lunedì 27 marzo 2017

Inedito: Morte Blu


Il motore ronza regolarmente e il cielo è pulito.
É mattina e l’aria è talmente calma che non si avvertono nemmeno le turbolenze. Potrei togliere le mani dalla cloche e dormire, e lui continuerebbe a volare, portandomi dove vuole.
Quando è così, volare è un piacere. Vorrei farlo per divertimento, non in queste circostanze.
Guardo leggermente in alto, a sinistra, e vedo l’aereo del mio leader: un Supermarine Spitfire Mk II del 611.mo Squadron. Identico al mio. Non devo distrarmi, anche se questo è un volo di addestramento.

Gli Spit nuovi sono arrivati da poco, a rimpiazzare Hurricane ma sopratutto i vecchi Spit Mark I, che avevano un sacco di problemi nel contrastare i Messerschmitt 109 dei crauti, e il tenente Cotts mi ha portato a fare un giro per prenderci confidenza.
Lui è un veterano, si è formato sui Gobbi, gli Hawker Hurricane. Si è fatto la prima parte della Battaglia d’Inghilterra sugli Spit Mark I. Ed è sopravvissuto.
Io sono passato direttamente dall’addestramento sui biplani a quello su macchine avanzate, come l’Hurricane, ma poi mi hanno assegnato al 611.mo direttamente. Sono uno dei primi del mio corso, e quelli che hanno la stoffa li mandano nei reparti con gli Spit.
Non mi devo distrarre.
Tenere la distanza giusta e la posizione giusta, leggermente di lato a destra del mio leader, per coprire gli angoli ciechi. 200 metri, ne più ne meno, e fare da “specchio” alle sue manovre.
Il 109 è un buon aereo. Motore Daimler, alimentazione pressurizzata, cannone da 20 mm e quattro mitragliatrici da otto millimetri. Basta un solo colpo di cannone per fare a pezzi il tuo aereo. Io devo badare che nessuno possa mettersi in coda a Cotts e prendere comodamente la mira mentre lui è intento a tirare giù un Tedesco.
E devo essere i suoi occhi. Un lavoro da gregario. Non cerco gloria. Sono qui essenzialmente per due motivi: volare con il più bel caccia che esista al mondo e difendere il mio paese dai nazi.
L’Europa non c’è più. Sopravvivono pochi paesi ancora liberi dal dominio tedesco: Spagna, Svizzera. L’Unione Sovietica. Polonia, Danimarca, Norvegia, Belgio, Olanda, Francia... un elenco impressionante di paesi sono caduti, sono stati conquistati.
Cotts vira dolcemente a sinistra ed io lo seguo. Ora siamo sul mare. A destra c’è l’Inghilterra, con le scogliere bianche che scendono nelle acque scure. A sinistra La Manica. Una linea scura all’orizzonte: La Francia. Il Continente che serve da piattaforma ai nostri nemici.
Siamo soli. Combattiamo da soli. Come possiamo. Abbiamo paura che possano sbarcare, anche se la Royal Navy tiene ancora i mari e impedisce azioni di commando tedesche sul suolo britannico. Per invaderci devono prima conquistare il dominio dell’aria. E qui entriamo in gioco noi, i piloti della RAF.
Ce ne sono di tutte le nazionalità: Americani, Francesi, Polacchi, Canadesi, Australiani. Ma il nerbo dell’aviazione britannica siamo noi nativi dell’Isola. Mai stato cosi contento che la Gran Bretagna sia tale. Se fossimo stati uniti al continente probabilmente a Piccadilly Circus ora si parlerebbe tedesco e la guerra in Europa sarebbe finita.
Riguardo i parametri di volo: quota seimila metri, ossigeno ok, due terzi di potenza, passo dell’elica per la velocità di crociera. Le temperature sono a posto, anche se a questa quota fa freddo. Lo avverto sulla parte scoperta del viso, perché il resto del corpo è coperto da giaccone foderato di pelliccia, come foderati sono i guanti e gli scarponi.
Volare è stupendo. Quando sono decollato questa mattina, era l’alba. Sentire il motore che prende i giri,  le temperature salire e stabilizzarsi. Poi allinearsi sulla pista e dare motore. É stato un decollo perfetto, ci siamo staccati dall’erba nello stesso momento. Il tonfo dei carrelli che rientrano nelle ali e il fruscio dell’aria che ci si attorciglia contro che sparisce.
Lo Spit diventa una creatura viva, scattante, agile. Saetta nel cielo e mentre prendi quota, senza perdere la formazione con il tuo leader, vedi la campagna del tuo paese passare sotto di te. Campi coltivati, con la terra scura e grassa. Le case dai tetti rossi e bruni che si fanno piccole mano a mano che sali. Il verde dei boschi a perdita d’occhio.
Tutto è lontano e vicino ad un tempo. A volte ho la sensazione che potrei aprire la capottina, allungare una mano e afferrare una casa od un cottage di una fattoria e spostarlo, come si fa sui modellini che usiamo per studiare le foto della ricognizione.
Volare mi da la sensazione di essere libero. Sono in cielo, non devo camminare. La pesantezza è a terra. Per scappare da una minaccia dovrei correre, nascondermi in un fosso, in una cunetta. Qui mi basta dare manetta e agire sui comandi. E istantaneamente sono da un’altra parte. Quando si vola non c’è solo destra e sinistra. C’è il sopra ed il sotto.
Non esistono fiumi ad arrestare il passo. Ci voli sopra. I ponti interrotti non sono un problema. Li oltrepassi. Le montagne più alte sono ossa con un manto bruno e verde adagiato sopra, che scorrono sotto di te. I boschi più impenetrabili dall’alto sono poco più di insignificanti cespugli.
Non invidio i fanti. Quando combattono sono nel fango, nel caldo, nel fragore. Quando finiscono di combattere, il fragore cessa, ma rimangono sempre prigionieri dello stesso ambiente, nel fango e nel caldo. Se piove, se la prendono tutta. E se bombardano, non possono fare altro che attendere la morte come topi.
Il fronte, per noi piloti, è il cielo. Ed è una cosa che non mi piace. Perché l’ho sempre considerato un elemento puro, da non contaminare con la follia sanguinosa che si combatte a terra. Ma la guerra cambia tante cose. Ed allora anche il cielo diventa trincea.
Con la differenza, ed è li che il fante è avvantaggiato, che non sai mai dove è il nemico. Non c'è un fronte definito  Può essere sopra, sotto, a destra, a sinistra. È come se il fante vedesse spuntare chi lo vuole uccidere dalle viscere della terra o, improvvisamente, dal cielo, baionetta inastata e armi spianate.
Ma una volta finito di massacrarsi in cielo, se si è sopravvissuti, si torna alla base.
E non è come andare nelle retrovie per la fanteria.
Non c’è il fango, non ci sono le grida dei feriti.
C’è la pista, che ridiventa silenziosa dopo che hai tagliato il motore e sei nella tua piazzola. C’è  il vento che ti ha seguito, e spazzola l’erba sotto le tue ali. C’è il meccanico che ti saluta e ti chiede cosa è successo e comincia a revisionare il tuo aereo. C’è l’incontro con gli amici, gli altri piloti. Quelli che ce l’hanno fatta a tornare. C’è il racconto di cosa è successo, delle azioni mirabolanti, del pericolo scampato, le scartoffie da riempire. E Cotts, che ordina birra e suona al piano del piccolo bar e spaccio dell’aeroporto. Il piano è da accordare, ma si riesce lo stesso, la sera, a suonare canzoni come You Made Me Care, di Bert Ambrose e la sua orchestra, o There's A Boy Coming Home On Leave, di Flanagan & Allen. Ma a volte si suona anche altra roba. Quando si è malinconici e si sente di più la mancanza di casa. Cosa che per me, Scozzese stanziato a sud dalla RAF, è particolarmente vera. Cotts allora intona con il piano Lilì Marlene, una canzone crucca.
So anche le parole in tedesco. L’abbiamo suonata talmente tante volte che le ho imparate.

Vor der Kaserne,
 Vor dem großen Tor,
 Stand eine Laterne.
 Und steht sie noch davor,
 So woll’n wir uns da wieder seh’n,
 Bei der Laterne wollen wir steh’n
 Wie einst, Lili Marleen.
 Wie einst, Lili Marleen.


Dove è il mio lampione lo so. Ad Edimburgo. Ed anche chi voglio rivedere. Anche se lei non sa nemmeno che esisto.
Una cascata di capelli rossi, un viso con una spruzzata di lentiggini, sotto il tam-o-shanter. Ed una bocca dalle labbra piene e rosa che ancora non ho baciato.
Emily.
Meglio non pensarci. Ho ventitré anni ed una aspettativa di vita in combattimento di meno di una settimana.
Questo pensiero mi fa concentrare su quello che ho attorno. Guardo in basso. E ad un certo punto vedo dei puntini muoversi velocemente sul mare.
Contemporaneamente sento la voce di Cotts nelle cuffie: “Bill, banditi ore due, 5000 metri diretti verso nord-est. Li vedi?»
«Li vedo tenente. Cosa facciamo?» domando.
Il nemico. Non era previsto. Non avrebbero dovuto trovarsi qui. Questo era un cazzo di volo di addestramento, non una pattuglia.
«Avviso la difesa. E poi andiamo a dargli una ripassata.»
«Roger, tenente, la seguo.»
Non ho per niente voglia  di combattere. Ho voglia di volare. Volare. Non uccidere. Ma i crucchi sono diretti verso qualche città del mio paese. E ci scommetto che quelli sono bombardieri. Siamo più vicini ed ai puntini neri sono spuntate le ali.
Una dozzina di Heinkel 111 con scorta di Me110.
Non sono un problema ne l’uno ne l’altro. Ma se ci sono anche i 109 di scorta Cotts ed io siamo morti. Siamo solo due. Non era previsto.
Ho una paura fottuta. Non c’è l’esaltazione del combattimento. Ma se quei maledetti intendono bombardare una città inglese, farò di tutto per fermarli.
Il cuore mi batte a mille, mentre sento Cotts che parla con il comando. Tutta la RAF del maledetto Kent ora è in allarme. Tra poco saranno a tiro della contraerea ed un’intero squadrone sta decollando da Biggin Hill, dove sono gli Hurricane, per intercettare i nazi.
Cotts mi parla di nuovo.
«Diamogli una spolverata, vecchio mio. Non ci hanno visti.»
«Quale puntiamo, tenente?»
«L’ultimo bombardiere in coda alla formazione. Andiamo giù.»
«Ci sono!» rispondo.
Ora, con lo Spit non è che spingi la cloche in avanti e picchi semplicemente. C’è un piccolo problemino con il carburatore, per cui devi rollare e picchiare, per mantenere g positivi. In questo modo la benzina continua ad affluire nel carburatore. I Tedeschi non hanno di questi problemi, invece. Se provochi g negativi, il motore dello Spit si spegne. Questi del 611.mo hanno un dispositivo che blocca il carburatore in caso di g negativi e mantengono una riserva di benzina in modo che il carburante continui ad arrivare, fino a che non sei uscito dalla manovra con g negativi. Ma perché rischiare? Tolgo leggermente potenza, cloche leggermente a destra, pedale destro e poi richiamo leggermente. Le manovre sui comandi sono impercettibili, perché lo Spit risponde subito. Poi ridò motore e stabilizzo i giri dell’elica.
Andiamo giù in picchiata, angolati a 45 gradi. Ed ho il cuore che mi batte all’impazzata nel petto.
Il mare scorre sotto di noi, mentre le sagome degli He111 si fanno sempre più grandi.
Cotts è davanti a me. Prende distanza. Guardo la velocità sull’anemometro. Non posso superare la velocità massima. Ho ancora margine e cerco di tenergli dietro. L’aereo vibra leggermente.
Ci avviciniamo, Cristo, ci avviciniamo. Vedo le croci nere sulle fusoliere, il mitragliere nella postazione vetrata. La MG si muove. Una fila di traccianti parte.
Cotts è arrivato a trecento metri ed apre il fuoco. Siamo in combattimento. Sento il crepitio delle otto Vickers del suo Spit e le file di traccianti che solcano l’aria. Il pilota tedesco sta cercando di virare e picchiare, per acquistare velocità e sfuggire. Il problema è che lui è lento e pesante e noi veloci ed agili. Cotts corregge e punta verso l’ala, un bersaglio più grande. Spara brevi raffiche ed i traccianti raggiungono la fusoliera e poi l’ala. Per un attimo sembra che non succeda niente. Poi uno sbuffo di fumo dal motore destro.
Mi guardo attorno e vedo che un paio di Me110 hanno fatto dietro front e stanno venendoci velocemente incontro.
«Cotts! Banditi! Due Me110 ore 12!»
»Ricevuto! Voglio mandare giù il figlio di puttana crucco!»
L’He111 ora manovra male. Un animale ferito. Il pilota sta cercando di fare una virata di centottanta gradi per tornare verso la Francia. Il motore destro fuma sempre di più.
«Cotts!» urlo. Poi divento calmo. Rallenta tutto. La paura diventa una cosa distante. Non mi scuote più.
La tattica ora è darsela a gambe velocemente.
«Via! Via! Via! Velocità! Ci pensano quelli degli Hurricane!» urla di rimando Cotts.
Iniziamo la seconda picchiata, più dolce, e la potenza è al cento per cento. Acquistare velocità.  Mi ripeto che al di sotto dei 3000 metri il mio Spit gira su una moneta e i 110 invece no. Guardo nello specchietto: non vedo niente.
4000 metri... 3500... 3000... la velocità aumenta.
«Livella, Bill! E diamo un’occhiata se i crucchi ci sono dietro!» mi dice Cotts per radio.
Ora facciamo una virata stretta. Possiamo manovrare meglio dei Tedeschi.
Puntiamo la direzione da dove siamo venuti.
I due Me110 sono scesi ma meno di noi. Una lingua di fumo segna il cielo e si abbassa. Al termine c’è un He111 con un’ala in fiamme che si sta lentamente abbassando sul mare.
Il nostro rateo di salita è migliore del loro.
«Saliamo, Bill! Saliamo! Recuperiamo quota, livelliamo a 4500!» mi urla Cotts via radio.
Lo seguo ancora. Ora il motore Merlin ruggisce, ma le vibrazioni, più forti, rimangono dolci. Lo Spit sembra fatto di un pezzo solo.
Anche gli Me110 dei crucchi stanno provando a risalire. Ma meno velocemente di noi.
Uno mi punta e spara, da sotto. Mi  manca di trecento metri. Mi muovo troppo in fretta e sono troppo alto. E lui ha perso parecchia velocità.
Continuiamo a salire... 3500... 3750... 4000... ma quanto ci mette... 4250... 4500...  livello, tenendomi a 200 metri a destra di Cotts.
Gli Me110 desistono e vanno in picchiata. L’unico modo che hanno per riguadagnare energia e velocità e mettere distanza tra noi e loro. Perderanno quota ma l’alternativa è vedersela con noi due: un esperto pilota della RAF ed un novellino. Io.
La paura non c’è più. C’è l’esaltazione per essere ancora vivo.
Cotts si fa vivo per radio.
«Andiamo a vedere dove sono ammarati i Tedeschi!»
La formazione dei nazi è lontana. Non è più roba nostra, a meno che i ragazzi di Biggin Hill non ci chiamino per farsi dare una mano. I due Me110 stanno cercando di riunirsi al resto della scorta per gli Heinkel.
Il combattimento è finito. E sono ancora vivo.
Cotts si abbassa e si porta a mille metri soltanto. E poi lo vedo anche io.
La coda dell’Heinkel è sollevata sul pelo dell’acqua., il fumo non c’è più. La cabina è già sommersa e ci sono degli uomini che faticosamente stanno guadagnando l’esterno del bombardiere, con i loro giubbotti di salvataggio gialli.
È Agosto ed è una bella giornata. Li conto. Escono in tre. Ci abbassiamo a soli 200 metri e togliamo motore. Giriamo in tondo sul relitto.
I Tedeschi ci guardano. Uno si affretta ad aprire il suo canotto di salvataggio ed a salirci sopra. Cotts batte le ali ed io rimango allibito nel vedere che i Tedeschi agitano le mani in segno di saluto.
Un momento fa erano i nemici, ora perché quel gesto? Poi capisco. Un giorno potrebbe toccare a lui essere in quell’acqua gelida. O a me. Un aviatore senza ali, abbattuto da un nemico.
Il lavoro è stato fatto, un bombardiere in meno che andrà a portare morte sulle mie città. Non serve accanirsi. Ci combattiamo. Ma forse anche a loro piace volare come piace a Cotts ed a me. E non vorrebbero trasformare il cielo in terra di nessuno.
Facciamo un paio di giri, fino a che non vediamo i canotti ballonzolare sulle onde. Una vedetta con le insegne della Kriegsmarine si sta avvicinando rapidamente.
Poi la coda dell’Heinkel si alza maestosamente. E inesorablmente l’aereo scompare nei flutti. Ci sono due corpi a bordo, l’equipaggio di un bombardiere tedesco di quel tipo è composto da cinque persone. E solo tre sono fuori.

Il silenzio avvolge l’aereo non appena taglio il motore, la capottina aperta. Apro anche il piccolo sportello laterale che a sinistra facilita l’accesso alla snella fusoliera. Cotts è già sceso e si avvicina.
«Devi pagare da bere, Bill. Hai avuto il tuo battesimo del fuoco.»
Scuoto la testa.
«No ho sparato un colpo, tenente.»
«Hai rischiato la vita, vecchio mio. E poi ora basta con i gradi. Mi chiamo Tom.»
Annuisco e comincio ad alzarmi per scendere. Mi rendo conto che sono stato graziato. E che ho aiutato Cotts a spedire due persone che nemmeno conosco in fondo alla Manica. Due che volavano. Come me.
La morte è cosi impersonale quando sei in cielo. Spari all’aereo non a delle persone. L’aereo cade, va a fuoco, si schianta. Realizzi solo dopo che a bordo ci sono esseri umani. Che amano il cielo come lo ami tu. Perché in volo ci va solo una razza speciale di persone. Che cerca le ali che la natura non gli ha dato ma che loro sentono di possedere. Ali invisibili.
Sono uscito vivo dal mio primo combattimento. E sono sfacciatamente contento.
Vengo a sapere che il gruppo è stato intercettato dagli Hurricane di Biggin Hill e che non è riuscito a raggiungere l’obiettivo. Hanno perso tre caccia Bf110 e altri cinque bombardieri He111. Una giornata storta per Göring. Noi abbiamo perso due Hurricane, però. Uno dei piloti si è salvato lanciandosi con il paracadute. Dell’altro non se ne sa niente.
Io odio lanciarmi con il paracadute. Non so cosa succederà quando e se sarò costretto a farlo. Sei impotente, sei in balia del vento, degli elementi. Non puoi fare niente tranne aspettare l’impatto dei tuoi piedi sul suolo.
Scendo a terra. Il paracadute chiuso mi ballonzola sul sedere. Non è come quando sono seduto nella fusoliera del mio caccia. Tutto mi costa fatica: muovermi, girarmi, parlare. Solo pensare è rimasto uguale. Ma mentre piloto le cose sono facili, il pensiero si traduce in azione immediata, a terra non è così. A terra diventa tutto così terribilmente lento, goffo. Pesante.
Ma sono vivo. E devo pagare da bere a tutti, perché ho avuto il mio primo combattimento.
La Morte Blu mi ha risparmiato, per ora. E c’è ancora tanto da fare. Siamo ad Agosto. E i Tedeschi continuano ad arrivare. A seminare morte. Oggi è lunedì. Se arriverò vivo a lunedì prossimo avrò superato la mia aspettativa di vita come pilota della RAF.
E forse, un giorno, rivedrò Emily.

1st Lt. Bill Wilson, RAF, 611.mo Sq. 10 Agosto 1940.

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