lunedì 17 luglio 2017

INEDITO: Il Terzo Bacio


Quando uscii dal bar ero completamente ubriaco.
In genere non bevo mai, ma la tristezza a volte ti travolge. Ed allora puoi vedere l'alcool come l'ultima spiaggia.
Non te la fa passare.
Ma il torpore che sopravviene se non altro ti impedisce di pensare.
Avevo avuto almeno il buon senso di non bere da solo.
O meglio: ero da solo, ma in un locale, un'osteria appena fuori il paesino dove abito, tra Spoleto e Foligno.
Uno di quei posti dove la vita sembra passare sempre uguale e la natura non ha scordato il ritmo delle stagioni.
Uno di quei posti dove non succede niente e le persone sono sempre quelle e ci si conosce tutti.
Il mio problema è che avevo conosciuto una persona del paesino vicino. E mi ero innamorato perso.
E sembrava che anche lei lo fosse di me.
Poi, senza alcun preavviso, proprio la sera in cui una delle tasche della giacca era appesantita da una piccola scatolina foderata in raso e contenente un piccolo anello con un diamante, lei mi aveva detto che se ne andava. E che tra noi era tutto finito.
Mi ero fatto spiegare meglio, perchè non riuscivo a credere che una cosa bella potesse finire così.
Non riuscivo a credere che quella dolce creatura, che mi stava tra le braccia senza sforzo per quanto era piccola e delicata, quanto morbida e sensuale, non riuscisse a vedere quello che avevo dentro.
Ma lei parlò. E mi resi conto che lo vedeva benissimo. Gli dispiaceva pure che io soffrissi tanto, lei non avrebbe mai voluto. Certo. Ma gliene importava fino ad un certo punto. Perchè in realtà lei era innamorata ancora di un certo Rick, uno sciupafemmine inglese conosciuto l'anno prima a Londra, durante una vacanza alla pari. Lui se l'era scopata, l'aveva illusa e poi era sparito. Qualche settimana fa Rick s'era rifatto vivo e lei aveva scoperto che io ero semplicemente stato un riempitivo in mezzo ad una pausa. C'era Rick. E solo Rick. E tanti saluti.
Non avevo fatto scene, non sono il tipo. Mi ero alzato e le avevo detto che non volevo vederla più nemmeno fotografata.
Era di sera, perchè le proposte serie si fanno dopo una bella cena. Che non c'era mai stata, perchè lei aveva almeno avuto la decenza di dirmelo prima di ordinare.
Ero uscito dal ristorante barcollando, come se qualcuno continuasse a tempestarmi di pugni la testa.
E poi ero andato al ponte all'entrata del paese di lei (in Umbria ce ne sono mille mila di vallate e di ponti così...) ed avevo guardato di sotto, con la scatolina in mano.
Lontano dalle luci del paese, in fondo alla valle scoscesa che lo divideva dalla provinciale, il fiume scorreva nero e veloce, ancora gonfio di acque per l'arrivo della primavera.
Avevo gli occhi che mi pizzicavano per le lacrime che non volevano uscire ed un dolore al petto indicibile, come se qualcuno me lo stesse strizzando usando delle tenaglie.
C'era solo una domanda: perchè? E l'assoluta necessità di far finire quello strazio.
Avevo preso la scatolina e poi, con rabbia, l'avevo gettata oltre il parapetto.
L'avevo seguita con lo sguardo fino a dove l'oscurità me lo aveva consentito. E con tanta voglia di seguirla.
Morte. Pace.
Cosa ci voleva a farlo?
Era scattata l'attrazione-orrore per il vuoto.
Mi chiamava. E più mi chiamava più il dolore al petto ed il turbinio di pensieri nella mente mi sembravano intollerabili e che solo un silenzio eterno vi avrebbe posto fine.
"Non ho il coraggio..." bisbigliai.
Ma in qualche modo quell'agonia doveva finire.
Fu così che rientrai in paese e presi l'auto. Non badavo a come guidavo, ma vista l'ora tarda, non misi in pericolo nessuno. Non volevo vedere volti noti, non volevo che qualcuno mi domandasse perchè.
Scelsi un'altro paese, più a valle e più grande.
Guidai fino a che vidi l'indicazione "S. 3 km".
Immediatamente dopo la luce dei radi lampioni parve perdere vigore e sulla destra apparvero le mura bianche e scrostate di un cimitero, poco prima dell'entrata di S.
Aveva l'aria di essere abbandonato da anni. Conoscevo il paese e sapevo che quando qualcuno moriva veniva seppellito a Foligno, non li. Si diceva che il cimitero fosse pieno e che non ci fosse più posto da almeno venti anni.
Ero andato all'Osteria del Poggio ed avevo provato a mangiare. Ma il dolore e la rabbia me lo avevano impedito. Riuscivo solo a bere. Ed avevo bevuto. Un bel po'.
Vino bianco dell'Umbria ben fresco. Poi rosso. Alla fine mi ero fatto cinque bicchieri di grappa.
E l'oste mi aveva detto che non me ne avrebbe dato più.
"Giovinotto, sei conciato per bene. Credo sia ora che tu levi le tende. Hai l'auto?"
"Si..."
"Allora ti servo un caffè ed aspetti almeno un'oretta prima di tornare a casa. E guida piano."
"Tanto i Carabinieri se mi fermano la multa me la fanno uguale. Non va via dal sangue in un ora quello che ho bevuto stasera" biascicai.
"Ed allora dormi in macchina. Sempre meglio che crepare no? Qui la strada fa un sacco di curve, strada di montagna. Ci vuole poco per ritrovarsi a valle per direttissima. Ti preparo il caffè."
"Tu non mi prepari nessun caffè del cazzo..."
"Modera il linguaggio, moretto..."
"Quanto ti devo?"
"Ti sei scolato almeno 50 euro di roba..."
"Ecco, tieni. E tieniti il tuo caffè"
"Quello è gratis. Io te lo faccio lo stesso, non voglio averti sulla coscienza."
"La coscienza è affar mio."
L'oste fece spallucce e preparò il caffè. Mise la tazzina fumante davanti a me e quando odorai l'odore intenso per poco non vomitai sul bancone.
Misi la banconota sul piano e me ne andai barcollando.
Uscii fuori che aveva appena iniziato a piovere.
L'auto la trovai subito. Impiegai di più ad uscire dal parcheggio ed imboccare la strada del ritorno.
Appena fuori accelerai. Veniva giù acqua a secchiate, rendendo difficile vedere nella notte ad un sobrio, figuriamoci a me.
"Che tempo di merda... dovrei rallentare... sennò..." borbottai.
I fari tagliavano la notte e piccole lame luminose attraversavano l'aria rimbalzando sull'asfalto e riflettendo fastidiosamente la luce.
Superai il cimitero che avevo visto all'entrata, e che ora era alla mia sinistra e feci la curva dove c'era il cartello "S. 3 km".
Una figura bianca mi attraversò la strada.
Frenai di colpo e l'auto proseguì dritta per un paio di metri sull'asfalto reso viscido dalla pioggia.
Si intraversò leggermente e poi finalmente si fermò.
Avevo schiacciato freno e frizione, ma il motore si spense ugualmente.
Rimasi sbigottito a guardare oltre il parabrezza.
A meno di due metri dal mio paraurti c'era una ragazza vestita di bianco che mi fissava, gli occhi sbarrati, e la bocca aperta per lo spavento.
Misi il freno a mano e le quattro frecce.
Uscii fuori dall'auto sentendomi colpevole.
Lei invece era furiosa.
"Sei un pezzo d'idiota! Potevi mettermi sotto! Ma come guidi? Sei ubriaco?"
Era fradicia, la camicia bianca splendeva sotto i fari e cominciava ad appiccicarglisi addosso, la gonna blu a pois bianchi era ridotta ad un cencio. Teneva la borsa in mano agitandola come un'arma, mentre continuava a dirmene di tutti i colori.
«Mi... mi dispiace!"
"Hai bevuto, di? Ma fai sempre così?"
«N... no ti giuro è la prima volta che mi ubriaco così."
"Dovrebbero toglierti la patente..."
"Hai ragione, ma tu sei sbucata fuori dal nulla! Che ci fai in giro con la pioggia ed a quest'ra di notte? Questa provinciale non è uno dei posti più sicuri del mondo per passeggiare, eh?"
"Ma che vuoi avere anche ragione?" ringhiò lei.
«No no, ma davvero mi sei sbucata da davanti?"
Sembrò calmarsi per un attimo.
"Mi dispiace. Cosa ti è successo?"
"Mollata dal fidanzato. Uno stronzo."
Allargai le braccia.
"Benvenuta nel club..."
Al senso di colpa si aggiunsero le staffilate delle gocce di pioggia fredde sul viso e sui vestiti.
"Non mi dire che..."
"Si. Anche io. Mollato. Proprio questa sera."
"Magari avevi anche l'anello in tasca?"
Rimasi interdetto.
«C... Come?"
"Eh... Lui me lo aveva promesso. Invece mi ha dato il benservito. 'Sto bastardo."
"Senti... forse è il caso che sali in auto. Dove abiti? Ti do uno strappo. Sei conciata da strizzare."
Si mise a ridere. Aveva una risata gradevole.
"Hai ragione. È che ero così infuriata che sono uscita così come ero. Ed ha iniziato a piovere. Piove sempre sul bagnato."
"Ti fidi?"
"Non hai la faccia del maniaco. E poi io meno, mio caro."
"Va bene, sali in auto..."
"Si ma guido io. Tu raddrizzeresti le curve."
"Dove abiti?"
"A sei chilometri da qui. Una frazione di S."
"No io..."
Lei si avvicinò e la vidi meglio in viso.
Mora, dal viso grazioso, gli occhi blu che risplendevano anche al buio. Le labbra erano un fiore, anche se forse per il freddo avevano perso colore.
«Tu non guidi! Non voglio che ti ammazzi. Dai. Guido io andiamo a casa mia, ti prendi un caffè e poi quando sei in condizione te ne vai dove vuoi. Ma la strada ora è chiusa. Bisogna tornare indietro."
"C... cosa?"
Non mi aveva risposto, mi era passata accanto ed era salita al posto di guida.
Aveva abbassato il finestrino e poi, in tono canzonatorio mi aveva chiamato.
"Sali o no? L'auto è tua!"
Avevo fatto il giro ed ero salito dalla parte del passeggero.
Ci sapeva fare, aveva fatto inversione ad U e poi era riscesa verso S.
Quando eravamo passati davanti al cimitero lo aveva indicato.
"Volevi finire là, vero? Brutto scemo."
"No no io..."
"Ma va, che hai una faccia! L'alcool e la tristezza te l'hanno disfatta. E si che sei anche carino!"
"Uff... io... "
"Lo sai che l'ultima persona ad essere stata seppellita li è morta in un incidente stradale? Ma un posto in un loculo per in pazzi come te ti si trova."
"Io non voglio finire in un loculo!" protestai.
Lei rise e scosse la testa mentre entravamo nel paese.
Era stranamente deserto, e non era nemmeno mezzanotte.
Non c'era anima viva per strada, mentre la pioggia cadeva scrosciante.
Le insegne splendevano, mentre l'osteria del Poggio la spense proprio nel momento in cui gli passavamo davanti.
"Ah vedo che Marte ha fretta questa sera. E non ha nemmeno una moglie in fregola..."
"Ma come parli?"
"Zitto zitto, che qui tutti sanno gli affari di tutti."
Uscimmo dal paese e ridiventò buio, nonostante le luci sbiadite dei lampioni.
"Mi chiamo Caterina. Tu?"
"Francesco."
"E perchè volevi morire?"
"Eh? io..."
"Dai che ti si legge in faccia. Non sei uno che si sbronza abitualmente."
"No infatti."
"Noi donne possiamo essere molto stronze. Quasi quanto voi uomini."
Restai in silenzio.
"Come è successo?" domandò Caterina.
"Avevo l'anello di fidanzamento in tasca. Avevi indovinato. E lei aveva un altro in testa."
"Oddio... che brutto... Quanto tempo siete stati insieme?"
"Oh, un anno. Per me era una cosa seria e sembrava che lo fosse anche per lei.... invece."
Lei annuì.
"Valle a capire le persone. Uno, o una, è pronto per dare tutto. Ed è proprio in quel momento che quell'altro di quello che hai da dare non sa che farsene."
"Amen..." risposi.
Entrammo nella frazione di S. e lei non si fermò. La attraversammo e Caterina girò su una salitella. Sentii la ghiaia scricchiolare sotto le ruote.
C'era una grossa quercia e poi si apriva un'aia dove un casolare di campagna, addossato alla parete della montagna, si ergeva silenzioso.
Era tutto illuminato all'interno, come se stessero dando una festa.
Le imposte erano aperte, le finestre chiuse, ma in ogni stanza c'era una luce.
"Ma sono matti? La luce si paga! Qui arriva una bolletta da togliere il fiato!" borbottò Caterina. Parcheggiò sotto la quercia spense l'auto e mi diede le chiavi.
"Vieni."
Non aveva preso chiavi per entrare. Erano già nella toppa. Cosa che non si vedeva più almeno dagli anni 60 dalle mie parti.
"Papà? Mamma?" aveva gridato.
Nessuna risposta.
"Non ci sono mai" aveva soffiato spazientita.
"Prima o poi torneranno."
"Se sono andati a Foligno dormono li. C'è la casa di mia nonna. Solo non capisco perchè sia tutto acceso. Non sono normali i miei."
Mi aveva aperto la cucina. E fu come saltare in una macchina del tempo.
Dal lampadario in vetro modellato con una sola lampadina, il tavolo di formica come la cucina, vecchio stile, ed i fuochi a legna... era tutto così datato. Ma al tempo stesso nuovo.
Le smaltature della cucina economica erano perfette, come se non fossero mai state usate.
"Ma i tuoi collezionano modernariato?" avevo chiesto.
"Ma che ne so. Comprano quello che gli garba di più. Ora siediti che spengo le luci e porto un paio di asciugamani. Sono fradicia fin nelle ossa."
Era uscita dalla cucina e l'avevo sentita borbottare e camminare nella casa per cinque minuti buoni.
Poi era arrivata con due asciugamani e me ne aveva dato uno.
"La testa, sennò ti becchi un malanno."
L'asciugamano era nuovo, morbido, e odorava di sapone di marsiglia.
"Metto su qualcosa di caldo. Ti va un té?"
"Sto rabbrividendo. Anche l'acqua andrebbe va bene."
Caterina si era girata.
Il tempo di passare l'asciugamano sul viso, e quando l'avevo tolto il fuoco aveva preso vita nella cucinotta economica.
Una teiera smaltata piena d'acqua era sulla piastra.
Un tepore delizioso cominciò a diffondersi
"Ho sempre freddo" aveva detto Caterina.
"Sei freddolosa? Ed allora perchè te ne vai in giro vestita così leggera?"
"Perchè sono una scema. Il vestito buono mi ero messa. Per un deficiente che manco mi voleva."
La guardai.
Non aveva la mia età, poco meno di trent'anni, ma appariva molto più giovane. Ed era veramente attraente.
"Caterina, non è per dire... ma il tuo ex è un cretino davvero. Lasciarsi scappare una come te."
"Sono bella? Non mi offendo. Ne penso che ci stai provando. Ma sii sincero."
"Lo sei."
"Grazie... sento che sei sincero" disse lei.
"Perchè ti ha mollata?"
"Per una di città. Di Roma. Una ragazza di quelle con la puzza sotto al naso. Mica una di paese come me."
"E che hanno quelle di paese che non va? Io mi ero innamorato di una di paese... e me la sarei voluta tenere per sempre."
Caterina finì di passarsi l'asciugamano sulla testa.
"Per sempre è una parola orribile. Tu non sai quanto sia lungo un per sempre, Francesco."
"Ma l'amore è bello quando dura per sempre..."
"L'amore non dura per sempre. Te ed io siamo la prova, no? Mollati tutti e due."
Rise.
"Io lo vorrei trovare" mormorai.
Allungò una mano e prese la mia.
Aveva le mani lisce come la seta, delicate.
"Te lo auguro. Per me è ormai tardi" disse.
Si voltò. Aveva delle movenze da gatta, non stava mai ferma.
Si alzò, prese due tazze di porcellana, ci mise due cucchiai di zucchero in ciascuna e poi il colino. Prese del te e ne buttò tre cucchiai nella teiera. La tolse dal fuoco e la lasciò in infusione.
"Due minuti ed è pronto."
Mi prese di nuovo le mani.
"Sono passati vero?" domandò.
Sussultai.
"Cosa?"
"I brutti pensieri."
"Tu che ne sai."
"Oh io li conosco bene. Non prendermi in giro. Dove pensavi di farlo? Volevi raddrizzare qualche tornante? Oppure al ponte di M., più su?"
Non risposi.
"Ah" proseguì lei "Allora era il ponte, vero? Che cazzata, Francesco. La vita... può essere matrigna. Ma può essere anche tanto bella" disse Caterina ammorbidendo la "b" di "bella" come facciamo noi Umbri.
"In questo momento è una merda."
"Ne troverai un'altra. Succede sempre. Sei giovane, mica sei vecchio bacucco! E poi sei carino."
"Continui a ripeterlo. Ma scommetto che se te lo chiedessi non mi baceresti."
"Io non bacio gli sconosciuti" replicò lei secca.
"Lo vedi?"
"Non me lo hai chiesto, però."
Sorrisi.
"Mi baceresti?" mormorai.
Lei si sporse. La bocca aveva ripreso colore.
Non fu un bacio lungo. Anzi. Furono solo le sue labbra animate da un'infinita dolcezza che sfiorarono le mie.
Ma in quel momento scattò qualcosa.
Qualcosa che ripose la tristezza in un angolo.
Sarebbe tornata, ma meno forte. E si era accesa una luce dove prima in me c'era solo dolore e buio.
Caterina si staccò.
"Non lo facevo più da tanto. Baciare qualcuno, dico."
Scosse la testa.
"Non lo faccio mai se non mi piace qualcuno. E tu mi piaci Francesco. Hai il cuore buono."
"Sei pazza. Ma sei bella."
Mi guardò. Ed ora era lei quella avvolta dalla tristezza.
"Non sono pazza. Ma non faccio per te. Cercatene un'altra."
"Perchè?"
Si alzò e versò il té attraverso il colino. Mescolò lo zucchero e mi porse la tazza.
“Tieni questo ti riscalderà."
Il té era ottimo. Ne bevvi piccoli sorsi, perchè era bollente. Ma mi rimise al mondo. I brividi di freddo cessarono quasi subito.
"Perchè non farsti per me?" chiesi dopo un po'.
"Accontentati di quello che ti ho detto. Finisci il té. E poi vai a casa."
Guardai l'orologio. Anche quello era un pezzo d'epoca, in plastica beige con la scritta di una pubblicità di un caffè importato da una ditta italiana e grosse lancette in metallo dorato.
Le due. Il tempo passava in fretta. E la notte stava finendo.
"Non ti capisco. Prima mi dici che ti piaccio, mi baci, poi mi dici che non faccio per te? Che storia è questa?"
"Io ti ho solo aiutato, Francesco. E tu hai aiutato me. E questo è tutto. Sei meno triste, vero?"
"Si."
"E la stupida idea di suicidarti ti è passata."
"Giusto."
"Questo è quanto."
"Ma se tu volessi... mi rivedresti?" chiesi speranzoso. Avevo ancora la sensazione delle sue labbra sulle mie.
"Non è questione di volere. É questione di potere. Ed io non posso. Credimi."
Mi sentii improvvisamente a disagio e la corrente che c'era tra me e lei si era interrotta.
Ero stanco e cominciavo ad avere sonno.
Desiderai di dormire.
Bevvi un grosso sorso di te e mi sentii rianimato.
"Suppongo che sia ora di andare..."
"Penso di si. Francesco, io ti ospiterei volentieri. Ma non ho posto... "
"Magari in camera tua... " insinuai ridacchiando.
La risposta mi lasciò di stucco.
"Se potessi ti farei dormire con me. Ma non sarebbe riposare. Ora vai. Prima che i tuoi si domandino dove sei finito. Dovevi essere a casa ore fa" disse lei con un tono serio che non ammetteva repliche.
Mi accompagnò alla porta, la aprì. Poi, proprio prima che io uscissi nel buio, mi diede un bacio sulla guancia.
"Vai Francesco. E ricordati: ce ne sono tante. Puoi ancora essere felice."
Mi sfiorai il viso dove lei lo aveva toccato con le labbra morbide.
"Sto meglio. Non temere. Ci vediamo?"
"Buonanotte Francesco" disse lei, e chiuse la porta.
Non pioveva più. Guardai la casa, e quando l'ultima luce alla finestra si spense, entrai in auto e mi avviai.

Appena uscito da S. mi fermarono i Carabinieri. Intravvidi il cappello con la copertura catarifrangente e la paletta che si agitava nella notte come se fosse un pupazzo voodoo.
"Che succede?" dissi fermandosi mentre il militare si accostava dal mio lato.
"É franato un pezzo di strada e si è portato via tutto il guard rail."
"Io abito a F. più su. Come faccio a tornare a casa?"
"Deve avere pazienza. Ora si procede a senso alternato. Fino a che non arriva l'ANAS è così. La pioggia di stanotte, sa."
Aggrottai le sopracciglia.
"Quando è succcesso?"
"Circa due ore fa. Senza preavviso."
L'appuntato si voltò. Il brigadiere lo chiamava.
"Va bene brigadiere! Ho capito."
Si rivolse di nuovo a me.
"La strada è aperta su un senso solo. Accosti a sinistra e guidi piano."
Imboccai la provinciale e cambiai corsia.
Vidi la voragine che si era aperta: mancava metà corsia destra. E riconobbi il posto. Era dove avevo incontrato Caterina.
"Lo vedi tu il destino?" mormorai tra me e me "Se non avessi incontrato lei e non mi fossi fermato mi sarebbe franata la strada sotto i piedi. Sono fortunato!"
Mi ripromisi il giorno dopo di raccontarlo alla mia nuova amica.
Raggiunsi casa dopo un'ora e sprofondai in un sonno senza sogni.

Quando riscesi la provinciale, verso mezzogiorno, l'ANAS era già arrivato. Dovetti fare la fila davanti ad un semaforo provvisorio che permetteva, ogni cinque minuti, il traffico sull'unica corsia rimasta agibile.
Arrivato ad M. lo oltrepassai e poi cercai il viottolo di strada bianca che avevo visto la sera prima.
Lo imboccai ma quando arrivai in cima mi ritrovai di fronte ad un casolare in rovina. Il tetto era sfondato, le imposte erano divelte, l'intonaco era scrostato.
Ero rimasto cinque minuti buoni a guardare la casa e mi convinsi di aver sbagliato a svoltare. Succede quando fai la strada di notte e guida qualcun'altro.
Fu quando mi rimisi in auto e invertii la marcia sull'aia in dissesto che frenai di colpo.
Davanti a me c'era una poderosa quercia. Ed era identica a quella che avevo visto la notte prima.
Non ci sono due alberi uguali.
E quella pianta era inconfondibile.
Spensi il motore ed azionai gli occhi della memoria.
Guardai la casa. E riconobbi alcune cose: uno spigolo, la posizione del colmo del tetto, la posizione delle finestre, ora occhiaie vuote e spente.
La casa era quella. Dove avevo speso una buona parte della notte.
La cosa non aveva senso.
Ma qualcuno in paese doveva sapere.
Mi venne in mente l'oste dell'osteria al Poggio. Era abbastanza vecchio per ricordare cose ed arguto per captare le chiacchiere di paese.
Risalii verso S. e mi fermai all'osteria.
Era aperta.
L'oste mi vide e mi sorrise sarcastico.
"Se vuoi da bere non te lo do."
"Vorrei il caffè di ieri sera. E farti un paio di domande" dissi.
In realtà non sapevo proprio da che parte cominciare senza essere preso per pazzo.
L'oste annuì.
"Si ma ora il caffè lo paghi."
"Non c'è problema."
Quando mi venne innanzi con la tazzina lo fermai.
"Senti, scusami per ieri sera, ma ero completamente ubriaco."
"Me ne sono accorto."
"Eh... solo che ho sbagliato strada ed invece di imboccare per S. ho preso per M. e sono sceso fino alla frazione."
"Non distingui più l'alto dal basso?"
"Non proprio. Sai dove mi sono ritrovato? davanti al casolare diroccato, quello appena fuori la frazione di M. Dove c'è una enorme quercia. PEnsa che alla fine ero talmente stanco e fatto che ho dormito li."
L'oste aveva smesso di pulire i bicchieri e mi guardava.
Poi parlò lentamente.
"Tu non eri solo ubriaco allora. Tu sei matto da legare."
"Perchè?"
"Ma tu lo sai chi abitava quel posto?"
"No."
"La famiglia Cenci. Quella casa è disabitata dagli anni '60."
Mi venne un brivido lungo la schiena.
"Ah... " dissi con una esclamazione strozzata "E... come mai?"
"Da quando si suicidò la figlia. Per amore."
"Caterina?" osai dire e per poco non gridai il nome.
"Oh santa pace..." gemette l'oste.
Si guardò attorno.
L'osteria era deserta in quel momento.
"Vieni con me" disse l'uomo posando un bicchiere.
Prese le chiavi e bloccò un vecchietto che stava per entrare.
"Gigi torno subito, devo accompagnare questo giovane un attimo."
Gigi protestò vivacemente.
"C'ho la gola secca, Marte... "
"Torno subito, ti ho detto!"
"Va bene, va bene, non ti devi arrabbiare però!"
"E chi si arrabbia?" disse Marte l'oste.
"Vieni" disse ancora rivolto a me.

La foto era li, in bianco e nero. Ed anche il nome: Caterina Cenci, classe 1946, deceduta un giorno di primavera del 1963.
"L'hai vista, vero? Era lei?" chiese Marte.
Annuii.
"Si. Sono anche stato nella sua casa ieri notte. Mi ha... cioè non so nemmeno cosa sia successo, Marte... "
Marte rimase in silenzio.
"Ne parlarono tutti in paese. Si suicidò a 18 anni per una delusione amorosa. Era bella come il sole. Allegra. Io me a ricordo. Avevo dieci anni e mia madre andava a fare le pulizie dai Cenci. E me n'ero innamorato anche io. Come un bambino si può innamorare di una signorina bella e fatta. La adoravo. Divenne triste ad un tratto. Poi un giorno arrivò la notizia. Si era gettata dal ponte di F."
"Io ieri sera venivo da li."
"Sei di quelle parti?"
Annuii.
"Che successe poi?"
"I genitori chiusero tutto e se ne andarono dalla nonna di Caterina..."
"... che abitava a Foligno, giusto?"
Marte annuì. Non provò nemmeno a chiedermi come sapevo.
"Si. Non sono mai più tornati e la casa è andata in malora."
Mi guardò e tornò a domandare.
"Tu l'hai vista, vero?"
"Si. Abbiamo parlato. E ora capisco il perchè" risposi "Mi ha salvato la vita. Volevo farla finita."
"Per una delusione d'amore?" chiese Marte.
"Per una delusione d'amore."
"Cosa ti ha detto?"
"Di voltare pagina. Di cercarmene un'altra. Che c'è chi mi merita. E mi ha dato un bacio. Due volte. Come sai che era lei?"
"A parte la casa, non è la prima volta che appare. In genere vicino al cimitero. Ed a persone che ne avevano bisogno. É successo due o tre volte da quando è morta. Come era vestita?"
"Camicia bianca, gonna ampia blu a pois bianchi... "
"Il vestito di quando l'hanno seppellita. Tutte le descrizioni identiche" mormorò Marte.
"Ascolta" disse rivolgendosi a me "Giovane dalle retta. Cercati un'altra che non ti maltratti il cuore. Lei ha ragione. Non esiste una sola donna perfetta nella vita. Non fare come me..."
"In che senso?" chiesi.
Marte sospirò.
"Io sono ancora quel bambino innamorato di dieci anni. E non mi sono più sposato perchè volevo una come lei. Mi sono intestardito. E ora sono solo. Ma tu sei giovane. Puoi ancora scegliere. Dalle retta. Sennò la rivedrai molto presto."
Ebbi paura.
"In che senso? Come lo sai che potrei rivederla presto?"
Marte deglutì.
"Perchè l'ho vista anche io. Mi disse le stesse cose. E non le diedi retta. Per quello non ho voluto mai nessuna, perchè come lei non ce ne sono. Mi diede due baci. Mi disse 'Marte, Marte, il mondo è bello e grande. Perchè non ti togli me dalla testa e ti guardi attorno?' ed aggiunse che l'avrei rivista il giorno della mia morte, mi avrebbe baciato una terza volta e che mi avrebbe accompagnato lei dal Padreterno, probabilmente arrabbiato perchè avevo sprecato la mia vita."
"Ho baciato un fantasma..." dissi.
"Capita. E questa volta è stato un fantasma gentile. Non sempre sono così. Ce ne sono di quelli che la morte ha reso pazzi e che godono a far diventare pazzo anche te."
Guardai la foto di Caterina, che mi sorrideva dalla lapide.
"Grazie, Marte. Ora devo andare".
"Francesco. Quando vuoi... passa. Un caffè gratis te l'offro sempre volentieri."
Annuìì.
"Accadrà."
Mentre tornavo a casa mi domandai chi fosse a guidare veramente la scorsa notte. Che io fossi al posto del passeggero era una cosa che mi rifiutavo di mettere in dubbio. Sarei impazzito. E Caterina non era quel tipo di... beh quel tipo li.
Come fare per tirare avanti?
Aggrappandomi allo straordinario evento che era accaduto.
Ogni volta che la tristezza mi attaccava, ripensavo alla bellezza ed alla gentilezza di Caterina.
Fino a che, un giorno, la tristezza se ne andò via. E lasciò il posto al ricordo sbiadito di quella notte.
E quando le cose ripresero il loro corso nel mio cuore, il consiglio di della mia amica notturna si materializzò.
Non trovai l'amore, fu l'amore a trovare me. E riuscii a consegnare finalmente quell'anello, e la mia lei disse di si. E diventò l'amore della mia vita.
E sono sicuro che quando Caterina verrà per darmi il terzo bacio, mi domanderà se sia stato bello e  come sia stata la mia vita. E vorrà sapere tutto per filo e per segno, per farsi raccontare come sia quello che lei non ha mai avuto.

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