sabato 1 luglio 2017

INEDITO: La Battaglia dei Venti Secondi

Un soldato delle Waffen-SS viene preso prigioniero dagli Americani durante la Battaglia di Normandia

Il soldato venne fuori dal fienile con un bastone su cui era stato fissato uno straccio sporco che una volta doveva essere stato bianco.
Sotto l'elmetto d'acciaio il viso era emaciato, la barba lunga.
Solo gli occhi blu ardevano ancora di luce.

Per molti versi, avevamo lo stesso viso e la stessa barba anche noi.
Eravamo arrivati in quel posto la notte prima, quando eravamo atterrati presso St. Mere Eglise. Avevamo eliminato la batteria di mortai da 81 non appena c'eravamo radunati: pezzi di 101.ma assieme a pezzi dell'82.ma contro i crucchi.
Gli 81 li avevamo azzittiti, ma il resto del plotone comando tedeschi si era rifugiato in una fattoria e l'aveva trasformata in una fortezza.
Avevamo tentato due volte l'assalto per prenderla, ma si era rivelato un lavoro pericoloso e costoso.
Avevamo perso un terzo degli uomini. Il problema è che dal tetto loro controllavano ancora la strada con le loro MG.
Ma la situazione tattica era di stallo: loro non potevano uscire e ritirarsi, e noi non potevamo entrare e toglierli di mezzo.
Quando erano arrivati i ragazzi della Big Red One, con gli Sherman, avevamo ghignato.
Li avevamo avvertiti di non avvicinarsi con la fanteria ma solo con i carri. Se si fossero esposti dopo l'ultima curva del paesino (non mi ricordo nemmeno più come si chiama, qualcosa-sur-Seine... non è importante) con gli uomini sarebbero stati falciati.
Con i carri la cosa era totalmente diversa. Avevamo sentito tintinnare i proiettili da 8 millimietri contro le piastre di acciaio. Ma gli M4 non si erano fermati e si erano disposti a V rovesciata ed avevano puntato i cannoni da 75 contro la fattoria.
«Non hanno scampo, tenente...» mormorò il mio sergente maggiore.
«No. Non ce l'hanno...»
«Che aspetta a farli fuori? Dia l'ordine di sparare, signore!»
Scossi la testa.
Osservai attraverso il mio binocolo 8 x 30 l'abbaino della fattoria.
Una testa bionda con un binocolo stava osservando anche lei la situazione attorno al caposaldo.
«Bob, il tuo Garand è ancora azzerato come ricordo?» chiesi.
«Si signore.»
«Dammelo.»
La forma tonda e bilanciata del fucile scivolò nelle mie mani e l'appoggiai alla spalla. L'M1 mi è sempre piaciuto, perchè va in punteria praticamente da solo, e nonostante spari il potente .30-06 e pesi quasi 4 chili dà l'impressione di essere molto più agile di quello che è veramente.
Inquadrai la testa nelle mire.

200 metri. non di più.
A quella distanza potevo prenderlo tranquillamente.
Con il sergente Redman, quello che mi aveva passato il fucile, avevamo fatto parecchie volte una gara: avevamo messo a 200 metri delle bottiglie vuote di Coca Cola. e gli avevamo sparato.
Redman aveva vinto di una incollatura. Ma nessuno della mia compagnia aveva eguagliato il suo record né il mio. Ci scommettevamo sopra intere casse di birra, ma come vantaggio avevo la migliore compagnia di tiratori della 101.a Aviotrasportata.
Tolsi con l'indice che premeva il grilletto la sicura.
Poi accadde qualcosa.
Il tedesco stava guardando nella mia direzione. E fui sicuro che mi avesse visto.

Si ritirò improvvisamente nel vano.
«Bob riprenditi il fucile. Forse dobbiamo spostarci. Il crucco deve avermi visto.»
«Si tenente Liebgott.»
Era stato allora che il Tedesco era uscito dalla fattoria con la bandiera in mano.
Aveva lo Schmeisser di traverso sul petto, una granata dal lungo manico infilata sulla cintura.
Era immobile oltre la porta sfondata del muro di cinta della fattoria.
Ebbi netta l'impressione che si aspettasse di ricevere da un momento all'altro una pallottola tra gli occhi e che, in fondo, non gliene importasse niente.
«Forse si arrendono!» ghignò il sergente maggiore Redman.
«Forse.»
«La razza superiore... figli di puttana...»
«Bob, vado a parlargli. Se mi succede qualcosa dì ai plotone carri di aprire il fuoco e di tirare giù la fattoria.»
«E gli ordini di preservare le proprietà dei local?» domando in tono sarcastico Redman.
Lo guardai sollevando un angolo della bocca.
"Secondo te me ne fotte qualcosa dei mangiarane?»
Mi alzai e mi diressi verso l'altro uomo in attesa con il mio mitra, un M3 Grease Gun, tra le mani ma puntato verso il basso.
Tenevo un grosso mezzo sigaro tra i denti, tanto per darmi delle arie.
Quando fui a due metri allibii: era un ufficiale delle SS.
Quelli della batteria di mortai che avevamo ammazzato erano della Wehrmacht.
Mi fermai ed attesi.
L'SS abbassò la bandiera e la poggiò lentamente a terra.
Non assunse una posa conciliante. Mani sui fianchi. Ma non accennò ad avvicinare le mani alla sua pistola mitragliatrice.
«Sprechen Sie Deutch?» chiese.
«Ja. Was wollen sie? Sprechen sie schnell. Wir nicht haben alle der Tag!»
Il tedesco annuì leggermente.
«Ebreo?» chiese.
«Si. Problemi?»
«No. Non me ne frega un cazzo. Ma so che molti ebrei americani sono di origine tedesca. Non sono qui per fare questioni razziali.»
«Perchè allora?»
«Perchè ho un problema.»
«Non è affare mio» risposi bruscamente in tedesco.
«Allora dovrà ucciderci tutti.»
«Quella è l'idea.»
«Pensavo di poter parlare con qualcuno.»
Fece per raccogliere la bandiera.
Lo fermai.
«Di cosa doveva parlare Hauptsturmführer? Qual'è il suo problema?»
«Vorrei evitare una strage. La situazione è chiara. Noi non abbiamo speranza. Non abbiamo carri. E non verrà nessuno a soccorrerci. Il mio battaglione è stato annientato ed ho trovato la batteria mortai sbandata. L'ho riorganizzata io. Sono tutti ragazzi giovani... »
«Quanti anni ha lei?»
«24. E mi sono già fatto 2 anni sul fronte russo.»
«Non crede più nella vittoria finale?»
«Mi prende per il culo, tenente...?»
«Liebgott. Richard Liebgott.»
«Ah... il mio nome è Reichard! Reichard Wunsche.»
«Okay capitano Wunsche. Si arrenda e la facciamo finita qui. Voi vivi, noi risparmiamo munizioni, il mangiarane conserva la sua fattoria intatta.»
«Ah mi creda, io vorrei! Ma é li il problema. E lei deve aiutarmi a risolverlo!»
Lo guardai sottecchi. Forse era una trappola.
«Non vedo dove...
«Il regolamento... Non posso arrendermi fino a che non esaurisco le munizioni. Sarebbe tradimento.»
Feci spallucce.
«Allora fine del negoziato...»
«Lei non capisce... io voglio arrendermi ma non posso.»
«Perchè ha ancora munizioni?»
«Si. Ed è un problema. In teoria dovrei esaurire le munizioni... ma se lo faccio ricominciamo ad ammazzarci l'un l'altro. E non ne ho abbastanza per fare una difesa degna di questo nome.»
«In pratica, se ho capito bene, dovrebbe esaurire le munizioni ma se lo fa non ne ha abbastanza per farcela pagare?»
«Genau! E sarebbe un massacro idiota. E ne ho visti fin troppi fino ad ora.»
«Cosa propone, allora?»
«Ecco» disse Wunsche «Se si potesse fare in modo che noi spariamo senza colpire nessuno e poi potessimo arrenderci sarebbe perfetto.»
Tolse con un gesto improvviso il caricatore dall'MP40 e me lo porse.
Controllai togliendo le munizioni: aveva sette colpi soltanto.
«Gli altri sono vuoti» intervenne Wunsche «Le due MG hanno un nastro con venti colpi, gli uomini sono rimasti con due o tre colpi a testa. Io sono uno dei pochi ad avere ancora una granata da usare. Lei potrebbe assaltare la fattoria e finalmente conquistarla. Ma comunque qualche suo uomo ci rimetterebbe la vita. Non sarebbe stupido?»
«Ho capito. Mi lasci pensare, Wunsche. Ma prima una domanda... quanto posso fidarmi di lei?»
«Parola di ufficiale.»
«Non mi fido delle SS.»
«Di Brahms si fiderebbe?»
«Cosa?»
«Mi segua.»

Ero dentro la fattoria.
E Wunsche suonava Brahms su un vecchio pianoforte sfondato. Le dita agili riuscivano ad estrarre anche da quel catorcio arpeggi divini.
Quando si era voltato ed aveva cominciato a camminare verso la fattoria avevo temuto per la mia vita. Io, a differenza di lui, a casa ci volevo tornare.
Poi lo avevo sentito urlare in tedesco degli ordini.
«Obergefreiter
Pohl! Non sparate! Entro con l'Americano! Stiamo negoziando! Se volete uscire vivi non fate cazzate e mettete giù le armi!»
«Agli ordini signore!»

Quando attraversai la porta di ingresso vidi l'Obergefreiter Pohl: Un ragazzino di diciassette anni, biondo e magro che non aveva nemmeno la barba e con una uniforme troppo grande per lui.
Poi mi ero ritrovato in quella sala, devastata dai proiettili, in cui era il vecchio pianoforte.

Miracolosamente intatto. Una delle nostre raffiche era passata in diagonale ed aveva sfiorato il legno ed una pallottola calibro .30 aveva scheggiato il bordo della cassa.
Wunsche aveva aperto il coperchio e senza dire niente aveva eseguito l'Allegro della Sonata nr. 1 per piano solo di Brahms senza nemmeno una sbavatura.
La conoscevo bene, perchè nella mia vita precedente, quella che avevo dovuto abbandonare negli Stati Uniti, ero un pianista classico anche io.
Ma Wunsche era ad un livello superiore. Aveva talento.
Finì il pezzo e si voltò.
«Cosa ne dice Liebgott? Possiamo fidarci l'uno dell'altro?!

Fu il più strano scontro a fuoco che ebbi in tutta la guerra.
Durò esattamente venti secondi.
Mentre gli Sherman rimasero con i cannoni muti, le mitragliatrici M1919 della mia compagnia cominciarono a sparare basse contro il muro di cinta della fattoria.
Un perfetto fuoco d'appoggio completamente inefficiente.
I Tedeschi risposero con tutto quello che avevano... sparando per aria e buttando le granate che avevano ai piedi dello stesso.
Poi si ammutolirono.
Proseguii, come da accordi, il fuoco delle mitragliatrici per dieci secondi, poi diedi il cessate il fuoco.
Ordinatamente, vidi Wunsche uscire fuori alla testa dei suoi uomini, fucile in spalla e bandiera bianca al posto di quella nazi, marciando
allineati in fila per due .
Qualcuno zoppicava. Qualcuno era bendato.
Si fermarono di colpo all'ordine dell'ufficiale.
Mi avvicinai con il sergente Redman ed un'altra mezza dozzina di uomini.
«Tenente Liebgott, abbiamo esaurito le munizioni. Il regolamento militare mi impone di non sacrificare inutilmente vite tedesche se non possiamo combattere. Le offro la resa del mio reparto.»
«Resa accettata. Redman, si faccia consegnare le armi dagli uomini del capitano Wunsche e portateli via.»
Poi mi avvicinai fino a che il bordo del mio elmetto non fu quasi a contatto di quello del Tedesco.
«Wunsche, lei parla inglese. Non me lo aveva detto prima.»
«Lei non me lo ha chiesto.»
«Lei è un figlio di puttana, lo sa?»
«Grazie tenente Liebgott. Devo ricordarle che le sono superiore di grado?»
«Non mi piace essere preso per il culo da un nazista.»
«Abbiamo preso per il culo Roosevelt e Hitler oggi. Ma abbiamo salvato vite.»
Aveva ragione.
«Nel rapporto metterò che si è adoperato per evitare conseguenze peggiori.»
«La ringrazio. E buon gefiltefisch, Liebgott.»
Di Wunsche seppi notizie molti anni più tardi.
Faceva il farmacista a Monaco di Baviera ma suonava ancora in concerti di musica classica nelle scuole.
Suo figlio era ingegnere e, a tempo perso, guida nell'ex campo di concentramento di Dachau, illustrando gli orrori del nazismo.
Restammo in contatto fino a che , nel 1998, morì stroncato da un brutto male.
Hermann, il figlio, mi spedì una cassetta dalla Germania.
Quando l'aprii c'erano diverse fotografie, tra cui una attrasse la mia attenzione: era in bianco e nero e ritraeva un giovane ufficiale delle Waffen-SS con una bandiera bianca fuori del muro di cinta di una fattoria in Francia.
Era presa da dietro. Qualcuno l'aveva scattata quel giorno in cui c'eravamo incontrati pronti a spararci addosso l'un l'altro.
La voltai e dietro, in tedesco, una scritta:


8 juni 1944 - Die seltsamste Schlacht des Krieges.
 

La più strana battaglia della guerra.

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