Una anticipazione del nuovo libro sulle Indagini dell'MCCIB "IL SENTIERO D'ORO"
Per i lettori in anteprima un capitolo del nuovo libro in uscita il 19 dicembre!
CAPITOLO 7
Giorno 2: A GANG OF NEW YORK
Alexi Nikonov guardò per un istante Ura
Idryx, seduta davanti al suo terminale.
«Allora? Cosa dobbiamo cercare?» disse
la Dariana.
Poi piegò la testa leggermente di lato.
«Non è il momento e tu non sei la
persona giusta, Alexi» aggiunse.
«Voi Dariani non potete leggere nel
pensiero» rispose il Russo.
«No. Ma l’empatia mi fa leggere le tue
emozioni. Compresa l’eccitazione sessuale. Dobbiamo lavorare. Altrimenti mi
cerco un altro partner.»
«Sei carina, Ura, che ci posso fare?»
«Grazie. Almeno questo è vero. Possiamo
andare avanti?»
«Allora… L’olio non è un multigrade
qualunque. È per motori a scoppio da competizione.»
Ura manipolò diversi menù fino a
visualizzare una lista di icone.
«Questi sono i produttori. Li incrocio
con i distributori di New York… ecco.»
Apparve una mappa di New York con
cinque indirizzi evidenziati.
«Mmmh… no» borbottò Nikonov
«Queste sono ditte grosse e regolari. Dobbiamo cercare qualcosa di piccolo. Un
garage, un preparatore, un’officina.»
«Possiamo cercare quali rivendite al
dettaglio si riforniscono da questi distributori.»
«Ottima idea. Possiamo vedere anche le
fatture?»
Ura annuì.
«Si. Vanno registrate tutte per lo
smaltimento e i computi dell’ERA.»
«E se qualcuno non le registra?»
«Abbiamo un problema.»
Ura manipolò ancora i simboli di
connessione logica, costruendo graficamente un algoritmo di selezione.
La schermata di risultato cambiò ancora
e la mappa di New York si punteggiò di indirizzi in evidenza.
«Sono concentrati verso la zona
portuale e fuori Manhattan, verso Richmond. Sono una miriade. Ci metteremmo
giorni per cavare un ragno dal buco» borbottò Nikonov «Chi vende armi
illegali sicuramente ha precedenti simili.»
«Possiamo incrociare ulteriormente i
dati. Vedi chi dei detentori delle licenze per l’officina o il garage ha la
fedina penale sporca. Traffico di armi?»
«Anche per rissa e droga. Sono reati
sempre collegati alle armi.»
«Davvero?» Disse Ura aggrottando le
sopracciglia.
«Fidati. Posso avere pensieri sconci
sulle tue mutandine ma ho esperienza.»
Ura raffinò l’algoritmo ed inserì i
nuovi criteri.
Gli indirizzi evidenziati furono
soltanto tre.
«Due non sono lontani, anche se
dall’altra parte della città, zona portuale. Uno è a Staten Island.»
«Ora si ragiona» disse soddisfatto
Nikonov « Chi usa SIG e olio di motore per lubrificare le armi?»
«Due gang soltanto» rispose pronta la
Dariana «Gli Irish Rose, ma sono
quasi inattivi, e i Black Beasts.
L’officina a Staten Island appartiene a membri di The Irish Rose e le due nella zona portuale a The Black Beasts.»
«Avvertiamo Sema e poi andiamo. Prendi
la pistola.»
«Vorrai dire il Sovrintendente Harna…»
disse la Dariana con aria di rimprovero.
Il Russo fece per replicare ma poi
preferì non dire niente.
Prese l’arma dal suo cassetto, una
Glock full size calibro nove, infilò il primo caricatore e la mise in fondina.
I due caricatori di riserva andarono dalla parte opposta della cintura e si
sporse dalla sommità del cubicolo.
«Sema… Abbiamo trovato qualcosa sulla
macchia.»
Sema alzò gli occhi dal terminale.
«Allora?»
«Con Ura abbiamo fatto un po’ di
ricerche incrociando i dati sull’olio, le licenze per officine e precedenti
penali e l’uso di certe armi specifiche. Sono venuti fuori tre indirizzi.
Vorrei andare a vedere di persona con Ura.»
«Perfetto. Alexi…»
«Si?»
In quel momento anche la testa di Ura
apparve oltre la parete.
«Ura non ha esperienza in scontri a fuoco.
Prudenza. È sotto la tua responsabilità»
«Me la posso cavare benissimo,
Sovrint…» cominciò Idryx.
Sema tagliò corto immediatamente.
«Ura, tranne le occasioni ufficiali,
evitiamo tutta la filastrocca con la mia qualifica, grado, nome e cognome.
Sema. Semplifica le cose quando si lavora assieme. Okay?»
«Si… Sema. Posso farcela.»
«Lo so. Ma in caso si metta male, il
comando lo prende Alexi. E su questo non ci sono discussioni.»
La Dariana annuì, poi fulminò con uno
sguardo Nikonov.
«Prendo la pistola…» mormorò.
Aprì il cassetto blindato e ne tirò
fuori una Sig Sauer calibro nove ed un caricatore di riserva.
Nikonov la guardò.
«Solo un caricatore?»
«Si. La dotazione standard, perché?»
rispose la Dariana facendo spallucce.
Il Russo sospirò.
«Stammi attaccata al culo se succede
qualcosa. Andiamo.»
I primi due luoghi, in zona portuale,
erano pieni di brutte facce. A parte le battute sugli sbirri e qualche spintone
tra maschi alfa tra Nikonov ed un paio di individui barbuti e corpulenti, non
avevano trovato niente.
Ura e Alexi arrivarono all’officina di
Staten Island, The Lyman’s Brothers Motor
Pro nel tardo pomeriggio.
Il posto era in un’area semi
abbandonata che dava sul canale che divideva l’isola dal New Jersey. Unico
accesso un lungo viale in terra battuta ed erba, non appena si abbandonava la
statale e si varcava un cancello arrugginito tenuto chiuso da una catena.
«Non ho un buon presentimento, Ura.
Controlla se hai il colpo in canna…» mormorò Nikonov.
«Perché? Io sono sicura che…»
«Se ti dico controlla, tu controlli, Idryx.
Non voglio più discutere con te di queste cose» ringhiò a bassa voce il Russo
mentre guidava per l’ultimo tratto del viale e rallentava.
Ura batté le palpebre rapidamente un
paio di volte. Percepì nettamente la paura nel Terrestre e che si stava
preparando all’azione.
Estrasse la pistola ed arretrò
leggermente il carrello otturatore. Non vide brillare l’ottone del bossolo. Si
ricordò che si erano fermati in un locale, per mangiare qualcosa lungo la
strada per Staten Island, e che lei, andando in bagno, aveva scaricato la
pistola, seguendo la procedura che le avevano insegnato a Quantico. Seduta
sulla tavoletta, i calzoni abbassati, era vulnerabile ed era il momento
perfetto per farsi sottrarre l’arma. Meglio che fosse scarica, nell’evenienza.
Aveva reinserito il caricatore ma non aveva riarmato.
«Merda…» soffiò scarrellando.
Nikonov non cambiò espressione.
«Sei un telepata?» domandò Ura mentre
l’eliauto di servizio faceva gli ultimi metri. Il viale di terra battuta terminava
in uno spiazzo con della ghiaia buttata qua e là. AI margini c’erano Un paio di
auto brillanti di vernice, forse pronte per la consegna, parecchie carcasse
arrugginite e repliche di motori del ventunesimo secolo. Alla gente piaceva
ancora sentire rombare i propulsori a carburante fossile e non i potenti motori
elettrici accoppiati ad un mini reattore a a CLT-5, puliti, silenziosi ma molto
meno affascinanti.
«Quasi. Ora ti dico cosa succede.
Scendiamo e tu mi stai dietro di un paio di metri, alla mia destra. Guardati
attorno e scegli un riparo qualsiasi. Se succede qualcosa ricorda: prima ti metti dietro quel riparo e dopo rispondi al fuoco. Morta non servi
né a me né all’MCCIB. Chiaro?» disse Nikonov parlando a bassa voce ma scandendo
le parole.
«Temi qualcosa?»
«No. Parlo cosi solo perché mi fa male
il callo al piede destro ed ho letto l’oroscopo sul Daily Federal.»
Ura non percepì l’umorismo.
«Davvero ti fa male un callo al piede?»
«Santa madre Russia… Andiamo ed occhi
aperti.»
Nikonov, uscendo dell’eliauto, spostò
il cappotto dal lato destro. Comparvero alla vista distintivo e pistola.
Un uomo, a dispetto della temperatura
non esattamente primaverile, era uscito fuori dal capannone e si appoggiava con
un fianco allo stipite. Rosso di capelli, con una folta barba che ne nascondeva
in parte i tratti, muscoloso, era tatuato sulle braccia.
Ura parlò a bassa voce.
«È ostile. Sento odio. Ed è pronto ad
agire.»
«Empatia?»
«Si.»
«Fico. Parlo io.»
Nikonov fece ancora quattro passi e si
fermò a tre metri dalla figura ferma nel vano della porta.
«Salve, siamo dell’MCCIB. Con chi
possiamo parlare?»
«Che cazzo vuoi, sbirro? Questa è
proprietà privata» rispose l’uomo tatuato.
«Solo fare un paio di
domande» disse Nikonov mettendosi la mano destra appoggiata al fianco, a
pochi centimetri dall’impugnatura della Glock.
«Ce l’hai un mandato?»
«No. Ma è un’indagine federale.»
«L’indagine federale puoi mettertela
nel culo. Sparisci tu e la tua puttana aliena.»
«Non sei gentile, mister Lyman. Tu
quale sei dei due fratelli? Quello intelligente o quello scemo?» rispose il Russo.
«Ti ho detto di andartene. A meno che
tu non voglia comprare un’auto.»
Nikonov sentì Ura mormorare dietro di
se.
«Alexi, dai un’occhiata all’auto
coperta…»
Lo sguardo di Aliksandr Nikonov si
distolse per mezzo secondo dall’uomo.
Sulla sinistra, accanto al capannone,
c’era un’auto coperta da un telo gommato.
La sagoma poteva rassomigliare ad
un’eliauto Mercedes.
In quel momento l’uomo sulla porta fece
un movimento improvviso.
Con la coda dell’occhio vide una sagoma
in movimento sull’angolo destro del capannone.
«Copertura!»
urlò Nikonov con quanto fiato aveva in corpo.
Stendere la mano sinistra in avanti,
mentre la destra andava sull’impugnatura della pistola, e gettarsi a terra, fu
un unico movimento fluido.
Ebbe la visione a tunnel. Adrenalina al
massimo.
La detonazione avvenne mentre aveva
appena finito di estrarre la Glock ed il torace impattava con il suolo. Sentì
il terriccio sfregare sulla palma della mano sinistra e infilarsi sotto le
unghie ed i pallettoni frustare l’aria qualche decina di centimetri sopra la
sua testa.
Ura era terrorizzata.
L’uomo sulla porta si era mosso
rapidamente, ma aveva visto il secondo arrivare all’angolo del capannone dalla
sua parte.
Estrasse la pistola e prima che potesse
gridare MCCIB! Siete in arresto! L’uomo
sulla porta aveva sparato con un fucile a pompa contro Alexi. Rimase un secondo
paralizzata. Non riusciva semplicemente a credere ai suoi occhi. Tutto si stava
svolgendo come se lo stesse guardando su un mediavideo.
Come gli aveva detto il Russo, mentre
avanzava verso il capannone aveva adocchiato un possibile riparo, sperando di
non usarlo mai: il cofano posteriore di una eliauto Buick tutta arruginita.
Desiderò non essere mai stata li in
quel momento.
Gli vennero in mente le parole di Alexi:
prima ti metti dietro quel riparo e dopo
rispondi al fuoco.
Le sembrò metterci un’eternità per fare
i due passi laterali necessari per raggiungere la Buick ed accucciarcisi
dietro.
Il secondo uomo aveva qualcosa in mano
e lo puntava contro Alexi, che era a terra e stava rotolando di lato con la
pistola in mano.
Il cuore le schizzò in gola.
Nikonov finì di rotolare e afferrò
saldamente la pistola in una perfetta presa a due mani.
L’uomo tatuato con la barba rossa agitò
l’arma, tenendola con la canna verso l’alto, espellendo il bossolo vuoto.
Il tempo si era dilatato. Azioni
fulminee sembravano avvenire con una lentezza esasperante.
Fece fuoco inquadrando il vano della
porta del capannone, mirando approssimativamente al centro.
Due colpi rapidi.
Ci fu una nuvola di cemento all’altezza
del torace dell’uomo tatuato. Gli occhi azzurri del suo avversario si
sbarrarono, guardandolo sorpreso.
Alexi prese fiato e cominciò a sparare
in cadenza una serie di colpi.
Poi sentì sparare dietro di lui e
contemporaneamente sentì bestemmiare.
Il Russo continuò a sparare, mantenendo
la cadenza di un colpo al secondo.
Ura cercò di mirare. Al poligono nemmeno
quando sparava alle sagome olografiche le era accaduto di avere la visione a
tunnel. Il suo collega era a terra, Alexi aveva la pistola in pugno, ma non
sapeva se era stato colpito o no. Se lei rimaneva da sola aveva la certezza che
da quel posto non sarebbe mai uscita viva.
Cercò l’equilibrio del Keer’Medun,
respirò ed apri il fuoco contro la sagoma all’angolo del capannone.
Non si accorse di aver colpito il muro
appena davanti al secondo uomo, ma lo vide ritrarsi e guardare nella sua
direzione. Sentì la Virtù Innominabile possederla per un istante. Poi
riequilibrò ancora. Prese coscienza della sua paura.
«Fanculo!» ringhiò la Dariana.
Mirò meglio che poté e cominciò a
sparare una serie di double tap
contro l’uomo che la guardava.
Nikonov vide l’uomo barbuto e tatuato
barcollare e mollare il fucile. La mano che prima impugnava l’arma fece un
tentativo di afferrare lo stipite della porta.
Qualcuno sparava da dietro alla sua
destra. Double tap rabbiosi, ma con
cadenza regolare.
L’uomo barbuto perse la presa sullo
stipite e scomparve all’interno del capannone.
Il Russo cessò il fuoco e scansionò la
scena.
Sentì Ura urlare «Cambio caricatore!»
Contò fino a cinque, poi sganciò il suo
ed inserì un caricatore nuovo nella Glock.
Nessuno sparava più.
Alexi sputò per terra e poi lentamente
assunse la posizione in ginocchio.
«Ura! Dove sei?»
«Dietro una Buick, tre metri alla tua
destra.»
«L’hai preso?»
«Non ne ho idea. Ma non c’è più nessuno
sul lato destro del capannone!»
«Avvicinati senza perdere d’occhio dove
era l’altro uomo. Dobbiamo entrare e ripulire il capannone. Ti ricordi come si
fa?»
«Si.»
«Come stai?»
«Tremo come una foglia.»
«Normale. Tremo anche io.»
Non era vero. Nikonov era calmissimo.
Ma incoraggiare la collega alla prima sparatoria era il minimo.
Sentì lo scalpiccio leggero della
Dariana dietro di sé, poi con la coda dell’occhio la vide inginocchiarsi
accanto a lui.
«Ci avviciniamo. Tu il settore a
novanta gradi a destra, io quello a novanta gradi a sinistra. Occhio alla
finestra accanto al vano di entrata. È roba tua, Idryx. Distanziati di due
metri.»
«Ci sono. Ci sono» rispose concitata
Ura.
«Via!»
Si alzarono e Ura fece una leggera deviazione,
prendendo la distanza che Alexi gli aveva detto.
Si sentì rassicurata dalle istruzioni
che il Terrestre le aveva impartito. Aveva fatto pensieri osceni sulle sue
mutandine, ma in fatto di tattica il Russo sapeva il fatto suo. E sapeva come
guidare la gente in combattimento. Era contenta di averlo come partner.
Raggiunsero il muro del capannone.
«Non appoggiartici contro. Ora coprimi
ad ore sei mentre entro» ordinò Nikonov.
«Ci sono» rispose Ura.
Alexi entrò nel capannone e si mise
immediatamente a lato. Vide subito il corpo dell’uomo tatuato con la barba e
terra, in una pozza di sangue.
Calciò via il fucile a pompa.
Il capannone non aveva ambienti
interni, tranne un piccolo ufficio, completamente vetrato, ed un bagno. La
porta era aperta.
«Ura! Entra e vai a destra!» urlò il
Russo.
La Dariana fece un’entrata da manuale,
togliendosi immediatamente dalla luce della porta. Era l’errore che invece
aveva fatto l’uomo barbuto, facilitando il compito di Nikonov quando aveva
risposto al fuoco.
Nikonov non parlò.
Indicò con due dita i suoi occhi e poi
il bagno. Poi se stesso.
Indicò ancora la Dariana e fece segno
di scivolare lungo la parete, per dargli copertura alle spalle.
Ura annuì.
Non era ancora finita.
Il Russo si buttò a terra un attimo,
come se dovesse fare le flessioni e guardò sotto le auto smontate che
occupavano un’area dell’officina. Non c’era nessuno che si nascondesse dietro
quei ripari. Si rialzò, e puntando la Glock tagliò in diagonale lo spazio fino
al bagnetto di servizio.
Era lurido, puzzava di urina umana ed
era vuoto.
Si voltò verso Ura ed indicò l’uscita
posteriore del capannone.
Ura annuì ancora.
Non appena Alexi fu vicino alla porta,
Ura abbassò la volata dell’arma a 45 gradi, pronta ad intervenire. Vide Alexi
uscire e scomparire alla vista per un paio di minuti.
Poi sentì la voce baritonale del Russo
fuori dell’uscita posteriore.
«Libero! Ura non mi sparare. Ora
entro.»
Nikonov ed il suo corpo massiccio
comparvero nel vano della porta.
«Ho trovato delle tracce di sangue.
Portano fino ad un pontile dove c’è ormeggiato un gommone.»
«È scappato?»
«No. C’è il cadavere dell’altro
fratello Lyman proprio all’inizio del pontile. L’hai fatto secco.»
Ura sentì lo stomaco ribellarsi. Uscì
fuori dell’officina e cominciò a vomitare. Continuò fino a che non ebbe più
niente nello stomaco.
Quando si rialzò si accorse che la sua
Sig aveva ancora il cane armato. L’istinto e l’addestramento le avevano fatto
tenere l’indice lontano dal grilletto. Azionò la leva abbatticane e mise l’arma
in fondina.
Si girò attorno e vide Alexi Nikonov
con il suo palmtop di servizio.
«Mandate qui la polizia locale e il
medico legale con un paio di sacchi di plastica. Si, Sema, Idryx sta bene. Ed
abbiamo fatto bingo.»
Ura mise a fuoco la scena. Alexi aveva
sollevato il telo che copriva l’auto che lei aveva visto. Era un’eliauto
Mercedes ultima serie. E la targa le era nota. Era l’auto di Richard Singh.
Sema era arrivata in volo, con la sua
eliauto di servizio, mentre il sole autunnale calava e il tramonto si riempiva
dei lampeggianti della polizia di Staten Island.
Assieme a lei, Red Stone e Tim Chang.
Alexi la vide parlottare con lo
sceriffo e varcare i nastri che delimitavano la scena del crimine assieme ai
due colleghi del DFI.
«Che è successo qui?» domandò Sema.
Nikonov raccontò per sommi capi la
sparatoria.
Sema non lo interruppe fino alla fine.
Poi annuì.
«Dove è Ura?»
«Nella mia eliauto. È scossa. Ma è
normale.»
«Chi erano i due?»
«Kyle a Earl Lyman. Dai tatuaggi
appartenevano ad una gang, The Irish Rose,
che ha procurato parecchi grattacapi alla polizia di New York fino a dieci anni
fa. Erano tre fratelli, poi uno fu ammazzato in un conflitto a fuoco con la
polizia. Loro se la cavarono senza condanne, ma scomparvero da tutte le
attività delle gang.»
«Avevano cambiato solo ramo d’affari»
disse Sema.
La Morassiana si girò attorno e guardò
i muri con i segni dei proiettili.
«Sembra un campo di battaglia…»
mormorò.
«Sparavano addosso ad Ura ed a me. Che
avrei dovuto fare? Offrirgli il te?» ribatté risentito Alexi.
Sema lo guardò diritto negli occhi.
«Hai fatto quello che dovevi fare. Vai
da Ura, adesso. Qui ci penso io.»
Alexi parve spiazzato. Poi annuì e fece
un mezzo sorriso.
«Si certo. Scusami… Credevo che… Vado»
borbottò.
Si girò e si diresse verso l’auto dove
una minuta figura femminile sembrava accasciata sul sedile anteriore del
passeggero.
«Singh ha preso qui la sua arma. Ed è
tornato qui per cambiare auto. Sapeva che la sua era troppo visibile» ragionò a
voce alta Sema.
«Credo che tu abbia ragione,
Sema» disse la voce di Red dietro di lei.
«Il problema ora è capire a bordo di
cosa Richard Sing stia fuggendo. La priorità non è catturarlo Red.»
«E quale?»
«Recuperare le informazioni che ha
rubato prima che le consegni. Quella tecnologia non deve lasciare questo pianeta.»
Red sbarrò gli occhi.
«Ma che stai dicendo, Sema?»
«Lo penso da un po’. Spremi l’eliauto
di Singh e questo immondezzaio più che puoi e dammi qualche cosa. Io devo
organizzarmi per andare al The Black Gardener Club questa sera.»
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