. E si era fermato.
Era buio, non poteva vederlo in viso, ma sapeva che lui la stava guardando. Aveva provato a chiedere se ci fosse qualcosa che non andasse ma Red le aveva messo un dito sulle labbra.
«Shhh… devi andare da qualche parte, Sema Harna?» aveva chiesto.
«No… ma perché…»
«Ram-mas. Sei il mio profumo. Voglio sentirti fino nel profondo dell’anima. Non mi importa del piacere. Voglio solo sentire che tu sei qui, di nuovo…»
Sema aveva allacciato le lunghe gambe dietro la schiena di lui e l’aveva abbracciato stretto. Gli occhi le si erano riempiti di lacrime, perchè con quella frase Red aveva espresso, a nome di entrambi, quanto erano mancati l’uno all’altra, quanto era stato doloroso lo stare lontani interi anni luce.
Prima di alzarsi, sentì la necessità di abbracciare di Red. Si voltò sul fianco ed aderì al corpo del marito con il suo. Ebbe la tentazione di infilare la mano nei calzoni del pigiama.
Poi desistette: in una frazione di secondo aveva analizzato l’impulso ed aveva concluso che non era stato dettato dalla libido, che non aveva ancora accumulato in quantità sufficiente visto che anche quella notte avevano fatto sesso ripetutamente, ma solo dall’istinto di combattere quella sensazione di vuoto per il distacco così prolungato. Si limitò a mettere la mano sulla pancia di lui, che stava riconquistando muscoli e consistenza, ed a godere del tepore che i loro due corpi emanavano sotto le lenzuola.
Sentì Red muoversi e prenderle la mano che gli toccava il ventre, intrecciando le dita con le sue e grugnendo soddisfatto.
Sema chiuse gli occhi e sorrise. Essere illogici a volte non era per niente disprezzabile.
Avremo ancora tempo per farlo. Ora voglio solo non pensare a niente.
Restò così fino a che, venticinque minuti più tardi, la sveglia suonò, segnando l’inizio di una giornata piena di impegni.

Webster Casey guardò la lista sul suo tablet di servizio ancora una volta, poi lo poggiò sul tavolo.
Sema era sicura che fosse un gesto studiato, per farla sentire considerata, mentre in realtà il Direttore dell’FSA conoscesse a menadito i dossier collegati a quei nomi.
«Lascerai qui quattro persone in tutto?» domandò Casey con viso inespressivo.
«Esattamente. Serviranno solo come collegamento tra il quartier generale sulla Terra. L’azione vera si svolgerà su Faras, ovviamente» rispose Sema senza usare un tono particolare.
Il Terrestre annuì.
«Sarà una cosa in grande stile…»
«Dobbiamo ripristinare il controllo su un intero pianeta, oltre che coordinare il flusso delle informazioni tra tutte le agenzie federali presenti sul teatro delle operazioni: SI2, FSA, reparti da ricognizione, la MSOC-SWS dei Marines..»
«Quella è tutta l’attività di Village. Poi c’è Proteus… con Eric Pearl come vice e che include la squadra dell’SdA. »
«Conosco Eric e mi fido.»
«Proteus è un’operazione molto pericolosa. Una delle più pericolose a cui io abbia mai dato autorizzazione. Per quel gruppo hai scelto completi estranei, a parte…»
«A parte Ura Idryx. Che non è ancora rientrata nell’MCI a pieno titolo. È un’illogico spreco di una risorsa umana eccellente. Ho già parlato con Grete Rinore, il suo supervisore. Posso averla.»
Ura è perfetta per Proteus.
«Uhm… come mai nessun Elassiano?» chiese Casey incuriosito.
Sema sorrise per la prima volta.
La domanda di Casey sottintende molte altre domande… quanto è pericoloso questo Terrestre?
«Non mi servono. E i cambiamenti di sesso a causa del loro ermafroditismo alternato ciclico li comprometterebbe. Per esempio per le operazioni sotto copertura.»
«Anche i Dariani, a quanto mi risulta, hanno problemi…»
Sema annuì.
«Vedo che ha letto i miei rapporti sull’operazione che ha consentito alla principessa Awa di contattare la dissidenza di Rya’t, prima della battaglia finale…»
Casey fece un mezzo sorrisetto.
Ovviamente, Sema. E voglio essere certo che tu abbia trovato tutte le soluzioni. Faras è più importante di quanto tu creda per la Federazione.
La Morassiana proseguì.
«Mi serve l’empatia dariana per manipolare i miei bersagli. E l’intuizione dei Terrestri per affiancare la mia logica morassiana. Inoltre ho scelto tutte specie con un fenotipo simile ai Farasiani: capelli neri e, nel caso dei Dariani, con occhi senza sclera. Entrambi sono molto facili da trasformare cosmeticamente in individui simili ai locali. Tutti hanno una infarinatura di farasiano. Non si conoscono tra loro, per cui potrò costruire dei metodi di lavoro nuovi, non viziati da abitudini.»
«Tranne Ura Idryx…» insisté Casey.
«Ura è affidabile al cento per cento. Ed è motivatissima.»
«Lo sa che la Idryx è sotto osservazione da parte del Gran Consiglio di Dari?»
«Lo so perfettamente. Ma non devo agire su Dari, devo usarla su Faras. Ura è perfettamente idonea al servizio. Le fisime sulla sua empatia non mi riguardano né riguardano l’FSA.»
«Sarà sotto sua responsabilità.»
«So anche questo. Proverà a se stessa ed al Gran  Consiglio di essere in grado di fare bene. E l’FSA ne trarrà profitto.»
«Perchè non è una Dariana come le altre?»
Sema fu colta di sorpresa, ma non lasciò trapelare nulla.
Sa anche questo. Ha avuto accesso al file personale di Ura. Continuo a sottovalutare l’acume di questo Terrestre. Non devo più fare questo sbaglio.
«Esattamente. Posso usarla come nessun’altra Dariana. E in caso farle fare cose che nessuna Dariana sarebbe in grado di fare mantenendo la caratteristica più preziosa: la percezione empatica. Ne è dotata più di qualsiasi altra della sua specie.»
Casey spense il tablet con un gesto deciso, conclusivo.
«In realtà ho approvato sia Village 2 che Proteus prima di questo colloquio. Mi ero già fatto delle idee mie. Lucius Cornell ha dato disponibilità a cedere Eric Pearl ed una squadra al completo del Servizio d’Azione del TI-1.»
«Immagino che tutte le domande fossero solo un test per me. Voleva vedere come avrei risposto.»
Il Direttore dell’FSA fece ancora un mezzo sorriso.
«Sei arrivata nell’Agenzia come una semplice analista. Ma dopo il tragico incidente sei riuscita a rimpiazzare Lena Kazinsky, un agente operativo esperto, con risultati eccellenti. Per fare questo lavoro, ed essere a capo di una organizzazione dell’FSA su un pianeta lontano e per di più in guerra, non bisogna avere solo abilità, ma anche persistenza. È una maratona, non uno sprint sui cento metri. E tu non sei solo abile, ma hai anche straordinaria resilienza. Su Faras sarai il capo di tutto. E con la presenza di Eric e del Servizio d’Azione potrai condurre operazioni in proprio, senza dover passare attraverso il comandante del Corpo di Spedizione. Sei un’ottima candidata per posizioni in alto: un capo analista, un dirigente del mio ufficio, o come vice-capo Sezione… »
Sema ebbe un tuffo al cuore, ma l’espressione sul viso rimase inalterata.
Mi ha valutato per una posizione. Vice-Capo Sezione? Significherebbe un ufficio sulla Terra in pianta stabile. Significherebbe stare per sempre vicino a Red ed a Kynn. Se esco viva dalla guerra su Faras, ovviamente.
«E se dovessi avere necessità di utilizzare unità militari? Una squadra dell’SdA per alcune cose potrebbe essere un po’ poco.»
Casey stavolta rise apertamente e annuì divertito.
«La magnifica imperturbabilità morassiana! Potresti prendere il mio posto un giorno, Sema. Ne hai tutte le qualità. Sì, è luce verde. Puoi usufruire di Eric e di un team del Servizio d’Azione come meglio credi. Ma per utilizzare unità militari senza informare Dax su cosa ne farai, la richiesta dovrà passare per questo ufficio. Village è nelle tue mani e rispondi direttamente a me.»
«Una grossa responsabilità. Grazie signore. Se non le dispiace vorrei iniziare ad organizzare il trasloco.»
«Ovviamente. La riunione è finita. Grazie a te per il tuo servizio nell’Agenzia.»
Sema finalmente consentì al suo viso di incresparsi in una espressione di gioia.
«Mio dovere. È il minimo che posso fare per la Federazione.»
Si alzò ed uscì dalla stanza, lasciando un Casey visibilmente soddisfatto da solo.
Ha usato esattamente le parole che mi aspettavo. L’FSA, dopo lo scandalo di Earth First, ha ripreso la sua missione: servire in silenzio la Federazione. Sema lo ha capito molto bene. Sarà un ottimo vice-capo sezione del SI-6.

La sala riunioni si trovava a Langley, nel Nucleo distaccato sotterraneo dedicato a Village.
Attorno al tavolo in vero legno (suppellettili in quel materiale erano una rarità, ormai, sulla Terra…) c’erano dodici figure.
Ad una estremità sedeva Sema. Accanto a lei, alla sua destra, un’Ura Idryx sorridente. Alla sinistra due donne, una giovane Terrestre dall’espressione tesa ed una Farasiana. All’altro capo del tavolo, Eric Pearl ed ai lati, equamente distribuiti a riempire sei posti, umanoidi di varie specie: tre Terrestri e tre Dariane.
Erano i componenti della squadra del Servizio d’Azione ed emanavano dai loro corpi in forma smagliante uno strano miscuglio di rilassatezza e brutalità.
Sema iniziò con una sola frase.
«Noi siamo Proteus, un gruppo ed una operazione completamente separati da Village.»
«Perché Proteus?» domandò Pearl.
Sema si rivolse alla Farasiana.
«Yana?»
«Vivo stabilmente sulla Terra da sei anni, da quando sono scappata da Faras. Non ho idea di cosa sia…»
«Non hai appreso niente durante la tua permanenza su questo pianeta?»
Yana sorrise e scosse la testa.
«Quella Terrestre è una cultura molto variegata. Non avete subito una unificazione drammatica come la nostra. Faras è un piccolo pianeta scarsamente abitato. Abbiamo fatto molto presto ad eliminare culture diverse. So molto della cultura anglosassone, ma proteus non ho idea di cosa significhi e da dove provenga. Non è nemmeno inglese standard, giusto?»
«Grazie, hai dimostrato il mio punto.»
Sema guardò Pearl.
«Hai avuto la tua risposta?»
Pearl annuì.
«Se Yana, che vive sulla Terra, lavora per l’Agenzia e non sa cosa significhi Proteus, difficilmente chi è su Faras e non si è mai mosso da quel pianeta potrà fare una qualsiasi deduzione.»
«Esatto. Se anche il nome di questa operazione trapelasse, un agente di intelligence farasiano diventerebbe matto per capire di cosa si tratta.»
«Nemmeno io so cosa sia Proteus…» intervenne Ura Idryx.
«Non lo sapevo nemmeno io fino a ieri. Ho avuto la consulenza di un vecchio amico dei Marines per trovare il nome giusto» rispose Sema.
Prese brevemente fiato e cominciò a spiegare.
«Proteus è un dio della mitologia greca, la Grecia era un antico paese della Terra che ha plasmato molte culture. Come dio poteva fare alcune cose, tra cui predire il futuro e mutare forma. Noi faremo in modo di  sviluppare queste capacità.»
Si interruppe per un attimo e dagli sguardi di tutti i presenti, tra il sorpreso e l’attonito, capì che aveva ottenuto la massima attenzione.
Solo Eric Pearl aveva una espressione corrucciata.
Eric ha capito già. Per quello è molto preoccupato.
«Circa sei mesi fa, ricevemmo un messaggio in codice da un nostro agente su Faras. Era una persona molto vicina alla Reggente. Ci informava che la rete di spie che l’FSA aveva infiltrato da anni era stata scoperta. Il Corpo di Spedizione aveva appena ricacciato in mare il tentativo di l’invasione di uno dei territori ribelli da parte dei Lealisti e si apprestava ad attaccare il continente principale, dove risiede la capitale Minia’t, quando l’Agenzia rimase priva di occhi ed orecchie in territorio nemico. Il generale Dax si è preso un grosso rischio, contando solo sulla schiacciante superiorità della nostra tecnologia militare, attuando l’invasione e la liberazione degli ennei Ruhoyani…» proseguì Sema.
«Ennei ?» chiese Paula Hefner, una delle Terrestri del Servizio d’Azione.
«È un termine farasiano. Sta per territorio ma anche regno. Abituatevi. Perché tra tre mesi dovrete parlare e pensare solo in farasiano» rispose Sema.
L’espressione di Eric Pearl divenne anche più tesa.
Mio Dio… Sema ha in mente molto di più che pensare e parlare in farasiano! È una delle cose più folli e pericolose che si sia mai vista nell’Agenzia. E Casey ha approvato il piano!
«Tutti qui sappiamo parlare un po’ di farasiano. Credo che tu, Sema, ci abbia scelti per questo. Ma non credo che basterà un corso veloce. È una lingua che vive di sfumature. Puoi sapere la grammatica, ma se sbagli il contesto la copertura la bruci in un attimo» disse Dina Remax, una dei membri dariani dell’SdA.
Yana Wewrani annuì in segno di approvazione.
Sema sorrise enigmatica.
«Hai ragione… Remax, giusto? Da sei anni agente dell’SdA. Esperienza operativa su Faras prima della guerra Urdas. Assassina specializzata in infiltrazione e travestimenti, o come si dice in linguaggio dell’FSA, specialista in neutralizzazione di bersagli d’opportunità.»
La Remax non mostrò irritazione, ma al contrario ebbe un sorriso cattivo.
«Non sarà un problema. Avremo addestramento adatto. Parlerete e penserete in farasiano come se foste nati lì. Abbiamo a disposizione tecnologia ed aiuti che nemmeno immaginate. Il punto è un altro. E qui voglio essere chiara. Avete firmato un impegno alla segretezza quando siete stati convocati qui. Ebbene, è un accordo preliminare. Non siete ancora dentro Proteus. Non completamente. Questo gruppo sarà segreto a tutti, tranne al comando del Corpo di Spedizione ed a Casey. Non avrete contatti con altri membri dell’FSA né sulla Terra né su Faras. Non avrete contatti con l’SI2, con la MSOC o con l’intelligence della Fanteria. Compartimentazione completa a meno che non ve lo ordini io o Eric. Daremo…» proseguì Sema marcando l’ultima parola, in modo da rendere chiaro che la cosa riguardava anche lei in prima persona.
«… il massimo di noi stessi per dare la migliore informazione possibile al Corpo di Spedizione. Sacrificheremo rapporti familiari, tempo, energie. Sarete in pericolo quasi costantemente. E le vostre coperture dovranno essere più che perfette. Dovranno essere una seconda natura. Sarete soggetti ad attenzioni poco gradevoli da parte dei soldati della Federazione e dai Farasiani. Perché, e qui mi ripeto, praticamente nessuno saprà la vera natura della vostra presenza su Faras. E questo si potrebbe protrarre molto a lungo: un anno o più. Siete stati selezionati non solo per la vostra conoscenza, più o meno completa, della lingua farasiana ma sopratutto perché durante il vostro servizio e la vostra vita avete dimostrato una non comune resilienza. Una volta accettato non si torna indietro. Anche se non è una missione suicida, c’è la possibilità che nessuno di noi possa tornare indietro vivo.»
Per la prima volta da quando Sema aveva cominciato la riunione, Pearl annuì, e l’espressione preoccupata si allentò leggermente.
«Ero su Erya quando fu invasa dagli Urdas e sono riuscita a fuggire prima su Namin e poi su Moras. Sono sopravvissuta da sola su quel pianeta per sei mesi prima di incontrare qualcuno della Federazione, eludendo sia di notte che giorno le pattuglie delle teste di silicio. Faras non può essere peggio» disse Virna Powell, una delle Terrestri dell’SdA.
Tutti quelli che non facevano parte del gruppo dell’SdA la guardarono con ammirazione.
«Non è che porti sfiga, Virna? Sei riuscita a rifugiarti ogni volta su un pianeta che poi veniva invaso dal nemico…» intervenne Lizbeth Ho, un’altra delle Terrestri, suscitando le risate dei membri dell’SdA mentre gli altri restarono allibiti dallo scambio.
«Ehi, Virna merita rispetto per quello che ha passato. Tutti noi meritiamo rispetto, credo. Altrimenti non faremmo questo lavoro» sibilò Rena Pynax, una delle Dariane del Servizio d’Azione.
«Oh, non mi metterò a piangere per quello che mi hai detto Lizzie. A proposito, tuo marito si scopa sempre la tua istruttrice di pilates? Come si chiama? Samantha… Susanna… insomma quella con quell’enorme paio di tette…» rispose in tono noncurante la Powell.
«Ex marito. Se è per questo non mi metterò a piangere nemmeno io. Tempo uno o due anni gli dilapiderà il conto in banca. Richard ama i soldi più delle donne. Ed io non dovrò fare altro che godermi lo spettacolo» rispose l’altra.
«Finitela voi due. Queste sono scaramucce da donnette, non da esperti agenti dell’Sda…» sibilò Pearl.
«Scusa tanto, capo!» rispose in tono ironico la Ho alzando le mani.
«Falla finita, Liz. Non lo ripeterò ancora.»
Scese il silenzio, fino a che non venne interrotto da una voce con un leggero accento farasiano.
«Ora capisci, Sema, perchè Faras e la Federazione sono in questo guaio. Ecco cosa succede quando hai a che fare con un gino… geno…»
«Gineceo» completò Sema.
«Mi mancava la parola in inglese standard. Faras è come è perchè manca l’equilibrio tra la parte maschile e quella femminile. Io ho tutta la volontà di porre rimedio. Voglio essere dentro.»
Sema si rivolse alla Powell ed alla Ho.
«Se avete problemi personali è ora di saperlo adesso. Fate in tempo a chiamarvi fuori. Vi posso sostituire entrambe. Ma è un peccato, perchè avete dell’ottimo potenziale per questa missione.»
Le due Terrestri si guardarono, mentre le Dariane si diedero di gomito ridacchiando. L’empatia le rendeva più unite e solidali rispetto alle altre. Potevano percepirsi oltre la maschera che ogni umano invece poneva di fronte a sé come difesa.
«Non ho niente contro Virna Powell. Acqua passata» disse Lizbeth Ho sillabando le parole.
La Powell batté rapidamente le palpebre e strinse le labbra, come se si fosse pentita di qualcosa.
«Mi dispiace, Liz. Davvero. Non sapevo… tuo marito è uno stronzo.»
Lizbeth Ho rise amaramente.
«Lo so. Hai ragione.»
La Coreana si rivolse verso Sema.
«Sono una professionista. Il fatto che la mia vita matrimoniale sia andata in frantumi, se ha letto il mio file personale, non ha influenzato la missione sotto copertura che avevo su Faras, poco prima che Iknas Motani dichiarasse l’indipendenza. E nemmeno dopo. Ho svolto altri incarichi. Tutti portati a termine con successo. Chiedo di essere dentro.»
«Anche io. Ho un conto in sospeso con il Matriarcato» aggiunse Virna Powell.
Uno per volta, tutti dichiararono di voler far parte di Proteus.
Sema distribuì dei tablet di servizio nuovi di zecca.
«Ultima tecnologia digitale criptata da Elassa. Sono tablet completamente vergini e con un software avanzato dell’FSA. Il tablet ha come unica opzione di linguaggio il farasiano. Le comunicazioni e la documentazione avverrà unicamente su quei dispositivi.»
Poi prese un ulteriore Tablet e lo porse ad Ura Idryx, alla sua destra.
«Questa è l’ultima volta che vedrete un documento in inglese standard su un tablet in questo gruppo. È il vostro contratto di lavoro per Proteus e l’impegno di segretezza. Una volta firmato avrete la più alta classificazione di sicurezza che ci sia nell’agenzia. La stessa che ha Casey. Se violate l’impegno di segretezza, sappiate che verrà applicata la legge marziale.»
Virna Powell rimase impassibile a quelle parole, ma dentro di lei il senso fu ben chiaro.
Se violiamo il segreto non ci saranno quarant’anni in un carcere di massima sicurezza dell’FSA. Chi tradisce verrà giustiziato da un killer dell’Agenzia, il corpo distrutto negli inceneritori e l’identità cancellata. La Morassiana fa sul serio.
Il gruppo vicino a Sema Harna lesse il documento che li vincolava al segreto e poi premette il pollice sul palmtop, usando come al solito l’impronta digitale come firma.
Il gruppo dell’SdA invece, confermò direttamente l’adesione senza leggere nulla.
La Morassiana lo notò.
Sanno già il contenuto. Non è la prima volta che vedono quel documento. Almeno da questo punto di vista non avrò problemi.
Il tablet finì il giro e Sema scorse la lista dei nomi oltre al suo:

PROTEUS

Eric Pearl - Terrestre  - Status approvato
Ura Idryx - Dariana - Status approvato
Daria Simax - Dariana  - Status approvato
Myta Serna  - Morassiana - Status approvato
Yana Wewrani - Farasiana - Status approvato

Componente Servizio d’Azione

Virna Powell - Terrestre - Status approvato
Lizbeth Ho - Terrestre - Status approvato
Paula Hefner - Terrestre - Status approvato
Glora Ardax - Dariana - Status approvato
Dina Remax - Dariana - Status approvato
Rena Pynax - Dariana - Status approvato


Poi si rivolse a tutti i presenti.
«Preparate i vostri effetti personali. Niente uniformi, Niente armi. Abiti civili di tipo invernale, ma niente di sgargiante. Andiamo sull’emisfero di Faras che è nella stagione invernale. Avete tempo quarantotto ore per ritrovarvi nello spazioporto civile di New York. Io ed Eric saremo li ad attendervi, terminal A15, ore dodici e zero zero. Se avete persone da salutare non potrete ovviamente rivelare nulla. Se sorgono problemi con un partner nervoso o che potrebbe nutrire del risentimento, perchè sparirete per almeno un anno, avvertitemi. Sapete meglio di me che questo può rappresentare un problema anche se vi ritroverete su un pianeta del Bordo Esterno della Federazione. Questo è tutto.»
Glora Ardax, del Servizio d’Azione, alzò la mano.
«Comandante, come raggiungeremo Faras? Se ha pensato ad un trasporto militare, sapranno che arriviamo ancora prima di mettere piede sulla superficie.»
Sema si girò e nel rispondere usò il tono più glaciale possibile, per ristabilire la necessaria distanza.
«Ardax, non mi chiamare mai più comandante. Ho previsto tutto. Tu fai in modo di essere alle dodici e zero zero di dopodomani nel posto giusto.»
La Dariana piegò la testa leggermente da un lato.
Non la leggo. L’empatia non riesce a penetrare quella figlia di puttana. La Disciplina ha annullato le emozioni. Sema Harna ha un controllo formidabile su se stessa.
«E come la devo chiamare?»
«Dammi del tu. E chiamami Sema. Fino a nuovo ordine.»
«Ora mi dirai che la porta del tuo ufficio è sempre aperta?»
«Evita le stronzate, Ardax» intervenne Eric Pearl.
«Sopratutto, evitate di non presentarvi all’imbarco. Ora siete dentro Proteus e ne uscirete solo in due modi: a guerra finita o perchè siete morti» disse in tono piatto Sema.
«Riunione è tolta» aggiunse.
La sala si svuotò in un attimo. Quando Sema Harna uscì per ultima le luci si spensero automaticamente e tutto ricadde nel buio.

Il manifesto di carico della FS Banshee[1], recitava: trasferimento di personale su Faras per conto della Interstellar Mining Co. La compagnia in realtà era stata fondata da Sema attraverso Eric Pearl, che aveva usato un nome di copertura fornito dall’FSA, una settimana prima della partenza, ancora prima della riunione dove era stata svelata l’esistenza di Proteus.
Costruita da una joint venture della Rockwell Aerospace e dell’Agenzia Spaziale Europea (una delle poche cose sopravvissute al dissolvimento dell’Unione Europea, avvenuto secoli prima) quell’astronave era un modello civile per crociere interstellari di lusso, dotata di trenta cabine attrezzate con ogni genere di comfort, incluso un grande bagno privato.
A parte i quartieri del minuscolo equipaggio (un ufficiale comandante, un paio di secondi ufficiali, uno specialista di bordo ed un cuoco)  le cabine occupate erano solo dodici. Tante quante i componenti di Proteus.
La sistemazione aveva favorevolmente impressionato tutti, ma chi aveva apprezzato di più erano stati i membri dell’SdA.
Nella sua vasca idromassaggio, Ura Idryx soffiò via la schiuma dal dorso della mano. Impartì vocalmente l’ordine di spegnere le pompe dell’acqua e la deliziosa stimolazione. Si alzò in piedi e con il soffiante lavò via dal corpo flessuoso e muscoloso i residui di sapone. Controllò, come faceva sempre, il polpaccio e la caviglia della gamba sinistra. I segni dell’incidente con gli androidi su Elassa[2] non si vedevano quasi più e l’arto era ritornato perfettamente normale anche dal punto di vista estetico, oltre che da quello funzionale. E comunque non era un problema. Jordan la amava e la desiderava. Ogni volta che gli era vicina lo poteva avvertire chiaramente. E se avesse proteso la sua nuova e smisurata capacità empatica, avrebbe potuto sentirlo anche da lì, a centinaia di anni luce dalla Terra. Ebbe la tentazione di contattarlo tramite Unione Empatica. Ma sarebbe stato infrangere i protocolli di sicurezza dell’Agenzia. Era vero che difficilmente qualcuno se ne sarebbe potuto accorgere, ma oltre a lei c’erano altre tre Dariane. E comunque lei aveva stretto un patto di fiducia non solo con l’Agenzia, di cui in fondo gli importava relativamente, ma con Sema in persona. E lei Sema non l’avrebbe tradita mai.
Si alzò, si avvolse nell’accappatoio di spugna sintetica e uscì dal bagno, ritrovandosi nell’ambiente che fungeva da salotto e da camera da letto. Guardò lo schermo sulla parete. Quando il videomedia era spento, nell’angolo in alto scorreva un contatore: ore e minuti da quando avevano lasciato l’orbita terrestre.
Sono passate quasi quarantotto ore. Dovremmo essere in prossimità di Faras.
Quel nome le mise i brividi.
Le storie che si raccontavano sulla Terra sulla scomparsa delle Colonie, erano spaventose.
Ed ora c’era una guerra civile, in cui la Federazione si era assunta il ruolo di deus ex machina.
Non era mai stata in una guerra. Ma in azione si, con la sua vecchia squadra dell’MCCIB.
Durante la riunione a Langley aveva avvertito gli stati d’animo di tutti i presenti. Ed aveva letto perfettamente la paura, anche se completamente sotto controllo, di Sema Harna e di Eric Pearl quando era stata annunciata l’esistenza di Proteus.
Non condivideva il cinismo dei membri dell’SdA. Non c’era niente da prendere alla leggera in tutta l’intera faccenda.
Le parole di Sema erano state chiare: Anche se non è una missione suicida, c’è la possibilità che nessuno di noi possa tornare indietro vivo.
Lei voleva assolutamente tornare viva. Aveva Jordan che l’aspettava. Era rimasta incinta due settimane prima che Sema la chiamasse presso l’MCI, il nuovo nome del disciolto MCCIB.
Quando il suo ex capo squadra investigativa le aveva detto che c’era una possibilità di riscatto, ma che avrebbe dovuto lasciare la Terra per molto tempo, aveva accettato subito. E grazie al controllo totale che aveva sul suo corpo aveva fatto riassorbire il feto.
Il dolore emotivo per averlo fatto era stato grande. Ma c’erano altre cose che aveva ponderato.
Le pressioni e il controllo del Gran Consiglio di Dari nei suoi confronti si erano fatti intollerabili.
Il Console di Dari sulla Terra l’aveva chiamata un paio di volte per dei colloqui. E non erano stati piacevoli. Aveva percepito la diffidenza, quando non il disgusto, nei confronti della sua persona. La consideravano una specie di mostro e non sapevano se fidarsi. Il fidanzamento ufficiale con un Terrestre, poi, aveva complicato le cose, anche se Jordan l’aveva fatto rispettando tutti i rituali dariani.
Ura si strofinò vigorosamente e un senso di benessere la pervase, dovuto al lungo bagno ed alla cromoterapia che aveva congiuntamente ordinato.
Dopo il secondo colloquio con il suo Console aveva fatto un test: aveva prenotato un soggiorno su Dari di una settimana.
Il biglietto era stato annullato e i soldi erano stati restituiti sul suo conto privato.
Non aveva nemmeno chiesto una spiegazione alla China Spaceways (Be a star among the stars with China Spaceways! Recitava lo slogan…).
Sapeva già cosa era successo: il Gran Consiglio di Dari l’aveva fatta mettere in blacklist in tutte le compagnie di viaggi interstellari per le tratte che portavano a Dari.
Il suo pianeta natale le era stato interdetto.
L’unica occasione che aveva per rientrare a far parte del suo popolo era compiere qualcosa di glorioso, che avrebbe reso Dari orgoglioso di lei. E Sema gliela aveva offerta su un vassoio d’argento. Il suo potere empatico, potentissimo ormai, non sarebbe stato più visto come una pericolosa anomalia. Aveva il controllo anche della Virtù Innominabile. Non le sarebbe mai più capitato di scatenarla senza motivo, come invece era accaduto sotto l’effetto dell’ardina[3].
Prima di partire aveva fatto un’unica infrazione alla segretezza. Ma grazie alla sua empatia sapeva di potersi fidare dell’unica persona che le era rimasta al mondo: Jordan.
Gli aveva detto di Proteus, gli aveva detto che sarebbe partita, che non sapeva se sarebbe tornata. Ma che era indispensabile, per vincere i dubbi del Gran Consiglio.
Jordan non era stato affatto contento. Ma aveva capito. Sapeva che Ura, nel suo nuovo stato, non poteva più morire di knar-a’dar, la morte per mancanza di speranza. Ma la separazione dal suo popolo era un’agonia appena lenita dall’amore che era nato tra di loro.
Quando torno ci sposeremo. Ed avremo finalmente un figlio.
Se tornerai
aveva risposto lui cupo.
Tornerò. Non posso stare lontana da te. Lo sai.

Lui aveva fatto un sorriso tirato e le aveva risposto: Lo so perchè lo sento fin nelle ossa.
E l’aveva lasciata andare, in un immenso atto di fede nella capricciosa deità chiamata Destino.
Sapeva che lui non avrebbe mai proferito parola della sua missione.
L’interfono dell’astronave prese vita e si udì una voce maschile che parlava Inglese Standard con accento scandinavo.
«Parla il comandante Bergman. Tra due ore ci inseriremo nell’orbita alta del pianeta Faras. Preghiamo i signori passeggeri di tenere pronti per le ore venti zero zero i propri bagagli e di controllare che non siano rimasti effetti personali a bordo. Non essendoci un hub passeggeri con navette dedicate, attraccheremo all’interno di un astronave della Flotta Stellare Federale ed useremo navette militari per raggiungere la superficie. Pertanto sono proibiti tutti gli spostamenti non autorizzati e dovrete seguire le direttive del personale militare addetto. Nel frattempo la Banshee ed il suo equipaggio vi offrono una cena preparata dal nostro chef tra cinque minuti nella sala da pranzo. Buona continuazione!»
Ura finì di asciugarsi ed indossò in pratico abbigliamento casual: jeans griffati ed una maglietta in microfibra con il logo della marca più in voga del momento. Completò con scarpe da ginnastica ed un giubbino leggero. Prima del trasbordo su una nave militare, probabilmente un trasporto d’assalto, avrebbe completato l’abbigliamento sostituendo le sneakers con degli stivaletti foderati in pelliccia sintetica e tomaia in Hypertex ed una giacca termica in Hypertex con cappuccio, in grado di affrontare il freddo dell’inverno farasiano.
Tutto il vestiario era stato fornito dall’FSA in base al personaggio che avevano dovuto interpretare nel momento in cui avevano messo piede nello spazioporto di New York sulla Terra. A lei era toccato il personaggio di segretaria d’azienda di un dirigente della compagnia mineraria che fungeva da copertura. In pratica era la segretaria di Sema Harna.
Ordinò alla porta della cabina di aprirsi e dopo un paio di corridoi si ritrovò nella piccola ed accogliente sala da pranzo. C’era solo il cuoco, che stava finendo di cucinare la cena, e Sema.
La Morassiana sorrise e l’empatia confermò ad Ura che l’espressione corrispondeva allo stato d’animo.
Sema è realmente contenta di vedermi. Ma avverto tensione… sta per dirmi qualcosa.
«Ciao Ura. Sei arrivata per prima. Fame?»
Ura assunse un’aria svagata, che supponeva corrispondesse a quella di una civile il cui unico compito fosse di programmare la giornata del suo capo e di vestire in modo da non farlo sfigurare agli appuntamenti d’affari.
«Veramente sei arrivata tu per prima. Ho fatto un bel bagno con l’idromassaggio. E mi mangerei il tavolino. Stiamo per arrivare, quindi…»
Sema annuì.
«Un aperitivo?»
«Sì, volentieri…»
La Morassiana prese due bicchieri a calice da un gruppo già pronto. Il liquido color rosso vivace era pieno di bollicine dalla trama fitta.
Ura non potè fare a meno di notare che Sema aveva scelto il divanetto più distante dal bancone dove il cuoco stava lavorando.
Continuò a sorridere come se stessero parlando dell’ultimo défilé visto a New York.
«Rimarremo in questo ruolo per sempre? Comincio a sentirmi stupida… uhm… buono!» disse Ura sorseggiando l’aperitivo. Le bollicine le solleticarono piacevolmente la lingua.
Sema fece altrettanto, un po’ più rigidamente.
«La compagnia che ci ha noleggiato questa nave ha una clientela di alto livello. Il cuoco è uno chef stellato.»
«Non mi sto lamentando del viaggio. Siamo oltre ogni standard io abbia mai sperimentato.»
«Era per rendere verosimile la copertura.»
«E cosa succederà ai consulenti della Interstellar Mining una volta che saremo sulla superficie di Faras?»
«Svaniranno. Ho fatto in modo di toccare terra su Faras nella notte. Il buio renderà più discreti i nostri movimenti. Nel momento in cui raggiungeremo la località che sarà la base operativa di Proteus cesseremo di essere dipendenti di una compagnia mineraria. Dopo settantadue ore dal nostro arrivo sul pianeta, la registrazione presso la Camera di Commercio Federale sarà cancellata. Non saremo mai esistiti. La prossima volta che risaliremo su una astronave, sarà con una copertura militare, per tornare a casa.»
«Quando?»
«Non ne ho idea. Immagino che in questo conflitto la la parte militare sarà quella meno complicata. Noi dovremo ricostruire una rete di agenti su Faras in grado di esistere anche dopo che Minia’t sarà stata riconquistata.»
«Ho capito. Una volta a destinazione che identità assumeremo?»
Sema assunse un’aria enigmatica.
«Lo vedrai.»
«Non eri così misteriosa quando eravamo nell’MCCIB…»
«Lo so. Ma non siamo più nel Bureau. Non giochiamo più pulito ed alla luce del sole. Lavorare nell’Agenzia significa un sacco di cose, alcune le detesto anche io. Ma la missione ha la prevalenza su tutto.»
«Anche sulle nostre vite?»
«Anche su quelle.»
«Non ho ancora capito come faremo. Ma ti conosco. Hai un piano. E sarà spietatamente logico.»
Sema annuì, finendo di bere l’aperitivo. In quel momento entrarono le tre Dariane del Servizio d’Azione.
Una di loro, Dina Remax, trafisse con lo sguardo Ura Idryx.
«Ehi, non mi piace quello che sento. Controlla il tuo scandaglio empatico, Ura» borbottò.
Ura ebbe per un attimo la tentazione di espandere la sua empatia fino a scavare l’ultimo neurone nella mente della sua connazionale. Poi fece un vuoto perfetto nelle emozioni e sorrise.
«Ciao Dina. Perché non prendi un aperitivo e ti siedi con noi? Il viaggio è stato piacevole, non è vero?»
L’altra Dariana sembrò annaspare per un attimo, come se qualcuno avesse girato l’interruttore e spento la luce, rendendola cieca.
Prese un bicchiere e raggiunse Sema e Ura.
Lo sguardo ora era meno spavaldo.
«Come hai fatto?»
«Fatto cosa?» rispose Ura Idryx.
«Non riesco più a leggerti.»
«Meglio così, Dina. Riserva la tua empatia per i nemici. Stai combattendo una battaglia sbagliata. Perchè non ti godi il drink, invece?» intervenne Sema.
Dina guardò con diffidenza Ura e ingollò un sorso.
«Chi cazzo sei, tu?» sibilò a bassa voce rivolgendosi all’altra Dariana e ignorando Sema.
«È irrilevante. Problemi durante il viaggio?» disse Sema ignorando a sua volta l’atteggiamento sgarbato.
«Nessuno. Non mi aspettavo un livello così alto. Quando la compagnia mi fa viaggiare per lavoro in genere le astronavi sono dei catorci» rispose la Remax voltandosi finalmente verso Sema.
La Morassiana ebbe un sorriso tirato.
Ha usato il termine “compagnia”. Evita di fare riferimenti all’Agenzia anche quando è sotto stress. E l’empatia di Ura l’ha agitata parecchio. I professionisti si vedono anche in questo. Dall’autocontrollo.
«La circostanza lo richiedeva. Un gruppo di consulenti minerari iperpagati, che devono riavviare l’attività produttiva su un pianeta in guerra viaggiano in prima classe extra lusso.»
«Mi pare giusto. Spero che anche al ritorno, se ci sarà, potrò farmi il bagno in una vasca idromassaggio con musica quadrifonica e intrattenimento digitale 3D.»
«Riguardo chi siamo, Dina, a futura memoria… lo scopriremo presto. Ognuno di noi ha delle capacità che possono contribuire al successo della missione. Più riusciamo a lavorare in team più probabilità abbiamo di tornare in un pezzo solo a casa.»
«Tutto per la compagnia. Il problema, Sema Harna, sai qual’è?»
«Quale?»
«Che tu sai tutto di noi. Ed è evidente che con Ura hai un’ottima intesa. Lo percepisco anche a livello empatico. Il che mi fa pensare che vi conoscevate anche prima di questo viaggetto. Si da il caso, però, che noi Dariani non siamo molto numerosi all’interno della compagnia. Ed io li conosco praticamente tutti. Ma Ura non l’ho mai vista. Il problema, quindi è che nessuno di noi sa chi sei tu. Ed ora con il tuo tono da prima della classe mi dirai che, secondo l’inflessibile logica morassiana, è irrilevante.»
In quel momento Sema fece un’esperienza nuova: sentì una voce nella sua testa.
Quella di Ura.
Non era come quando si indossava una tuta HEAPS e il sistema ti forniva i dati per usarla o per combattere.
Era invece una voce viva, che incrinava anni di Disciplina inculcata su Moras sin dalla più tenera età.

… È sulla difensiva. Sfrutta il suo passato su Faras, Sema. Lei è qui per vendicarsi. Percepisco il dolore ogni volta che viene nominato Faras. Usala come motivazione…


«Nulla è irrilevante, Dina. So che hai vissuto su Faras. E che sei stata trasferita sulla Terra poco prima che le colonie scomparissero. Chi hai perso lì?» disse Sema lentamente.
La Remax aprì la bocca, come se fosse rimasta senza fiato.
Poi la richiuse.
«Non… non mi va di parlarne.»

… Terrore di morire. È sempre sull’orlo del Knar-a’dar… ha perso chi amava…


«Non voglio indagare ulteriormente. Non è per quello che ti ho fatto quella domanda. Ma se c’è qualcosa che cerchi, la risposta è su Faras. Anche se molte risposte, a volte, sono dentro noi stessi. Nulla è irrilevante. Ed avremo bisogno di fidarci gli uni degli altri per avere successo. Ma tutto ha un tempo. Sia le risposte che la conoscenza reciproca» disse Sema.
La tensione di Dina se ne andò. Le spalle si piegarono e per un momento l’atteggiamento cinico ed aggressivo sparì.
«Tutto ha un tempo. Quanto ce ne rimane ancora, Sema? Vorrei tanto saperlo. E si, c’è qualcosa che cerco su quel maledetto pianeta.»
«Ti aiuterò a trovarlo. Ma prima viene la missione. Ti dirò qualcosa su di me: ho lavorato con Ura in precedenza. Eravamo assieme nel MCCIB. E ci siamo salvate la vita diverse volte. Per questo mi fido. La domanda è: tu ti fidi dei tuoi colleghi della compagnia?»
«Non mi fido di nessuno. Ma siamo professionisti. Ci sono i nostri protocolli. Ed una specie di codice d’onore… per ora mi basta. Dei particolari ne parleremo una volta sulla superficie, immagino.»
«Sei una professionista. Immagini bene» rispose Ura annuendo.
Emanò empatia positiva: comprensione, protezione.
Dina sbarrò gli occhi.
«Non ne ho bisogno, Ura. Ho imparato che la paura e la tensione in questo mestiere ti mantengono viva. Smettila immediatamente.»
Non aspettò risposta, si alzò e si sedette dall’altra parte della sala, assieme agli altri membri dell’SdA, che nel frattempo erano arrivati al gran completo ed avevano occupato l’angolo opposto.
Sema vide entrare Eric Pearl, seguito dalla Farasiana e dagli altri due componenti rimasti di Proteus.
«Non sarà facile amalgamare questo gruppo» osservò Ura.
«Per ora pensiamo alla cena. È l’ultima di un certo livello che avremo per parecchio tempo» replicò Sema in tono piatto.
«Ho una domanda, Ura. Io non sono innamorata di te ne tu di me, visto che ne su Dari né su Moras esiste l’omosessualità. Come hai fatto ad comunicare con me usando l’Unione Empatica?» aggiunse.
«È una delle nuove capacità della mia empatia. E che spaventa a morte il Gran Consiglio di Dari. Posso entrare in Unione Empatica con chi voglio.»
Sema annuì.
«Mi hai spaventata all’inizio. Ma più ci penso, più ritengo che potrebbe diventare molto utile. Solo una cosa: non farlo mai più se non te lo chiedo, per favore.»
Ura ridacchiò.
«Ricevuto capo.»

La navetta militare toccò terra allo spazioporto di Qunadeh, ai piedi del Sahan, verso mezzanotte, ora locale.
La base ormai aveva perso importanza operativa ed era solo un grosso nodo logistico, dove la Flotta Stellare scaricava una parte del materiale che serviva per alimentare la macchina bellica della Federazione. Da li si dipartiva una lunga teoria di trasporti antigravità che arrivava fino a Rya’t, da dove venivano smistati alle varie zone del fronte, e come retrovia era sede degli ospedali militari a lunga convalescenza.
E la nuova sede di Village, i cui membri erano arrivati soltanto quarantotto ore prima.
Non appena la rampa della navetta proveniente dalla UFSS Indianapolis si aprì nel buio interrotto solo dalle luci dello spazioporto e delle piste, una raffica di vento gelido afferrò Sema e gli altri componenti di Proteus.
«Non scherzavi quando dicevi di indossare roba pesante…» esclamò Eric Pearl mentre scendeva dal veicolo e calcava il cemento della pista d’atterraggio emettendo nuvolette di vapore mentre parlava.
«È fine ottobre e siamo alle pendici delle montagne più alte degli ennei Ruhoyani. Non hai ancora visto niente, l’inverno qui è molto rigido» replicò Sema.
Il  Terrestre notò figure in borghese da un’altro paio di navette atterrate poco prima.
«Non mi risulta che ci siano altri di noi su Faras…»
«Quello è personale civile delle compagnie mercantili. Ho scelto Qunadeh apposta, perchè i civili atterrano solo qui e non negli altri spazioporti. Ci confonderemo meglio.»
Eric Pearl annuì.
«Mi pare un’ottima mossa. Come procediamo ora?»
«Come sai. Io resto qui e riassumo l’identità del capitano dei Marines Sema Stone per qualche ora. Tu prosegui e portali alla base segreta. Falli riposare e da domani si comincia sul serio.»
«Incluse le divise?»
«Si. Devono entrare nella parte.»
«Ricevuto.»
«Io dormo nella foresteria dello spazioporto e domani mattina vado a vedere come hanno sistemato Village. Temo che troverò un gran casino. Arriverò alla sede della compagnia dopo domani mattina. » sospirò la Morassiana.
Il gruppo seguì Sema fino ad una baracca ridipinta di fresco. L’insegna sulla porta, illuminata da luci a basso consumo pilotate da sensori, recitava Interstellar Mining Co. Due grosse eliauto ad antigravità, delle Ford-Mitsubishi aXion ultimissimo modello e nuove fiammanti. La Morassiana afferrò la maniglia ed i sensori lessero le impronte del palmo della mano. L’eliauto si aprì e si illuminò all’interno.
Sema prese il suo palmtop di servizio, selezionò un’icona in 3D e la lanciò verso lo schermo multimediale sul cruscotto del veicolo.
«Queste tre eliauto civili sono nostre. Ufficialmente sono registrate come auto aziendali della compagnia di copertura. Hanno tutta la dotazione di accessori standard… » disse in tono incolore.
Ura annuì. Sapeva già cosa intendesse Sema con dotazione di accessori standard. Quelle eliauto erano state modificate dall’Agenzia e nei sottofondi c’era di che armare un plotone di fanteria. I sistemi multimediali dell’auto nascondevano una serie di gadget per condurre operazioni di spionaggio e di azione diretta.
«… Quest’eliauto la guiderà Eric. Ho inserito le coordinate della destinazione. Io userò altri mezzi per raggiungervi. Buon viaggio ci vediamo tra trentasei ore.»
Tutti i componenti di Proteus salirono sulle eliauto e si mossero in colonna, usando le ruote all’inizio. Poi Pearl chiese alla torre di controllo di poter azionare i comandi di volo.
Sema vide le aXion sollevarsi da terra una dopo l’altra e diventare piccole luci nel nero della notte. Poi le luci sparirono.
I radar della torre di controllo, gestiti dall’Aviazione d’Atmosfera della Federazione, avrebbero seguito delle false tracce, generate dai sistemi di inganno elettronico delle eliauto. In realtà nessuno avrebbe saputo la vera destinazione ad eccezione di lei, del generale Dax e del comandante della MSOC.
Si rese conto in quel momento, con lucida razionalità ma non senza una strana emozione, del potere che l’Agenzia le aveva conferito.
Lei era l’Agenzia su un intero pianeta.
Faras era il suo campo di gioco.
Aprì la porta della baracca e poi la chiuse accuratamente. Accese le luci: scrivanie da ufficio e laptop apparvero, assieme a server per la contabilità e collegamenti in rete privata.
Attraversò lo spazio anonimo e si diresse in bagno. C’era un piccolo spogliatoio. Accese il riscaldamento e poi, quando l’aria divenne tiepida, si spogliò completamente.
Dalla borsa che aveva con sé estrasse intimo militare marchiato UFMC, lo indossò e poi indossò la sua uniforme da capitano dei Marines. La scritta sul nastrino del taschino sinistro recitava STONE.
Quando la vestizione fu completa, applicò il badge olografico all’uniforme, mise i vestiti civili nella borsa e uscì dallo spogliatoio dalla porta opposta a quella dove era entrata. Raggiunse una porticina sul retro.
La baracca non era stata scelta a caso. L’edificio confinava con la zona militare dello spazioporto. Sema si presentò alla guardia, un sergente della Fanteria Federale, e azionò il badge olografico.
«Capitano Stone, servizio di informazione del Corpo dei Marines.»
Il sottufficiale lesse con uno scanner 3D le informazioni biometriche del badge e di Sema. Lo strumento autenticò l’identità di Sema, fatta inserire da Dax nei database del Corpo quasi un anno prima.
«Passi pure capitano. Arrivata stanotte dalla Terra?»
Sema annuì.
«Sì. Devo prendere contatto con la mia unità. È arrivata qui due giorni fa.»
«Una trentina di Marines anche loro arrivati dalla Terra?»
«Esatto. È una unità interforze, con sede allo spazioporto di New York.»
«Blocco C, edificio C2» disse il sergente indicando il confine sud dello spazioporto.
«Grazie.»
Sema salutò militarmente e non aspettò che il sergente ricambiasse.
Attraversò enormi aree in plasticemento, dove erano parcheggiate dozzine di enormi SHAT della Fanteria Federale, i mezzi da sbarco più grandi a disposizione della Flotta Stellare.
Infine trovò degli edifici con struttura in plasticemento prefabbricata.
Erano estremamente solidi, ma molto più leggeri di quelli in cemento. Una struttura completamente cablata e con i servizi perfettamente funzionanti (acqua, luce, servizi igienici, rete in fibra e così via) in grado di ospitare un centinaio di persone poteva essere eretta in appena dodici ore.
Per strutture completamente ermetiche, collocabili in ambienti privi di un’atmosfera respirabile, ci voleva il doppio del tempo: ventiquattro ore. Ma l’edificio era in grado di ospitare e far sopravvivere degli umanoidi anche sulla superficie della Luna.
Sema trovò l’edificio C2. La targa all’ingresso recava la scritta Gruppo di Analisi Interforze. Una intestazione quasi anonima, che nessuno avrebbe notato e che non avrebbe suscitato alcuna domanda nemmeno a chi, tutti i giorni, fosse passato da quelle parti.
 Lo spesso vetro balistico dell’ingresso si aprì scorrendo.
Il sistema di sorveglianza aveva riconosciuto il suo badge non appena si era presentata davanti all’entrata.
Le luci erano accese e la stanza operativa era piena a metà.
Una Terrestre con l’uniforme della Flotta Stellare la vide e si diresse sorridendo nervosamente verso di lei.
«Benvenuta Walker… ben arrivata su Faras»
Accennò un saluto militare ma lo sguardo di Sema la fece desistere.
«La commedia la recitiamo fuori di qui, Ann. Dentro siamo l’Agenzia. Come vanno le cose? Dov’è il resto di Village che è arrivato dalla Terra?»
Ann Conway, il capo della gestione informatica di Village 2 continuò con il suo sorriso stiracchiato.
«Sono andati a dormire. Ci siamo suddivisi in tre turni di dieci persone, per assicurare copertura ventiquattro su ventiquattro. La LAN interna è collegata e funzionante. Abbiamo problemi con i collegamenti esterni…»
Sema si guardò attorno.
Lo spazio asettico era percorso da cavi in fibra che da una trentina di scrivanie sparivano in botole aperte sul pavimento. Altri rotoli di fibra erano accatastati lungo le pareti, assieme a scatole stagne contenenti componenti di server a tecnologia avanzata.
«La server farm è stata completata?»
«Si, assolutamente, Walk…»
Sema sorrise rigidamente.
Le cose non stanno andando bene. La Conway è capace, un genio nel suo campo, ma è troppo agitata.
«Ann… con calma. I problemi sono fatti per essere risolti. E qui dentro chiamami con il nome. Né gradi né nomi in codice.»
Il sorriso sul volto della Terrestre sparì di colpo.
«Si, Sema… ecco… mi dispiace, cazzo… ma siamo indietro con la tabella di marcia. La server farm ha richiesto più tempo del previsto per essere messa in grado di operare, e stiamo ancora configurando la LAN. I collegamenti dati con l’intelligence della Fanteria e con l’SI2 della Flotta Stellare non funzionano ancora. Sembra che manchino delle autorizzazioni, non capisco… tecnicamente…»
«Il collegamento con la MSOC?» chiese la Morassiana.
«È l’unico che funzioni. Il capitano Turing si è dato un gran da fare ed ha risolto sia i problemi burocratici che quelli dei protocolli di comunicazione.»
Sema annuì.
«È già un inizio. Quante postazioni sono attive?»
«Una decina. Abbiamo dato la priorità ai restore delle banche dati di Village nella server farm.»
Stavolta il sorriso di Sema fu più caldo e l’espressione tesa della Conway si distese leggermente.
«È stato completato il restore?»
«Assolutamente. Quello che avevamo sulla Terra ora è anche su Faras.»
«Ben fatto. Non è facile trasferire una struttura di intelligence complessa come Village. Le dieci postazioni per iniziare possono bastare. Completate il resto nel caso tutto il gruppo debba supportare il Corpo di Spedizione.»
«E per gli altri collegamenti esterni?»
«Dov’è il centro comunicazioni?»
«Di là…» disse Ann Conway indicando l’ala opposta dell’edificio.
«Preparami un bricco di caffè forte. Alle autorizzazioni ci penso io.»
«Ma è…»
«… Appena scesa da una astronave, lo so, Ann. Ma Village non può aspettare. Riposerò più tardi.»
La Terrestre sorrise e dalle microespressioni facciali Sema lesse viva simpatia e preoccupazione. Per lei.
«Ti porto il caffè subito. Per essere una Morassiana racconti male le bugie. Sarà una lunga notte.»
Sema rise, sorprendendo la ragazza.
«Lo so. Ma voglio che domani mattina Village sia completamente operativo. Non c’è rimasto molto tempo. E non posso rimanere qui a lungo.»
Si voltò ed entrò nel piccolo ufficio. Tirò fuori il suo tablet di servizio dell’Agenzia e si collegò.
Apparve l’elenco delle unità presenti su Faras e l’organigramma del Corpo di Spedizione.
Premette il nome del generale Dax.
Dopo qualche secondo le rispose una voce nota.
«Ciao Sema, ben tornata su Faras.»
«Ciao Dexter. Ne avrei fatto volentieri a meno.»
Dax rise.
«Anche io. Finiamo questo lavoro per bene. È l’unico modo per tornare a casa.»
«Per bene ma restando vivi.»
Ci fu un istante di silenzio.
Dax sa bene quello che mi aspetta. E quanto sia rischioso.
«Cosa posso fare per aiutarti, Sema? Non mi avrai chiamato solo per dirmi che sei tornata su Faras?»
«No infatti. Abbiamo dei problemi di protocolli e di autorizzazioni da parte della Flotta Stellare e della Fanteria Federale. A quanto pare nessuno dà retta ai miei. Puoi fare pressioni perchè qualcuno ci ascolti?»
«Posso fare molto di più. Ti metto in collegamento con il generale Pershing e con l’ammiraglio Lütze. Quale dei due per primo?»
«Prima Lütze e poi Pershing, se non ti dispiace.»
«Non mi dispiace affatto. E mi è arrivato del tè di Par-Dak. Te ne mando immediatamente un po’ via trasporto militare. In un’ora lo avrai sulla tua scrivania.»
«Grazie. Ne avrò bisogno.»
«Ne avranno bisogno anche quelli della compagnia mineraria. Ma ne parleremo a voce nei prossimi giorni. Ti passo Lütze, resta in attesa.»
Che il Creatore sia ringraziato per l’esistenza di una persona come Dax. Forse riesco a risolvere tutto prima dell’alba. Potrei anche riuscire a dormire un paio di ore.
In quel momento entrò Ann Conway con un bricco fumante in mano.
«Il caffè.»
«Poggia lì sul tavolo. E tra un po’ arriverà anche qualcosa di meglio.»
«Cosa?»
«Un regalo dei Marines. Preparate la configurazione per il canale dati della Flotta Stellare. Sto per parlare con Lütze.»
La Terrestre sgranò gli occhi, con espressione ammirata.
«Subito! Sei una forza. Sono due giorni che cerchiamo di parlare con qualcuno dell’SI2! Arrivi tu e tutto si sblocca. Vado!»
Sema rimase sola e si sentì enormemente stanca.
La mancanza di Red e di Kynn si fece sentire in maniera dolorosa.
Non ebbe tempo di riflettere, perché il suo laptop la avvertì di una chiamata in arrivo.
L’ammiraglio Lütze. Si comincia.

Eric scese dall’eliauto nei pressi di quella che era una baita di montagna abbandonata, nel cuore del Sahan.
Si abbottonò bene la giacca in Hypertex ed i brividi di freddo passarono immediatamente.
Dietro di sé udì il ronzio delle portiere delle altre eliauto che si aprivano e il rumore sommesso di dieci paia di piedi che calpestavano il terreno erboso.
Quando fu all’ingresso, il Terrestre passò il suo palmtop sulla serratura e questa si aprì con uno scatto metallico.
L’interno era arredato in maniera spartana, e alcune casse stagne con la scritta Interstellar Mining Co. giacevano al centro del salone. Un caminetto con la legna sul focolare attendeva di essere acceso.
«È un posto dimenticato da Dio… abbiamo almeno delle armi?» chiese Paula Hefner, una delle operatrici dell’SdA.
«Sono nei doppi fondi delle eliauto, come da protocollo. Prendile e distribuiscile. Istituiremo dei turni di guardia, per non perdere l’abitudine. Anche se qui siamo migliaia di chilometri distanti dalla prima linea. E l’abitato più vicino, Qunadeh, è a due giorni di cammino a piedi» rispose Eric Pearl mentre si chinava e controllava lo stato delle esche per accendere il camino.
«Ci sono sempre gli animali. Sulle montagne di Faras non ci sono gli orsi?»
«No, Paula. Solo un felino dai denti a sciabola della taglia di un grosso puma. Ma non vive in questa zona.»
Una luce guizzò rapida e con un crepitio una fiammella danzò tra la legna.
«Almeno staremo caldi. Manca solo Babbo Natale» esclamò Lizbeth Ho.
«Delle stupide leggende terrestri…» sbuffò la Morassiana Myta Serna.
«Ah già, voi Morassiani non avete il Natale. Non sai che ti perdi bella… la neve, le renne, i cori ed i regali!»
«Per il Creatore, dov’è la logica nel celebrare un mito? Anche noi Morassiani festeggiamo…»
«E cosa? La Notte dei Cruciverba? O la Maratona del Calcolo Infinitesimale? Oh no… ci sono! Il Festival del Sillogismo!» intervenne la Powell.
«Fatela finita. Perché non vi godete il fuoco, la natura e le prossime ventiquattro ore? Non avrete più tempo libero per sfottervi come fate ora quando arriverà Sema» disse in tono piatto Eric Pearl alzandosi dal caminetto, mentre un fuoco vivace cominciava a scoppiettare.
«Chi ci preparerà la colazione? Lo chef stellato è rimasto in orbita nello spazio» chiese Yana Wewrani.
«Noi. Non c’è un cuoco qui. Cucineremo a turno» rispose Pearl.
«Nessuna unità militare nei dintorni, ne nostra ne farasiana. Nessun centro abitato vicino. Isolamento e compartimentazione completa, vedo» mormorò Lizbeth Ho.
«È necessario. Nessuno deve sapere della nostra esistenza.»
«C’è pericolo che salti la copertura?»
Pearl annuì.
«Fino a che la preparazione per la missione non sarà completa, si. Ed anche dopo dovremo stare molto, ma molto attenti.»
Paula Hefner rientrò in quel momento, accompagnata da Dina Remax. Entrambe portavano a tracolla i fucili d’assalto ad induzione M327S. Le loro mani reggevano una cassa di proiettili.
«Prendete questa roba, ragazze. E assicuratevi che funzionino» disse la Tedesca.
Armi e caricatori furono rapidamente distribuiti, mentre il fuoco cominciava a scoppiettare allegramente nel caminetto.
Yana Wewrani si accovacciò davanti al focolare e protese le mani, rabbrividendo.
Lizbeth Ho la fissò a lungo e la Farasiana se ne accorse.
«Cosa c’è? Mi è spuntato un terzo occhio sulla nuca?» chiese in tono ironico.
La Coreana sorrise.
«No. Yana. È che… notavo una cosa…»
Si accovacciò anche lei e protese le mani verso il caminetto.
«Terrestri o Farasiani, siamo attirati entrambi dal calore e dal significato di un fuoco nella notte: protezione e rassicurazione.»
La Farasiana si rilassò e sorrise a sua volta.
«E la notte improvvisamente non è più così fredda ed oscura.»
«Esatto. È un tratto comune a tutti gli umanoidi che ho osservato.»
«Sei stata su molti pianeti della Federazione?»
Lizbeth Ho annuì.
«Si. Anche troppi. Se torno da questa missione, con l’Agenzia ho finito. Ho maturato abbastanza punti per chiedere il congedo anticipato.»
«Perderai la pensione…»
«Avrò comunque la buonuscita. E sarà sufficiente. Voglio…»
La Ho si interruppe un attimo. Sospirò e poi continuò.
«… Voglio fermarmi.»
«Dove?»
«Erya. Dicono che il pianeta tornerà a vivere. E che ci sono un sacco di opportunità.»
«Ti annoierai.»
«Ho avuto emozioni per almeno due vite normali. Basta. Tu cosa vuoi, invece, Yana?»
Gli occhi della Farasiana inaspettatamente si inumidirono.
La Coreana rimase sorpresa dalla reazione e capì di aver toccato un tasto dolente.
«Mi dispiace… non volevo…»
Yana Wewrani scosse la testa.
«No. Va bene, non ti scusare. Cosa voglio, Liz? Tornare su Faras per sempre. Ed avere giustizia.»
Eric si avvicinò alle due.
«Il fuoco c’è, Paula e Dina sono uscite per una piccola pattuglia. Io preparo un tè per tutti e poi si va a dormire.»
«Siamo a scuola?» domandò Lizbeth Ho.
«La scuola è il concetto più vicino a questo luogo.»
«Con il tè ci andrebbero dei pasticcini…»
Il Terrestre scosse la testa.
«Non ne avrai bisogno, Lizbeth. È tè di Par-Dak.»
«Che posto è Par-Dak? Mai sentito un nome simile nella Federazione!»
«Infatti non è nella Federazione. È un pianeta dell’Impero Namer.»
A quel nome scese uno strano silenzio, carico di tensione, tra tutti i presenti.
Eric Pearl fece finta di non aver detto nulla di importante e si diresse in cucina, nel locale accanto.
In quel momento Paula Hefner e Dina Remax aprirono la porta della baita ed entrarono.
«Fuori tutto tranquillo, anche se fa un freddo boia» disse la Tedesca.
«Dov’è Eric?» domandò la Dariana.
«Sta preparando del tè di Par-Dak per noi tutti. Roba imperiale…» rispose Yana Wewrani.
«Sema sa qualcosa di Par-Dak…» mormorò Ura.
«Allora dobbiamo aspettare che Sema arrivi per domandarglielo» disse Myta Serna.
«Posso solo dirvi che è un tè molto speciale. E che non arriva direttamente dall’Impero Namer ma nella Federazione la fornitura passa attraverso Primus.»
«Primus? Che c’entra il pianeta-guarnigione del Corpo dei Marines?» domandò la Farasiana.
«C’entra molto. Il generale Dax, il comandante del Corpo di Spedizione su Faras è stato su Namer. E di lui si dicono molte cose…» rispose Ura.
«… E la metà non sono vere!» intervenne in tono sarcastico Dina Remax, innescando una risata generale.
«Ma l’altra metà si. Non sottovalutate mai Dax. Chi l’ha fatto poi se n’è pentito» disse Eric Pearl rientrando nella stanza con un bricco fumante e delle tazze poggiate su un vassoio.
«Il profumo del tè… è divino!» esclamò Daria Simax, che fino a quel momento era rimasta in silenzio ed in disparte.
Stranamente nessuno obiettò all’osservazione della timida Dariana.
Tutti presero una tazza e non appena cominciarono a berlo l’umore migliorò.
A tutti l’isolamento del posto cominciò ad apparire come un vantaggio invece che una costrizione.
Chiacchierarono fino alle tre del mattino e Pearl non potè fare a meno di notare che grazie al morale che si innalzava le differenze tra i due gruppi, quello dell’SdA e i reclutati da Sema, erano diventate più sottili. L’unica che continuava ad essere oggetto di diffidenza era Ura, ma solo da parte delle Dariane presenti.
Verso le tre ed un quarto del mattino, come se tutti avessero obbedito ad un misterioso segnale, ciascuno si scelse una stanza e si coricò.
Eric non assegnò a nessuno turni di guardia. Per esperienza sapeva che gli operatori dell’SdA erano addestrati a riprendersi molto rapidamente anche dal sonno più profondo. E per ora non c’era nulla di cui preoccuparsi. Dal giorno dopo, tutto sarebbe cambiato.

Il trasporto antigravità della MSOC volteggiò un paio di volte sopra le cime delle conifere, poi iniziò una discesa controllata, virò con leggerezza sullo spiazzo accanto alla baita nel bosco ed atterrò quasi con leggiadria.
L’hummm dei motori si spense e quando si aprì il portellone la figura di Sema Harna in uniforme da capitano dei Marines scese dal velivolo.
Eric Pearl e il resto del gruppo erano a poca distanza.
Gli sguardi del gruppo erano incuriositi ma nessuno fece domande.
«Ciao capitano Stone… » disse Eric sorridendo divertito.
«Ciao Eric. Di a tutti di sbrigarsi a scaricare le casse dal trasporto. Il colonnello De La Rey rivuole il suo velivolo antigravità immediatamente.»
Il Terrestre si rivolse agli altri.
«Avete sentito il capitano? Muoversi…»
Si diresse egli stesso, accompagnato da Sema.
Un sergente dei Marines, un Dariano, era lo Specialista di bordo.
Vide il gruppo in borghese avvicinarsi.
Individuò le Dariane ed aggrottò le sopracciglia, in segno interrogativo.
Fino a che non incrociò lo sguardo di Ura.
Non parlarono. Ma il messaggio empatico della Dariana fu chiaro.

… non ti impicciare…
… Come… come puoi unirti a me nell’empatia?…
… Io posso…
… Sono della MSOC. Sono abituato a tenere il becco chiuso…
… Allora continua a farlo…


Le casse furono scaricate e portate nella baita.
Sema salutò il pilota del trasporto e quando l’hummm dei motori antigravità si fu dissolto nell’aria pura e gelida del mattino, la baita ritornò ad essere un punto ignorato dai più nell’immensità delle foreste del Sahan.
Ora i componenti di Proteus erano tutti riuniti nel piccolo salone, attorno alle casse stagne con il sigillo diplomatico della Terra.
«Apri quella cassa, Eric, e distribuisci il contenuto. Ogni pacco ha il nome del destinatario» ordinò Sema.
Il Terrestre eseguì, ed una serie di undici pacchetti sigillati nella carta furono consegnati, inclusa Sema.
«Eric, tu non hai niente» osservò Yana Wewrani.
«Eric non rimarrà qui. Ripartirà questa sera per Qunadeh. Aprite i pacchetti.»
Ci fu il rumore soffocato di carta strappata.
Poi un’esclamazione indignata della Farasiana.
«No! Questa roba io non la indosso!»
«Invece lo farai.»
Yana Wewrani era ancora più rosso mattone in viso del normale. Era furiosa.
Brandì una giacca militare e la sventolò davanti al viso di Sema, tra gli sguardi perplessi dei presenti.
«Questa è una uniforme della Guardia Motani! Sono coloro che hanno bruciato in un pervaz mio marito! Come hai potuto, Sema…»
«Per uccidere un serpente nella sua tana devi farti tu stessa serpente» rispose la Morassiana scandendo le parole.
La Farasiana restò a bocca aperta e lasciò cadere l’indumento a terra.
«Hany’na… come…»
«Ho parlato a lungo con la sua discendente, Hany’na Ydani di Qana’t. Ora raccogli la giacca Yana. Tutti dovremo cominciare a sembrare qualcun altro e qualcos’altro.»
Poi si rivolse agli altri.
Tutti reggevano in mano uniformi farasiane della Casata Motani.
«Indossatele. Vi aiuterà a entrare nella parte.»
«Non è sufficiente vestire una uniforme per diventare una perfetta Farasiana…» disse in tono sarcastico Myta Serna.
«No infatti. Ma ho quello che fa per noi.»
Sema si chinò ed aprì una delle casse più piccole e ne trasse fuori un oggetto.
A prima vista sembrava un grosso palmtop.
Un filo centrale si dipanava in una serie di elettrodi dall’aspetto poco rassicurante.
«Cosa è quello?» domandò Paula Hefner.
«La chiave per Faras.»
«Non ho mai visto un apparecchio simile nell’Agenzia…» mormorò Glora Ardax.
«E non lo vedrai mai. Questo apparecchio è un Meh-Namer modificato. E viene dall’Impero Namer. Indossate le uniformi e mettiamoci al lavoro. Da oggi la ricreazione è finita» rispose in tono piatto Sema Harna.



[1] FS Banshee = Federal Starship Banshee. FS è la denominazione di tutte le astronavi della Federazione che non appartengono alla Flotta Stellare, cioè delle navi civili. Sebbene TUTTE le astronavi civili rechino sul Registro Astronavale la sigla, molti armatori, per le navi più prestigiose, pagano una sovrattassa di registrazione, per togliere il suffisso.
[2] V. “Le Indagini del MCCIB episodio 4: Livello 5”
[3] v. “Le Indagini del MCCIB episodio 5: Vendetta”

2 commenti:

  1. "Due grosse eliauto ad antigravità, delle Ford-Mitsubishi aXion ultimissimo modello e nuove fiammanti. La Morassiana afferrò la maniglia ed i sensori lessero le impronte del palmo della mano. L’eliauto si aprì e si illuminò all’interno.
    Sema prese il suo palmtop di servizio, selezionò un’icona in 3D e la lanciò verso lo schermo multimediale sul cruscotto del veicolo.
    «Queste tre eliauto civili sono nostre. ... "


    Credo che qui ci sia un refuso, prima le macchine sono 2 e poi 3 e 3 ha molto più senso.

    Sperando di fare cosa gradita.

    Buona notte

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