Non ci sono solo i Marines di Dexter Dax nei miei progetti. Mano a mano che si avvicina il finale della saga, mi sto focalizzando su altre strade da esplorare. "Il Cerchio Magico" é una saga nata da un'idea proposta da un'amica (vero Bastet?) che vorrei proprio sviluppare. Vi propongo la bozza del primo capitolo. Se vi piace, fatemelo sapere al solito indirizzo: hortenpaul@gmail.com
Capitolo 1
Esther finì di chiudere l'ultimo barattolo di conserva di mele cotogne verso l'ora di pranzo.
Aveva bollito e fatto anche quelle di cipolle dolci e di melanzane e mentuccia.
I barattoli riposavano in bel ordine sul tavolo accanto al bollitore.
Faceva
freddo sotto il tendone del furgone, ma lei si era tenuta attiva ed
infagottata nel maglione a collo alto e non aveva permesso all'inverno
di morderle il corpo.
"Nonna, ho finito!" disse con la sua voce squillante.
La donna che comparve da dietro il furgone, un vecchio Transit, era sicuramente anziana, ma l'età era indefinibile.
La pelle non era quella rugosa e vizza delle vecchie, anche se qua e la comparivano macchie scure, ma ancora liscia.
Solo
attorno agli occhi l'età aveva lasciato dei segni, ma non erano
antiestetici, come molte altre donne avrebbero potuto pensare, ma anzi
sottolineavano il taglio allungato degli occhi.
L'iride della donna era verde intenso, come quello della nipote, e sembrava che un fuoco di giada le ardesse nello sguardo.
Avvolta
in un lungo mantello di lana dai colori vivaci, sembrava una regina
decaduta, capitata li per caso, con i capelli sale e pepe trattenuti da
una lunga spilla d'argento infilata in una crocchia.
"Esther, ho i cartoni, comincio a mettere dentro i barattoli."
"Si nonna. Cosi sono pronti per domani mattina."
"Conserve fresche. Materiali di prima qualità, come sempre deve essere. Come non si fa più" disse la nonna di Esther.
Era una delle teorie della nonna di Esther.
La portava spesso la mattina, costringendola a delle alzatacce, ai mercati ortofrutticoli.
E le insegnava a scegliere.
Le
diceva come si chiamavano tutti i vegetali e la frutta, sia con il
nome volgare sia, cosa inusuale, con il nome in latino, secondo la
classificazione di Linneo.
Esther le aveva domandato molte volte il perchè, ma la nonna non le aveva mai risposto.
Tranne
una volta: "Il nome volgare cambia a seconda di dove sei. In Italia,
dove siamo ora, da regione a regione. E non staremo sempre in questo
Paese. Noi dovremo viaggiare molto. Esther. Il nome latino, invece, non
cambia mai. Ed è più preciso di quello volgare. E noi dobbiamo essere precisi."
"Noi chi?"
La nonna l'aveva guardata e poi le aveva risposto semplicemente: "Noi."
Non aveva aggiunto altro, la spiegazione era finita li.
Il mercato era in un paesino sperduto, in una vallata nel mezzo delle montagne umbre.
Erano partite da casa che le stelle erano ancora nel cielo ed il sole stentava ad illuminare l'orizzonte.
Guidava la nonna, mentre Esther le sedeva vicino.
Non avevano parlato molto, ma avevano canticchiato una canzone dalla melodia antica.
Le parole erano in una lingua che Esther non aveva mai sentito.
Aveva
cercato su Internet, digitandole cosi come le pronunciavano lei e la
nonna, ma non aveva trovato nulla, qualsiasi fosse la combinazione
delle lettere.
Il che era piuttosto strano.
Ma forse erano delle allitterazioni per ricordare delle ricette fatte con le erbe, filastrocche mnemoniche.
Anche quello era un punto su cui la nonna insisteva tantissimo con lei.
Voleva che le imparasse e le ricordasse senza sbagliare mai.
Le melodie che aveva imparato erano dodici.
A volte cambiavano le parole, ma le battute musicali erano sempre quelle, quasi cantici medievali.
Ma la nonna una volta gli aveva detto che erano ancora più antiche.
Ultimamente gliene accennava più spesso, anzi era diventato il leit motiv durante i loro spostamenti ed i giri nei mercati.
"Nonna non sei stanca? Vuoi che guidi io?"
"Tesoro, ho un po di anni, ma ho ancora energie da vendere. Piuttosto, dormi tu se vuoi"
"No nonna, ti faccio compagnia."
Esther adorava la nonna.
Del padre non ne aveva mai saputo nulla.
La
mamma di Esther, di cui aveva ereditato i tratti fini del volto a
detta della nonna, era morta quando lei aveva sei anni ed aveva ricordi
nebulosi.
Tranne il fatto che quando la mamma si era
improvvisamente ammalata, la nonna l'aveva portata a casa sua, ed aveva
percepito paura ed urgenza.
Era cresciuta con la nonna, ma non come crescono tutte le altre ragazzine.
Il giorno dopo la morte della mamma, Esther e la nonna avevano caricato tutte le loro cose sul Transit e se ne erano andate.
E
da quel giorno non si erano più fermate, cambiando casa spesso: dal
nord Italia fino a paesini sperduti della Sardegna o della Calabria.
Un
periodo avevano vissuto anche in Francia, in Alta Savoia, e quindi
Esther aveva dovuto imparare il francese per andare a scuola.
Non sapeva perchè avessero cambiato cosi spesso posto dove stare.
Ma ogni volta che lo avevano fatto era stato repentino.
Ed ogni volta aveva visto quell'espressione di paura sul volto di nonna Irina.
La
strada si snodava tortuosa, con la neve che ai lati della strada si
accumulava come un muro, ma il Transit sembrava andare per conto suo,
quasi conoscesse il percorso ed alla nonna non pesassero le lunghe ore
di guida e l'alzataccia.
Non si erano fermate per fare colazione,
ma avevano consumato una preparata dalle mani della nonna la mattina:
un thermos pieno di te aromatizzato con spezie di campo e delle fette
di torta da cui l'odore di cannella si levava fortissimo.
Era una colazione che toglieva qualsiasi stanchezza, rischiarava i sensi, rendeva leggero il cuore e pronta la mente.
Lo
spiazzo dove si teneva il mercatino era appena fuori del paese ed era
stato ripulito dalla neve la notte prima, appena fuori dalle mura in
tufo grigio.
Il loro posto era, come al solito, ai margini.
Ad
Esther sembrava ingiusto e che a lei ed alla nonna fossero sempre
riservati i posti peggiori, ai margini di dove la folla passava.
Parcheggiarono il furgone e scesero a terra.
"Anche stavolta un posto in disparte, nonna. Mai al centro, dove tutta la gente passeggia" esclamò Esther.
La nonna sorrise: "Non ti preoccupare. Verranno anche qui e compreranno."
"Ma non è un bel posto! Siamo ai bordi del parcheggio, vicino alla neve appena spalata!"
"Verranno, ti dico, piccola mia. Montiamo il banco."
Esther e la nonna Irina furono leste a montare il bancone e ad allestire in bella mostra le loro mercanzie.
Gli
oggetti, per lo più in legno con fini intarsi colorati, facevano bella
mostra di se accanto alle conserve, alle erbe medicinali nei barattoli
di vetro, formando un insieme armonico che catturava immediatamente
l'occhio.
Nonna Irina evitava la plastica il più possibile, perchè diceva che niente conservava le cose come il vetro.
La mattinata era fredda ma sorseggiando il tè aromatizzato le due donne scacciavano il freddo.
Esther
era particolarmente fiera dei suoi guanti in lana dalle dita colorate:
li aveva fatti lei ai ferri ed ogni dito aveva un colore diverso.
Per
maneggiare meglio gli oggetti ci aveva cucito con pazienza delle
strisce finissime di cuoio, che assicuravano sensibilità ed una presa
salda.
La ragazza si accorse che la nonna aveva ragione:
nonostante fosse il punto finale di passaggio del mercatino, e nemmeno
il principale, quasi tutti i passanti che arrivavano compravano
qualcosa.
Insieme alla nonna, ella ebbe un bel daffare ad
impacchettare, consigliare ed incassare soldi, facendo rapidamente i
conti per il resto.
Esther sorrideva sempre quando qualcuno si
portava via un barattolo, un mestolo, un fischietto e le altre cento
cose che avevano preparato per tutta la settimana con certosina
pazienza.
E la quasi totalità delle volte le persone ricambiavano, facendole i complimenti.
Verso mezzogiorno, sotto un sole scialbo che non riscaldava proprio niente, la nonna le disse che doveva allontanarsi.
"Ho
le mie esigenze, devo trovare un bagno, alla mia età la vescica è
piccola e fa fatica a trattenere tutto quel tè..." borbottò la donna.
"Ci penso io al bancone, nonna."
Irina si alzò dalla sedia dove era rimasta seduta fino a quel momento e fece per avviarsi.
Poi fu come se avesse fiutato qualche cosa.
Guardò il cielo e poi i lati del viale.
Esther sapeva che significava qualche cosa, ma non esattamente cosa.
La
nonna si girò e la guardò fissa negli occhi, con quella espressione
che Esther aveva imparato a leggere perfettamente e che significava che
l'anziana donna le richiedeva la massima attenzione: "Mi assento per
poco, piccola mia. Rimani pure qui ma evita il contatto fisico con
chiunque."
"Cosa?" esclamò Esther stupefatta.
"Quello che ho
detto. Ed impara a non farmi ripetere le cose due volte. Arriverà il
momento in cui non ci sarà il tempo di farlo."
Il tono di Irina non era di comando, anche se estremamente deciso. C'era una nota di paura.
Esther annuì.
"Ho capito perfettamente. Starò attenta."
L'alta figura, quasi regale, della nonna sparì tra i tendoni davanti a lei.
I bagni pubblici distavano un paio di centinaia di metri, non di più.
Esther si disse che non sarebbe successo nulla di sicuro.
Lei
rimuoveva sempre una parte dell'incasso e lo metteva all'interno di
uno scomparto segreto che lei e la nonna avevano costruito all'interno
del Transit.
I soldi erano al sicuro.
Ma sapeva che la nonna non aveva mai avuto paura che sottraessero l'incasso.
L'avvertimento, e questo lo sapeva con sconcertante chiarezza, era per lei.
All'improvviso sentì una voce di donna vicino a lei: "Bello questo mestolo, è per la minestra?"
Esther trasalì.
Non l'aveva sentita arrivare.
E questo era strano, lei aveva un udito sensibilissimo.
Ma
oltre a quello c'era anche qualcos'altro, un dono che non sapeva
spiegare esattamente, ma percepiva la presenza delle persone che si
muovevano verso di lei anche senza vederle.
Stavolta il suo dono non aveva funzionato.
La donna le sorrideva ed indossava degli occhiali scuri.
Era
vestita elegante, con un parka di lana costoso dotato di cappuccio,
calzoni in lana d'angora alla moda e scarponcini tecnici nuovi
fiammanti di marca.
I capelli rosso rame fluivano dal cappuccio tirato su.
Esther rimase un secondo a guardarla e sentì istintivamente repulsione.
Non sapeva spiegare perchè, ma non si sarebbe avvicinata per tutto l'oro del mondo.
Cerco di sorridere a sua volta, ma le venne fuori un sorriso artificiale e di circostanza, cosa assolutamente non da lei.
Si
sforzò di parlare, facendo una fatica bestiale nel pronunciare la
frase: "Salve... signora. No è per la minestra, serve per assaggiare il
sugo..."
La sconosciuta si avvicinò al bancone.
Ester notò gli anelli d'oro alle dita. Ne aveva uno per ogni dito, pollice compreso.
E sembravano tutti perfettamente politi, in oro massiccio, dalla foggia poco appariscente ma preziosissimi.
Non era esattamente il tipo di cliente che si presentava a quelle fiere.
"Non capisco come funziona, me lo mostra?"
Ad Esther le veniva istintivo voltare la testa per non guardarla.
Non
era brutta, anzi, la porzione di viso che rimaneva scoperta denunciava
belle fattezze ed una pelle bianchissima e levigata, perfetta.
Ciò nonostante qualcosa nella mente le urlava di allontanarsi senza perdere tempo.
La mano di Esther esitò e lentamente afferrò il mestolo, sul bancone.
"Ecco,
vede, mette il sugo qui" disse la ragazza indicando una estremità dove
c'era il largo cucchiaio di legno "e poi lo inclina cosi ed il sugo
scorre lungo la nervatura del manico, raffreddandosi, cosi quando
arriva all'altra estremità lo può assaggiare senza scottarsi..."
"Posso vedere meglio?"
La voce della donna era suadente, bassa, come un sibilo emesso da una pietra rovente che venga buttata nell'acqua.
"Si certo..." disse Esther esitante e porse lentamente il mestolo alla donna, tenendolo per una estremità.
La
donna afferrò il mestolo nel mezzo, le dita ad un soffio da quelle
della ragazza, che lasciò la presa come se il legno fosse una brace
accesa.
La sconosciuta le sorrise ed inclinò la testa, come fanno certi predatori quando guardano il proprio pasto ancora vivo.
Esther rabbrividì.
"Quanti anni hai, ragazza..." ora la voce era cristallo che tagliava l'aria.
"V...venti..." balbettò Esther scuotendo la testa "Ma tra tre giorni ne faccio ventuno..."
"Oh... la maggiore età!"
"N... no, ho già fatto i diciotto anni..."
"Che bei guanti che hai. Sono in vendita?" cambiò discorso improvvisamente la donna.
"Q...quali guanti?"
Ad Esther cominciava a mancarle il respiro e non riusciva a pensare più lucidamente.
Il sole già scialbo sembrava aver perso ulteriormente luce e forza.
Si rese conto vagamente che era come se la figura incappucciata davanti a se gettasse un'ombra tutto attorno.
Come se assorbisse essa stessa la luce.
Esther si ritrasse sbarrando gli occhi.
Ora era terrorizzata.
La donna fece allora un passo in avanti e cominciò a girare attorno al bancone, giocherellando con il mestolo in mano.
"Esther
digiunò tre giorni" cominciò a mormorare la donna ridendo "Per essere
ricevuta dal Re Serse ed ottenere il permesso per gli Ebrei di
difendersi il giorno del loro sterminio..."
Esther arretrò rapidamente.
Poi sentì la voce di sua nonna provenire da dietro le spalle della figura incappucciata.
La
voce di Irina non era che un mormorio, come ciottoli che rimbalzassero
sull'asfalto ancora umido del parcheggio, ma era perfettamente
udibile.
"Lasciala stare. Immediatamente. E vattene!"
La testa incappucciata si mosse di scatto, come quella di un rettile, voltandosi.
"Irina. Ci vediamo dopo tanto tempo!" rispose la donna con un tono arrogante e sicuro.
Il corpo segui con inaspettata rapidità la mossa della testa ed ora le due donne si fronteggiavano.
Esther tornò a respirare e la sensazione di terrore si attenuò fino ad un livello di paura sostenibile.
"Florentina, pensavi che sentissi la tua mancanza? Sparisci."
Ora
Esther poteva vedere la nonna: i capelli pepe e sale erano sciolti,
non trattenuti più dallo spillone, lo sguardo fiammeggiava, le pupille
dilatate.
"Hai un'età, Irina. Non dovresti agitarti cosi."
"Sparisci, maledetta. Lascia stare mia nipote o ti uccido."
"Non puoi farlo. Non di fronte a loro, violeresti tutte le regole. E poi cosa useresti? Lo spillone?"
"Te lo pianto in un occhio fino al cervello. E' d'argento, Florentina. Tu sai cosa fa l'argento a quelle come te."
Esther era sbalordita. Non aveva mai visto la nonna comportarsi in quel modo.
Florentina emise un suono orribile.
A stento Esther riconobbe la lingua delle filastrocche, ma pronunciata in un modo che la faceva sembrare una bestemmia.
"Cosa
volevi fare Florentina? Gettare una maledizione?" disse la nonna
mentre si avvicinava risolutamente alla figura incappucciata.
Lo
spillone era comparso nella mano destra, tenuto con due dita e luccicava
stranamente, come il mercurio quando un termometro si rompe.
"Oppure hai tra i tuoi anelli un castone a sorpresa con pungiglione e veleno?"
"Non ti avvicinare, Irina" la voce di Florentina diventò dura e bassa. L'incappucciata fece un passo indietro.
"Abbiamo
la stessa età, Florentina. Ma vedo che hai conservato lo splendore dei
tuoi trent'anni. Vattene. E' meglio per te" insistette minacciosa nonna
Irina "Cosa volevi fare, abominio?"
"Niente, non volevo mica
sciuparti la nipotina. Solo prendere una piccolissima goccia di
sangue..." disse Florentina continuando ad arretrare...
"Vattene..."
Lo spillone si mosse tra le due dita del di nonna Irina come se avesse una volontà propria.
Esther lo guardò affascinata ed inorridita.
Il tono di Florentina cambiò di colpo: "Non oserai!"
La
voce di Irina risuonò beffarda e decisa: "Oh si! Mettimi alla prova,
Flori, e vedrai. Vattene, te lo dico per l'ultima volta."
"Va bene. Niente sangue per oggi. Ma te ed io ci rivediamo presto, Irina."
Florentina
si voltò e si avviò rapidamente verso gli altri tendoni del mercato,
confondendosi rapidamente con il resto della folla che stava venendo
verso quella parte del parcheggio.
La luce del sole cominciò improvvisamente a splendere.
Il disco del sole era li, libero, fuori dalle nuvole.
Esther
fino a quel momento non se ne era resa conto, era come se le fosse
stata messa per lunghi momenti una cortina sugli occhi e poi fosse
stata sollevata di colpo.
"Esther. Ce ne andiamo. Subito" disse a bassa voce la nonna.
Esther sbattè le palpebre un paio di volte, stordita.
Irina
si riavvolse rapidamente i capelli nella crocchia e con un gesto
sicuro, frutto di lungo esercizio, li fermò con lo spillone.
Poi la voce si addolcì rivolgendosi nuovamente alla nipote: "Tesoro, dobbiamo andarcene. Dammi una mano a mettere via tutto"
Irina si avvicinò ed abbracciò la nipote, forte.
Il calore rientrò in Esther, ridandole la parola: "Perchè nonna? Chi era quella donna? Come sapeva il mio nome?"
Irina le prese le spalle e la guardò negli occhi, verde contro verde.
Ora il fuoco era sparito, c'era il colore dei prati dopo la pioggia, quando sono percorsi dal vento.
"Non c'è tempo ora. Ti prego, Esther. Dobbiamo andarcene. Le domande a dopo" esitò un attimo e poi mormorò "Siamo in pericolo."
La parola pericolo scosse Esther, ma comprese ed annuì: sentiva ora anche lei che per loro una porta si stava chiudendo.
Non replicò, si diresse verso il bancone, afferrò i cartoni e rapidamente cominciò a mettere i barattoli nell'imballaggio.
Dopo una dozzina di minuti la bancarella ed il tendone erano all'interno del Transit e le due donne sui sedili.
Al volante c'era nonna Irina.
Accese il furgone, ingranò la marcia e con cautela si avviò verso la statale.
I viali attorno al mercatino erano sgombri.
Mentre
le ruote mordevano la rampa che portava alla statale Irina si rivolse
alla nipote: "Hai capito ora perchè non scegliamo mai le piazzole al
centro dei mercatini?"
Esther annui: "Possiamo andarcene quando vogliamo. Ora lo so."
"Parliamo quando ci fermiano Esther. Non ora. Devo recuperare forze. Ho fatto molta fatica oggi."
"Va bene."
Poi scese il silenzio mentre il motore del Transit ronfava tranquillo, portandole lontano da quell'incontro oscuro.
L'area di servizio era tranquilla ed isolata ed offriva un buon caffè.
Esther si era fatta preparare un tè e teneva le mani sulla tazza, rabbrividendo.
La sensazione di gelo tremendo non gli era passata del tutto.
Irina gli sedeva di fronte, tranquilla, mentre sembrava riprendesse vita e colore.
Ogni tanto un'auto solitaria passava, fendendo l'aria umida e fredda con un rumore sordo.
"Nonna. Cosa voleva quella donna da me? Come faceva a sapere il mio nome?" domandò improvvisamente Esther.
Irina sospirò e poi annuì.
"Avrei dovuto dirti tutto tra tre giorni, come vogliono le regole. Ma l'arrivo di Florentina mi costringe ad anticipare."
Al nome Esther rabbrividì, come se nel nome stesso ci fosse l'origine della morsa diaccia che ancora le affliggeva il cuore.
"Anticipare cosa? Quali regole?"
Seguì un momento di silenzio, gli occhi della nonna la scrutavano con attenzione.
"Sei cosi simile a tua madre, Esther. Cosi bella. E cosi potente."
Irina sospirò di nuovo e poi pronunciò le parole lentamente: "Florentina è una strega."
Esther sbattè le palpebre un paio di volte e scosse la testa.
"Che significa?"
"Quello che ho detto. E c'è molto di più. Anche io sono una strega, come lo era tua madre, tesoro."
Esther ora aveva gli occhi sbarrati.
La nonna deve essere impazzita. Non esistono le streghe. Non è possibile.
Irina sorrise: "Oh si che possibile Esther. Noi esistiamo. Anche tu sei una di noi."
Esther
rise nervosamente: "E cosa facciamo? Pozioni magiche? Doniamo mele
avvelenate e voliamo su una scopa? A saperlo prima potevamo risparmiare
sulle spese del furgone!"
"Non mi credi, per ora. Eppure da qualche parte dentro di te sai che è vero. Fammi pensare un attimo."
Irina
guardò verso il bancone del bar: il barista non badava a loro, troppo
preso a guardare la televisione con la cronaca dell'anticipo di calcio
del sabato.
Qui non posso rischiare di mostrare nulla ad Esther. Devo trovare un'altro modo.
"Hai mai perso quando giocavi a nascondino?" domandò la nonna improvvisamente.
Esther aggrottò le sopracciglia.
"Dico sul serio" insistè Irina "Quante volte hai perso a nascondino?"
La ragazza scosse la testa.
Questa conversazione non ha senso. Come quello che è accaduto nel parcheggio.
Tuttavia sapeva che le domande della nonna avevano sempre un senso, solo che per ora gli era precluso.
Si
sforzò di pensare a quando era piccola e la risposta le venne
spontanea: "Mai. Non ho mai perso. Ma non significa nulla. Ho un udito
eccezionale, lo sai anche tu. Quando studiavo piano, in Francia, il mio
maestro diceva che avevo l'orecchio assoluto. Mi pare un'argomento un
po debole per provare che sono una strega, sempre che esistano."
La
nonna rise sommessamente con la mano davanti alla bocca: "Piccolina
mia, sei in fase di completa negazione della realtà! Sei proprio sicura
che fosse dovuto all'udito che hai, indubbiamente eccellente, il fatto
di sapere sempre dove erano nascosti i tuoi amici quando giocavate?"
"Sono sicurissima. Se avessi avuto qualche dono speciale avrei sentito anche l'arrivo di quella... "
"...Florentina.
E' una Strega Nera in cerca di energia mistica" completò la frase
Irina "Ma forse devo tentare con qualcosa di più... forte. Ed è
qualcosa che hai rimosso perchè non era piacevole."
La peluria
sulle braccia di Esther si rizzò, come se il suo corpo sapesse già di
cosa parlava sua nonna prima ancora che la sua mente fosse in grado di
richiamarlo.
Alla ragazza sembrò che il volto della nonna cambiasse improvvisamente e che gli occhi diventassero sempre più grandi.
Ebbe
la sensazione, del tutto assurda ma non per questo meno spiacevole,
che qualcuno le stesse frugando nella testa e gli tornò forte l'istinto
di scappare che l'aveva assalita quando la sconosciuta le si era
avvicinata troppo.
Poi la sensazione terminò e la nonna pronunciò solo un nome: "Benoit..."
Bella idea. Ma io non amo i fantasy, quindi non mi esprimo nel merito.
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