venerdì 29 maggio 2020

ANTEPRIMA: 1° Capitolo completo di SPACEBORNE MARINES FARAS (2° Parte)

Capitolo 1

TÈ DAL PRESIDENTE


La luce soffusa colpì senza offendere le palpebre di Dexter Dax e lui le strinse forte per un attimo, prima di socchiuderle appena.
La silhouette armoniosa di Daria si mosse per la stanza e la vide uscire dal suo campo visivo.
Riportò lo sguardo sul cuscino e vide il viso di Jeanne, immersa in un sonno profondo.
Quanto è bella mia figlia. Sono contento che assomigli più alla madre che a me.
Sorrise, sempre socchiudendo gli occhi.
Poi sbatté le palpebre e li aprì completamente.

Accarezzò i capelli biondi di Jeanne: il DNA Terrestre aveva preso il sopravvento, in quel caso, perchè era sua madre che li aveva biondi. Per il resto sua figlia aveva tutte le caratteristiche dariane: pelle olivastra e gli occhi senza sclera color verde.
Sentì qualcuno muoversi, dalla parte opposta del letto e si alzò su un gomito.
Hadi aveva preso possesso di tutto il posto della madre nel lettone.
Ormai aveva quasi sei anni. A parte gli occhi senza sclera, era più simile ad un terrestre, tranne per il colore dei capelli: neri corvini come quelli dei Dariani.
Il sonno è passato. Raggiungo Daria e l’aiuto a preparare la colazione.
Si mise seduto sul letto e decise di non infilarsi la camicia del pigiama.
Su Erya era cominciata l’estate su quell’emisfero e nella cupola il caldo era più alto di due o tre gradi rispetto all’atmosfera tossica che era all’esterno dell’immenso edificio.
Si voltò ancora un attimo per guardare i suoi figli.
Non li aveva più visti da quando era partito da Erya un anno e mezzo prima.
Da quando era cominciata la guerra su Faras.
Jeanne si era messa un dito in bocca e dormiva rannicchiata.
Hadi era disteso sulla schiena ed aveva allargato braccia e gambe in una inconscia affermazione di possesso territoriale.
La guerra.
Per un attimo pensò a tutto quello che lo attendeva quando fosse tornato.
Su Faras sarebbe stato inverno.
E sarebbe scattato l’assalto finale poco dopo.
Sentì per un momento una stanchezza enorme. Il guerriero si era messo in un angolo a guardare ed era venuto fuori il genitore.
Sentì un leggero tintinnio provenire dalla cucina, mentre Daria stava preparando la colazione.
È tutto così perfetto. Così in pace. Vorrei prolungare questo momento all’infinito. Ed invece non posso.
Si alzò in piedi a fatica e uscì dalla camera da letto.
Daria indossava la camicia da notte. E sotto nient’altro.
Dax si avvicinò e l’abbracciò da dietro, mentre lei aveva in mano i bricchi del caffè e di succo d’arancia.
«Dex… non ti basta mai? Ho perso il conto delle volte che l’abbiamo fatto, da quando sei tornato.» sussurrò lei.
Lui la baciò sul collo e poi sciolse l’abbraccio.
«È vero. L’ho perso anche io. E non è l’unica cosa che ho perso…»
Lei lo guardò piegando leggermente la testa da un lato, mentre gli passava davanti e finiva di apparecchiare.
Mi sta sondando con l’empatia. E si, farei all’amore con lei ora. Anche in piedi.
«Sei felice. E triste al tempo stesso.»
Poi si avvicinò e lo baciò rapidamente.
«Ah-ha! Il contatto fisico su Dari è una richiesta di sesso!» disse Dax.
«Ma io ho voglia quanto te. Ci sarà tempo. Devo essere ai laboratori entro un’ora. Stiamo finendo la clonazione di alcuni animali per immetterli in Cupola Two.»
«Siamo già a questo punto? Pensavo foste ancora a livello di cloni vegetali…»
«È un esperimento. E poi servono per tenere certe erbe a livello ed a concimare altre…»
Daria socchiuse gli occhi maliziosa e versò del caffè in una tazza.
«Zucchero?»
«Due cucchiaini…» rispose Dax.
Lei gli porse la tazza e lui lo sorseggiò appena, ancora fumante.
«Uhm… buono! Ma ha un profumo strano… zenzero e vaniglia assieme! Che varietà è? Non ricordo niente del genere né da Primus né dalla Terra.»
«Infatti non viene da nessuno di quei due pianeti. Quel caffè proviene da Erya. Lo coltiviamo qui, in un angolo di Cupola One» disse lei sorridendo soddisfatta.
Lui fece una espressione sbalordita.
«Il pianeta sta tornando a vivere davvero, allora.»
«È solo un primo successo. Ma sì… occorreranno ancora anni. Un decennio o più. Ma il processo ormai è avviato. Erya sta resuscitando dal mondo dei morti.»
Dax le prese la mano e la strinse forte.
«Sono immensamente orgoglioso di te, Daria.»
Lei arrossì leggermente e sorrise ancora.
«Però sei triste.»
«Lo sai benissimo perchè. Domani riparto per la Terra. E ricominciano i guai.»
Fece una breve pausa.
«Faccio fatica ad andarmene, Daria. Non vorrei proprio.»
«Ma hai un lavoro da concludere.»
«Una guerra.»
«Non può essere peggio di Odyssey» ribatté lei.
«In un certo senso si. Dipende tutto da me. E non parlo solo dell’aspetto militare.»
«La loro cultura è così aliena?»
«Cammino in continuazione sul filo del rasoio. E più vado avanti più mi rendo conto di non sapere come fare per quando la fase simmetrica della guerra sarà finita. Non è un pianeta facile. Non c’è la disciplina dei Morassiani. Non c’è l’empatia dei Dariani. Rassomiglia alla Terra di prima del secondo conflitto mondiale, ma con in più l’odio per il sesso maschile.»
«Devi approfondire. E devi conoscere. L’FSA non ti è di aiuto?»
«C’è un agente che ci sta lavorando. E sta ottenendo buoni risultati, anche se è da sola, per il momento…»
«Oh, una donna?»
«Una Morassiana. Molto in gamba. Ma non è sufficiente. Ci vorrebbe il lavoro di scienziati, antropologi, linguisti…»
«Stanno distruggendo il sistema pre-esistente per costruirne un altro diverso… basato su cosa?»
Dax sorrise e bevve un sorso di caffè. Il profumo di zenzero e vaniglia gli accarezzò le narici.
Ora è la scienziata che parla.
«L’Enneya Awa Ruhoyani, a capo della Ribellione, sta abolendo il Matriarcato. Ed altre tre Casate hanno fatto altrettanto. Ma non ho la più pallida idea di cosa andrà a sostituirlo. E non è la cosa peggiore…»
«Quello è un grosso problema per te Dex. Devi assolutamente sapere in che direzione vogliono andare. Ed assecondare la Ruhoyani. Qual’è la cosa peggiore?»
«Che non ho idea di come governarli. Io ho sempre comandato a dei soldati, ma non ho mai amministrato dei civili. Non si danno ordini a dei civili. Li devi persuadere. Ed io non sono molto bravo a fare politica.»
«Ma sei bravo ad ascoltare la gente. Per quello ti odiano nelle alte sfere. Invidiano questa tua capacità. Usala anche su Faras e riuscirai.»
«Vorrei avere la tua fiducia» disse Dax scuotendo la testa.
«Tu l’hai avuta in me quando ho cominciato questo progetto. Fai altrettanto con te stesso. Ed aiuterai un popolo a ricostruire il proprio pianeta e darsi la libertà.»
Lui abbassò la voce.
«Ora non voglio andarmene più per davvero…»
Daria lo guardò intensamente e poggiò la sua fronte su quella del marito.
Solitudine. Immensa. Quella che da il comando. Decisioni di vita o di morte. Senso di responsabilità. E gli manco più di quanto lui manchi a me. Perché io ho i nostri figli accanto. E lui invece è completamente lontano da chi ama di più.
Sentì oltre all’amore una immensa compassione per il marito.
Poi un’ombra scura e terribile passò nel cuore e glielo gelò come vento in una notte artica.
Morte. Perché percepisco questo?

… Mamma… lo sai cosa ha detto Mirnik. Papà tornerà da questa guerra. Non devi preoccuparti…
… Jeanne! Sei sveglia?…
… Non ancora. Mi manca poco mamma. Non devi avere paura per papà. Io gli voglio bene. Solo questo conta…


Poi nella mente di Daria tornò il silenzio e lei si sentì straordinariamente tranquilla.
«Ti amo, Dex. Solo questo conta» disse Daria.
Dex si era sentito improvvisamente sollevato a quelle parole. Tutto il velo pesante di  tristezza per l’imminente partenza era passato.
«Anche io. E ti sento, anche se sono a milioni di anni luce.»
Daria prese un dolce e lo addentò.
«È tardi. Mi vesto e vado al laboratorio. Ci pensi tu ai piccoli?»
Dax annuì.
«Li porto io da mio padre. Lui ci tiene ad accompagnarli a scuola.»
«Oggi è domenica qui a Cupola One. Niente scuola. Puoi portarli al parco.»
Daria diede un bacio rapido al marito.
«Mi vesto e vado. E stasera, quando torno, mi spogli tu. Ciao tesoro…»
Si alzò e sparì oltre la porte del bagno.
Intuì un movimento ai bordi del campo visivo e si girò verso la porta della camera da letto.
Jeanne era lì in piedi, con il pigiamino rosa ed i piedini nudi sul pavimento simil-legno, che lo guardava. Per un attimo a Dax parve di essere osservato da un’adulta. Poi gli occhi di sua figlia ridivennero quelli di una bambina di quattro anni che si era appena svegliata.
«Papà… » disse la piccola, e si slanciò verso di lui prima che potesse muoversi, aggrappandosi con forza alla gamba.
Lui la prese, la sollevò e la mise seduta su una gamba.
«La mia principessa vuole una ciambella?»
Jeanne scosse la testa.
«Biscotti… e caffè con il latte. Mamma fa sempre a me ed Hadi caffè con il latte. Ed i biscotti.»
«Ed allora siediti lì che ti servo il…»
«No. Voglio stare con il mio papà. Sempre» disse Jeanne con una voce mielosa.

… So che devi partire, papà. Oggi non mi terrai lontana. Poi ti lascerò andare…
… Jeanne?…
… Non ti devi spaventare papà...


Poi la voce nella testa di Dax cessò di colpo.
Seguì una sensazione di luminoso amore che lo calmò.
Non osò chiedere alla figlia se poteva leggergli nel pensiero.
Mirnik ha ragione. Jeanne ha i Doni. E deve imparare a controllarli.
Gli occhi di Jeanne erano quelli innocenti di una bambina di quattro anni standard.
E la testolina gli si strofinò sul braccio.
Dax le baciò il capo e cominciò a prepararle la colazione usando una mano sola.
«Papà?» disse una voce assonnata dietro di lui.
Dax si girò.
«Buongiorno campione. Colazione anche per te?»
Jeanne saltò giù dalle ginocchia del padre, si precipitò verso il fratello e lo prese per mano.
Lo condusse ad uno degli sgabelli e poi entrambi si sedettero ordinatamente, guardando il padre come se si aspettassero un seguito.
«Siamo pronti, papà» disse serissima.
«Arriva tutto…» disse Dax allegro.

La panchina era in mezzo al parco intitolato al 101° battaglione dei Marines, vicino ad un laghetto circondato da prati, vialetti e giovani alberi.
Le due figure, un anziano ed un uomo più giovane, dai visi straordinariamente simili, sedevano l’uno vicino all’altro, mentre due bambini, un maschio ed una femmina, dagli insoliti tratti misti giocavano rincorrendosi sulle sponde dello specchio d’acqua.
«È la prima volta che vengo qui, pa’…» mormorò la figura più giovane.
Will Dax continuò a guardare in alto, come se il lucore lattiginoso della cupola che sovrastava tutto lo avesse ipnotizzato.
«Ti fa impressione figliolo?» rispose.
Abbassò lo sguardo per un attimo, per controllare i nipoti: Jeanne e Hadi stavano giocando a lanciare dei sassi piatti sull’acqua e gareggiavano a chi gli faceva fare più rimbalzi.
Sorrise per un breve istante e poi tornò a guardare l’immensa volta artificiale.
«Sì. Perchè so la storia che c’è dietro. Non avrei mai pensato di tornare in questo luogo, un giorno. E di vederlo così diverso.»
«Non mi hai mai raccontato nulla di quello che è accaduto qui su Erya.»
«Ancora non ci riesco. Non con gli… con i civili.»
«Stavi per dire estranei, vero?»
Dax annuì.
«Sì. Scusami.»
Ci fu un momento denso di silenzio nell’atmosfera irreale, priva di qualsiasi vento, di Cupola One.
«Non c’è quasi più nessuno sopravvissuto di quei giorni. Posso parlarne con pochissime persone. Ed è difficile da spiegare, pa’…»
«Tutti quelli della tua unità…»
«Quasi tutti.»
Will annuì lentamente.
«Ti capisco se non riesci a parlarne nemmeno con me. Deve essere stato terribile.»
Dax si sentì improvvisamente a disagio.
Gli sembrò di essere tornato un adolescente incapace di rivelare qualcosa ad un adulto, per paura di risultare inadeguato.
Guardò suo padre.
È invecchiato più in fretta da quando mamma non c’è più. Non rimane molto tempo per noi.Fece uno sforzo inumano nell’articolare le parole.
E mentre le diceva sentì addosso gli sguardi di entrambi i suoi figli.
Hadi aveva aggrottato le sopracciglia ed aveva chinato impercettibilmente la testa da un lato.
Jeanne, invece, lo fissava con quello strano sguardo pieno di consapevolezza, ed annuiva lentamente.
«È la solitudine di chi è rimasto. Del nucleo originario della mia unità siamo sopravvissuti in due. E il sergente maggiore Kruger non è nemmeno più nei Marines. Ha chiesto la pensione anticipata e vive con a moglie a New Yorktown su Primus. Hanno aperto una concessionaria di eliauto PMW[1]…»
Si sentì improvvisamente rilassato come se avesse oltrepassato una barriera. Suo padre ora lo guardava attentamente.
Dax indicò un punto, su una cresta.
«Quella altura era una linea di difesa del 101° Battaglione dei Marines. Con Daria ci eravamo trasferiti da poco a Parristown quando gli Urdas attaccarono Erya e disintegrarono con una bomba termonucleare la Città dei Fantasmi. Dovetti partire con tutta la mia unità in fretta e furia. E soccorrere i superstiti di un plotone di Marines di quel battaglione. Ne trovammo ancora pochi vivi. Avevano resistito tre giorni circondati da migliaia di nemici, con ogni mezzo. Quando arrivammo, avevano finito tutte le munizioni. E si preparavano ad un ultima carica, prima di morire.»
«Cosa difendevano?» chiese suo padre.
«Non ci crederai… degli Ibridi Urdas che avevamo preso prigionieri un anno prima.»
Will scosse la testa canuta.
«La politica fa strani scherzi. Come questa nuova guerra in cui ti hanno tirato dentro fino al collo» borbottò.
«Almeno come vanno le cose? I giornali la mettono in seconda pagina, ora» aggiunse.
«Sta andando bene. Troppo bene. Abbiamo una superiorità schiacciante…» rispose secco Dexter Dax.
«Ma?…»
«Ma, cosa?»
Will Dax sorrise.
«Hai detto quella frase come se dovesse seguire un ma… sbaglio Dex?»
Dexter annuì.
«… Ma la parte peggiore deve ancora venire» rispose.
«Il dopo guerra?»
«Esatto.»
Suo padre sospirò e tornò a guardare il cielo artificiale della cupola.
«A volte i dopoguerra sono più difficili della guerra» mormorò.
Dax diede un rapido sguardo ai figli: avevano ripreso a giocare, come tutti i bambini.
Poi volse anche lui gli occhi verso l’immensa struttura.
Il bianco lattiginoso dei blocchi in plastivetro speciale, che lasciava filtrare la luce del sole, riempì il suo campo visivo.
«Il tuo com’è, pa’? Ti manca la Terra?» domandò.
Ti manca la Terra… domandargli se gli manca mia madre è stupido. Certo che gli manca.Suo padre non rispose subito.
«Immagino sempre…» cominciò all’improvviso.
«… Immagino sempre come sarà quando smantelleranno la cupola. Di Erya, prima che il pianeta venisse ucciso, avevo visto dei documentari. Poco popolato, gli abitanti non erano ostili, anche se la società era poco evoluta: al livello della Terra durante la seconda rivoluzione industriale. Ed una natura magnifica. Cieli di un azzurro freddo e denso che anche negli ologrammi sembrava di potertici tuffare dentro. E mi domando, quando avverrà, se sarà così. E so che probabilmente non lo vedrò mai.»
Dax chiuse gli occhi e strinse la mascella per la tristezza.
«… Mi manca la Terra. Ma ho te…»
«Io non ci sono quasi mai… maledizione…» mormorò Dexter.
«… Non te ne fare un cruccio. Sei il miglior padre che io abbia mai visto, quando ci sei. Ed anche quando non ci sei.»
«Stai esagerando.»
«Credi? Daria per me è come una figlia. E Hadi e Jeanne… sono la cosa più bella che io abbia avuto dalla vita, assieme a te. E parliamo spesso di te. Daria a volte ha lo stesso sguardo di questi giorni che sei qui. Mi ha confidato che potete comunicare anche a distanza. Una cosa da Dariani…»
Ci fu un grido.
Jeanne stava saltellando e urlando felice ti ho battuto! Ti ho battuto!
«Non è vero!» rispose Hadi.
«Certo che è vero!»
«Gli schizzi non contano! Contano i rimbalzi!»
Dexter fece per proferire parola ma Will lo bloccò.
«Stai a guardare…»
Jeanne aveva mostrato un sasso bello liscio e piatto al fratellino.
«Vuoi la rivincita?»
«Certo che la voglio!»
«Allora cercati un sasso bello come il mio!»
«E vinca il migliore?»
«Vinca il migliore!»
All’improvviso Jeanne e Hadi avevano fatto un goffo saluto militare e poi erano corsi via, a cercare altri sassi sulla piccola spiaggetta lacustre.
Dexter era rimasto stupito. Poi ricordò che in camera da letto c’era un suo ologramma del giuramento da ufficiale, mentre salutava allo stesso modo.
Mi imitano. Significa che mi pensano anche quando sono lontano. Sono una presenza.
«Mi credi o no, ora?»
«Si.»
«E si, mi manca la Terra. Sei stato da…»
Dax annuì.
Da mia madre al cimitero di Detroit? Certo.
«Sì. Ci sono stato.»
«Io no. Ma c’è tempo. Tutta l’eternità. Non morirò su Erya quando sarà la mia ora, figliolo. Morirò sulla Terra. E tu mi porterai lì, dove riposa tua madre.»
«Ma che discorsi…»
«Dex, prima o poi tu tornerai qui, dove c’è la tua famiglia, per sempre. E Hadi e Jeanne diventeranno grandi. Non ci sarà più bisogno di me. Quel giorno tornerò sulla Terra, sapendo di aver assolto al mio compito. La mia vita è stata piena e aver avuto te l’ha resa anche migliore. Sto mettendo da parte dei soldi, con la pensione che spetta a noi sopravvissuti. Su Erya non ho grandi spese. Morirò sotto un cielo stellato, senza questo sottile strato di plastivetro a proteggermi da una atmosfera velenosa a base di idrogeno. Morirò da Terrestre e da uomo libero. Ma manca ancora qualche annetto… quindi è inutile che fai quell’aria corrucciata.»
Will Dax scoppiò a ridere e dopo un secondo Dexter lo seguì.
«Avevo una faccia così preoccupata?» disse.
Suo padre annuì.
«Anche di più.»
Lui ridivenne improvvisamente serio.
Si era reso conto che poteva parlarne con qualcuno. Non c’era nessun civile, oltre a Daria, che avesse più diritto di sapere.
«Non è finita, papà.»
L’altro si voltò e lo guardò stringendo le palpebre, come se stesse assorbendo sapienza dallo sguardo.
«Stanno tornando?»
«Sì. Nessuno lo sa per ora. Ma esistono altri tre convogli. Erano in collegamento telepatico con quello che ha devastato la Terra. Quando abbiamo distrutto quello che era qui, gli altri hanno invertito la rotta.»
«Cristo… chi lo sa oltre a te ed a me?»
«Il governo federale. Pochissime persone delle alte sfere della Flotta Stellare, dei Marines e della Fanteria Federale. Oltre ai Nameriani.»
«Ecco perché ci hanno aiutato. E perchè ora sono dappertutto nella Federazione. Non siamo buoni amici solo perchè ci hanno aiutato. C’è qualcosa di più.»
«Ecco qualcosa che non voglio vedere. Un’altra invasione di quei bastardi con il DNA al silicio» aggiunse ringhiando a voce bassa.
«Non accadrà. Te lo prometto, papà.»
«È per questo che domani parti per la Terra?»
«No. Riguarda la guerra su Faras. Ci sono pressioni per sfruttare il pianeta da parte delle compagnie.»
«E tu cosa intendi fare?»
«Impedirlo. Non è il momento. Rischiamo che ci si rivoltino contro e di buttare tutti i sacrifici fatti ora.»
Will Dax annuì.
«Ci sono stati tanti morti tra i nostri?»
«No, grazie a Dio. Gli equipaggiamenti sono ottimi. Qualcuno. Molti meno delle guerre di tanti anni fa. E dell’ultima. Ma i Farasiani se la stanno vedendo brutta. Ci sono state pulizie etniche. Torture. Esecuzioni di massa. Vittime collaterali. La gente li sta morendo di fame, oltre che per i proiettili. Non hai idea di quanto ho dovuto darmi da fare per evitarlo.… »
«Insomma tutti gli orrori di una guerra.»
Suo padre gli mise una mano sulla spalla, ed a Dexter sembrò di essere tornato bambino.
Le parole di suo padre lo riempirono di orgoglio e spazzarono via per sempre quella sensazione assurda.
«Non permettere a quei figli di puttana di approfittarsi della povera gente. Fagli vedere chi sei.»

Partire da Erya per la Terra non era stato facile per Dax.
Aveva guadagnato qualche giorno in più evitando di fare la consueta sosta su Primus, al Quartier Generale del Corpo, ma anche quel tempo era finito.
Il viaggio interstellare aveva preso un giorno e mezzo in FTL e l’aveva programmato in modo da arrivare con ventiquattro ore d’anticipo all’appuntamento con il Presidente della Federazione Traibius Levarna.
Ma si era tenuto aggiornato tramite il suo tablet di servizio.
Aveva constatato con sollievo che i rapporti indicavano una situazione stazionaria alla frontiera con gli ennei Motani, la ricostruzione di Rya’t procedeva spedita e mano a mano che le case venivano dichiarate agibili sezioni di Camp Tara venivano chiuse e il materiale ricollocato nelle retrovie. I materiali che Dax aveva chiesto erano arrivati e il generale Monash aveva delegato alla Fanteria Federale l’addestramento delle forze Ribelli con le Exosuit. I Farasiani erano entusiasti di quelle scatole di latta: per loro era un progresso incredibile, l’unico segmento militare in cui una delle loro forze combattenti aveva tecnologia alla pari con quella della Federazione, assicurandosi un vantaggio tattico che nessuna delle forze avversarie aveva.
L’unica notizia pessima veniva da una decisione di Awa: aveva ordinato di cessare l’operazione di soccorso nei Territori Franchi del Nord ed aveva spostato i Demoni del Sahan nel nuovo quartier generale, nei pressi della città martire di Korga’t.
Del resto, dopo i picchi iniziali, i ritrovamenti dei sopravvissuti erano scesi paurosamente. Ed a nord era caduta la prima neve. Non avrebbero più trovato nessuno vivo.
Il generale Pedersen, comandante della 99° Divisione Leggera di Fanteria Federale, aveva ritirato i suoi uomini e Pershing li aveva rischierati a completare lo schieramento sul confine, ma tutti gli ospedali ed il personale medico avevano continuato generosamente la ricerca, spostando il proprio quartier generale nella base di Qunadeh, alle pendici del Sahan.
I Norvegesi erano diventati i beniamini dei Farasiani di Qunadeh e di Kaija’t, al punto che Kirana Reyani, Samar di Kaija’t, aveva nominato Pedersen ed alcuni ufficiali medici della Fanteria Federale cittadini onorari, una cosa mai accaduta prima su Faras. Ai tempi della prima invasione i Farasiani avevano sempre tenuto a marcare la distanza con la Federazione, in segno di disprezzo. I segni che le cose stessero cambiando c’erano tutti, anche se l’interrogativo che non faceva dormire Dax era sempre lo stesso: quanto sarebbe durato?
Era per quello che, in quel momento, nell’anticamera della Presidenza della Federazione.
Mentre la vita politica e l’Assemblea Federale avevano sede nel complesso che, secoli prima, ospitava il Congresso degli Stati Uniti d’America, circa trecento anni prima la Presidenza si era staccata da Washington DC, riportandosi più vicina a quello che era il vero centro nevralgico delle relazioni interstellari e federali, visto il numero di agenzie e istituzioni federali che vi sorgeva e la facilità di comunicazioni che New York, per la sua posizione, offriva con il resto del pianeta.
La Presidenza sorgeva appena fuori Albany, tra le cittadine di Rotterdam e Fort Hunter, tra le prime ad essersi spopolate completamente con la prima ondata di emigrazione verso altri pianeti.
Dax ripassò le cifre che scorrevano sul suo tablet, richieste di insediamenti Federali, ampliamenti di spazioporti e costruzioni di nuovi, collocazione delle abitazioni per il personale federale, e sospirò.
Non è fattibile. Questi sono matti. Dovrò farlo capire al Presidente.
Per un istante desiderò di aver portato Sema Harna con sé. Di sicuro l’avrebbe aiutato con il primo Presidente non terrestre della Federazione.
Una graziosa Morassiana in abito formale, un incrocio tra la moda Morassiana e quella Terrestre  uscì da una porta e si diresse verso l’alto ufficiale dei Marines.
«Generale Dax? Sono Cindy Warna, prima segretaria del Presidente Levarna. Molto piacere di conoscerla» disse tendendo la mano.
Dax gliela strinse e la presa della funzionaria fu inaspettatamente ferma e decisa.
«Piacere mio, signora Warna.»
«Mi sembra sorpreso generale. Qualcosa non va?»
«Non ricordavo che i Morassiani avessero introdotto l’uso della stretta di mano.»
L’altra rispose con un sorriso rigido.
«Oh, infatti non c’è questo uso su Moras. Ma dovendo aver a che fare con persone provenienti da diversi pianeti, ed essendo la Presidenza una rappresentanza di ciascuno di essi, la cosa più logica è salutare ciascuna specie rispettandone i costumi. Mi dispiace se questo può averle causato imbarazzo…»
Il Terrestre annuì brevemente.
Non mi hai causato imbarazzo. Hai solo marcato il fatto che si è chiusa un’epoca: il dominio della Terra nella Federazione.
«Nessun imbarazzo, signora Warna. Il suo nome è singolare, però. Non è Morassiano.»
«In realtà mi chiamo Cynthyana Warna. Ma è troppo lungo per sbrigare i rapporti correnti, per cui l’ho… come dire… Terrestrizzato. Più logico e rapido. Il mio nome completo compare solo sui documenti ufficiali. Il suo in compenso non è Terrestre…»
«Dax? Americanizzazione di un cognome francofono, la mia famiglia è immigrata negli Stati Uniti secoli fa, quando erano ancora una nazione.»
Warna ebbe ancora uno dei suoi rigidi sorrisi.
«Molto bene. Il Presidente la attende, generale. È molto contento di incontrarla. Le ha dedicato due intere ore del suo tempo. Capita raramente. Mi segua, per favore.»
Si voltò, con il suo tablet in mano e cominciò a camminare sicura e spedita verso la porta bianca dello studio del Presidente.
Dax, in uniforme formale estiva, la seguì.
Lo studio era ampio, con vari divanetti e schermi 3D a scomparsa. In quel momento FedNews Channel stava trasmettendo un servizio sugli sviluppi dell’eccidio di Korga’t. Tutti gli altri canali erano pieni di immagini di proteste e il banner sulla porzione inferiore del riquadro recitava la stessa cosa: abolizione del divieto di contante.
Dietro una scrivania in legno nero come l’inchiostro, di provenienza Morassiana, c’era un umanoide dalla pelle azzurrina ed i capelli corti e ben curati, in un completo formale di taglio tipicamente morassiano: una camicia con colletto alla coreana, un completo giacca e pantalone tono su tono. La giacca non aveva colletto ma una bordatura nera e quattro tasche.
Traibius Levarna era alto e slanciato e come vide Dax spense tutti gli schermi.
«Signor Presidente, il generale Dax» annunciò la Warna.
Il sorriso del Morassiano fu più convincente di quello della funzionaria presidenziale e Dax non poté fare a meno di notarlo.
È un politico comunque, anche se Morassiano. Deve saper fingere. Nessuno di loro sorride in quel modo così aperto. Tranne… Sema Harna!
«Ah, generale! Finalmente ci incontriamo di persona. Colui che ci ha salvato dall’invasore Urdas!» disse alzandosi in piedi e tendendo la mano.
Anche la stretta di mano di Traibius Levarna fu più convincente di quella della sua prima segretaria.
L’imbarazzo sommerse il Terrestre a quelle parole e cercò disperatamente di nasconderlo dietro un sorriso più rigido di quello di un Morassiano strettamente osservante.
«Signor Presidente è un piacere e un onore essere ammesso alla sua presenza.»
«Prego, si sieda. E visto che sono quasi le cinque del pomeriggio farò portare del tè, come d’abitudine per voi Terrestri. Ci aiuterà a parlare meglio.»
L’imbarazzo di Dax si mutò in divertimento, e questo lo aiutò a sciogliersi un po’.
Sono Americano, non Inglese. Levarna non ha colto la differenza.
Si accomodarono su un divanetto, in una situazione insolitamente confidenziale. Levarna era conosciuto per essere molto formale e rigido.
«Ho pensato di rendere omaggio alla Leggenda con un tè speciale… così la chiamano nel corpo dei Marines Spazioportati, vero?» disse con rigida soddisfazione il Morassiano.
Dax dovette trattenere il riso. Poi adottò la sua linea di sempre: essere diretto.
«Odio quel soprannome, signor Presidente.»
Levarna ebbe per un attimo un’espressione di vera sorpresa.
«Davvero? E perchè mai? Pochi possono meritare la reputazione di leggenda vivente.»
«Perché sono morte tante persone in quella guerra. E se abbiamo vinto, il merito non è solo mio.»
Levarna annuì.
«Ho letto il fascicolo della MSOC, generale. In particolare, quello che riguarda l’incursione della compagnia Delta su Erya, quando abbiamo avuto il primo contatto con gli Urdas. Lei è uno dei due sopravvissuti di quel manipolo di coraggiosi. E l’unico ancora in servizio.»
Il Terrestre ebbe un sorriso triste.
Non è uno sprovveduto, dopo tutto. Ha voluto documentarsi prima di incontrarmi.
«Non è una cosa di cui parlo volentieri, Presidente. Apprezzo il fatto che lei abbia voluto sapere. E per questo la ringrazio di cuore. Sappiamo entrambi che la resa dei conti finale è solo rimandata. Nel frattempo stiamo combattendo un’altra guerra su un altro pianeta.»
In quel momento Cindy Warna entrò con in mano un vassoio con sopra due tazze ed una teiera fumante.
Dax riconobbe la fragranza ancora prima che il Presidente della Federazione parlasse.
«Té di Par-Dak. Direttamente dall’Impero Namer, gentile omaggio dell’Imperatore. Io lo trovo fantastico, peccato che perda tutte le sue miracolose proprietà se viene coltivato sulla Terra!» disse Levarna.
«… Anche questo lo dobbiamo a lei ed alla sua spedizione su Namer, Dax. Ma di quello che accade su Faras ne parleremo dopo. Non è saggio parlare di affari prima di una tazza di tè di Par-Dak» aggiunse.
La Prima Segretaria del Presidente riempì le tazze ed uscì dalla stanza.
Al primo sorso a Dax parve di essersi appena svegliato da un lungo sonno ristoratore ed annuì soddisfatto. La meravigliosa sensazione non gli fece dimenticare la domanda che aveva in mente.
«Non sapevo che Udur Killik fosse stato su Mar-Gar…» mormorò.
«Il dono lo ha inviato direttamente l’Imperatore. Abbiamo scambiato dei saluti tramite videoconferenza in distorsione subspaziale. A quanto pare il giovane Dostun è stato su Mar-Gar, in un certo villaggio di montagna, e conosce molte cose degli usi locali» rispose Traibius Levarna.
«Namer non è un po’ lontanuccio anche per la distorsione subspaziale?»
«È vero. Anche con questa tecnologia una trasmissione ci impiegherebbe circa cinquanta anni per attraversare la via Lattea. Ma abbiamo scoperto una cosa particolare: il tunneling. In pratica spariamo le trasmissioni in distorsione subspaziale attraverso specifici wormhole stabili. E l’ultimo di questi sbuca direttamente nelle vicinanze di Namer.»
«Ma la distorsione subspaziale non funziona attraverso i wormhole.»
«È una scoperta di sei mesi fa. Gli scienziati elassiani hanno fatto un gran lavoro. Cambiando alcune frequenze quantiche e gli algoritmi di compressione. Ora possiamo comunicare a distanze inimmaginabili, persino da un estremo all’altro della galassia, in tempi ragionevoli. La tecnologia è stata condivisa con i Nameriani e i costi delle stazioni di ripetizione equamente ripartiti.»
«Come mai non ne ho letto niente da nessuna parte, nemmeno nei rapporti della Flotta Stellare?»
«A suo tempo, Dax. Per ora è la mia linea rossa con l’Imperatore.»
Dax rimase imperturbabile e sorseggiò ancora del tè.
Dentro di sé invece i pensieri cominciarono a galoppare verso una conclusione strabiliante.
Un sistema di comunicazione segreto che può coprire l’intera galassia. A cosa serve se non… per la miseria! Ci sono! La Federazione sta sviluppando una tecnologia per creare i wormhole! Era che quello provò a creare anche Ur Narkiss.
«Ovviamente la cosa è riservata.»
«Non c’era nemmeno bisogno di dirlo, Presidente. Sono abituato a mantenere i segreti.»
«Logico, nella sua posizione» rispose Levarna senza scomporsi.
Dax non smise di formulare deduzioni.
Non è un caso che me lo abbia detto. Prima o poi la Federazione mi tirerà dentro questo progetto. E il fatto che sia una joint-venture con i Nameriani significa solo una cosa: serve per lo scontro finale con gli Urdas.
Con un gesto deciso, come se una parte di un rituale fosse stata debitamente svolta, il Morassiano depose la tazza di tè sul tavolinetto e poi si rivolse di nuovo all’alto ufficiale dei Marines.
«Ora possiamo parlare. Cosa l’ha spinta a lasciare Faras per chiedermi udienza, generale?»
«Signor Presidente, vorrei usare l’approccio morassiano, diretto e senza fronzoli. Da quando l’Enneya Awa ha riconquistato la sua capitale e lo status di regnante dei suoi territori, sto ricevendo un’intollerabile pressione delle compagnie con cui sono state firmate le opzioni per tradurle in contratti operativi e cominciare lo sfruttamento di Faras. Non è il momento più opportuno.»
«Perchè?»
«Faras è una realtà complessa, era conosciuto, prima della guerra Urdas, con il soprannome di Pianeta Ribelle. La situazione che si è creata ora è a noi favorevole, ma tutto si gioca sul margini di manovra molto risicati. Un errore solo e da Corpo di Spedizione mi troverò a comandare una evacuazione completa.»
«Ho letto i rapporti, Dax. Lei sta facendo un eccellente lavoro: L’Enneya Awa ha ripreso ciò che è suo, il Matriarcato sta venendo abolito in molti regni e abbiamo instaurato, per la prima volta da quando abbiamo scoperto quel pianeta e preso contatto con gli indigeni, dei rapporti amichevoli. Ma ora lei mi dice che non vuole le compagnie mercantili della Federazione su Faras. Ho capito bene?»
«Esattamente. Almeno non per ora.»
«Mi deve dare un motivo molto serio perchè io la appoggi, Dax. Le mie decisioni non possono dipendere dalla visione di un uomo solo, anche se con una formidabile reputazione come la sua. Mi fornisca dei dati.»
Dax contrasse la mascella e cercò di radunare fatti ed idee il più possibile efficacemente.
«Signor Presidente, da quando il Corpo di Spedizione ha messo piede su Faras, un anno fa, la mia costante preoccupazione è stata quella ottenere due cose: di chiarire costantemente che la Federazione non era tornata per sottomettere i Farasiani e di non far apparire l’Enneya Awa come un nostro burattino. Durante la battaglia per la riconquista di Rya’t ho dovuto ordinare ai miei di non intervenire, se non per contenere eventuali fughe o aggiramenti da parte del Matriarcato. E questo è costato molto sangue alle forze ribelli. In questo momento siamo ben visti dalla popolazione di almeno quattro Casate, tra cui la più importante, storicamente, per Faras. Ma l’idea che noi possiamo aver corrotto Awa Ruhoyani e che in realtà stiamo spargendo il seme dell’Eresia è ancora molto forte. Far arrivare in massa le compagnie mercantili della Federazione come formiche sul miele significherebbe avallare i sospetti della popolazione e il fuoco della menzogna troverebbe facile esca. Udara Hannani e Tishi Motani sono molto abili nella loro propaganda sui timori di ritorno del Patriarcato.»
«Patriarcato?»
«Era l’ordine costituito prima che una donna Farasiana, Hany’na Ydani, organizzasse una ribellione e lo abbattesse.»
«Non abbiamo alcuna notizia di cosa fosse il Patriarcato. Vedo che, invece, lei sa molte cose. Doppiamente preziosa, quindi, questa spedizione su Faras, finalmente possiamo fare luce su una delle poche culture sottomesse dalla Federazione che ci è rimasta chiusa da sempre.»
Dax non potè trattenere un’espressione incuriosita.
Levarna sorrise rigidamente.
«Ah… si, prima di darmi alla politica la mia passione era l’antropologia. La mia tesi di laurea è stata su voi Terrestri.»
Ci fu una pausa, poi il Morassiano proseguì.
«Capisco perfettamente il suo punto, Dax. Ma c’è un problema. La situazione finanziaria della Federazione è sotto stress per diversi fattori. Il primo è la ricostruzione di ciò che è andato distrutto durante la guerra con gli Urdas. I danni, sia in vite che economici, sono stati immensi, anche se hanno coinvolto solo cinque pianeti su cinquantasette. A cui dobbiamo aggiungere le perdite dei profitti dovuti all’indipendenza di Faras, in pieno conflitto. Non tutti approvano questa guerra, la considerano uno spreco di denaro pubblico. Il secondo fattore è la ricostruzione del Corpo dei Marines ed il suo ampliamento. Se la prima parte viene caldeggiata dalla pubblica opinione, altri non sono dello stesso avviso riguardo l’incremento delle SEU ed il loro invio dall’altra parte della galassia. Non capiscono perchè siamo alleati con i Nameriani e del perchè di un impegno così duraturo ed oneroso. Infine la guerra e la parità di status da essa causata hanno fornito alla Fronda Interstellare un motivo valido per reclamare la parità su tutti gli aspetti…»
«So che ci sono delle dimostrazioni su tutti i sistemi della Federazione. Terra inclusa. Ma un anno di lontananza non mi rende facile capire» intervenne Dax.
Con sua enorme sorpresa, la frase suscitò le risa del Morassiano.
«Beh si consoli, generale, a volte rimane difficile anche a me! Tenterò di spiegarle una cosa complicata. I sistemi extraterrestri della Federazione vogliono la libertà di scegliere come spendere i propri soldi, se con transazioni elettroniche o tramite il contante, quest’ultimo a loro vietato. Tre mesi fa l’Assemblea Federale ha presentato un progetto di legge con cui avremmo vietato il contante anche sulla Terra, per mettere i sistemi tutti sullo stesso piano. Il risultato è che ora protestano anche sulla Terra.»
«Non capisco il perchè vogliano il contante ma se la popolazione della Federazione lo vuole dateglielo! In fondo abbiamo avuto ottimi risultati espandendo il diritto di portare armi per tutti e non abbiamo avuto alcuna rivolta armata, fino ad ora.»
«È sempre un problema di costi: un conto è stampare moneta affidabile per un solo pianeta, ma totalmente diverso è farlo per cinquantasette. I costi aumenteranno. Per non contare l’espansione del Dipartimento Interstellare del Tesoro, al fine di controllare emissioni e circolazione. Il che è come aggiungere olio sul fuoco. Ma alla fine non credo che potrò fare altro che concederlo. Ora veniamo a Faras: le spese per a guerra sono enormi. Devo tagliare. E lei mi deve fornire un piano per ridurre le spese belliche. È già oneroso allargare le nostre forze armate, ma averne una buona porzione in azione senza ritorni decuplica i costi. Oppure deve iniziare al più presto lo sfruttamento di Faras per cominciare ad ottenere riscontri da questa operazione. Mi aiuti, Dax.»
Dax scosse la testa.
«Non posso consentire alle compagnie mercantili di cominciare la loro opera. E non posso ridurre le mie forze ora. C’è Minia’t da conquistare. Prendere la capitale planetaria di Faras significa porre fine al Matriarcato e probabilmente alla guerra.»
«Davvero prendere Minia’t farebbe terminare il conflitto?»
«Si, signor Presidente. Per lo meno la fase simmetrica della guerra. Poi ci sarebbe la pacificazione. E prenderebbe tempo. Forse è la fase più delicata e rischiosa dell’intera faccenda.»
Traibius Levarna si lisciò il mento con due dita, accigliato in uno sforzo che denotava concentrazione estrema.
«Le opzioni firmate da Awa Ruhoyani dicono che per ora possiamo sfruttare solo i suoi territori, esatto?»
«Dovrebbe essere così.»
«E se Awa, come tutti speriamo, dovesse diventare la Matriarca?»
«Presumo che le opzioni potrebbero essere estese.»
Il Morassiano annuì.
«Di quante truppe avrebbe bisogno per proteggere gli insediamenti federali?»
«Dipende da quanti ne faranno installare i Farasiani. Faras non fa parte della Federazione.»
«Giusto. Quindi non sapremo nulla fino a che non avremo preso Minia’t.»
«Fino a che Awa Ruhoyani non l’avrà presa. E c’è un problema ulteriore…» corresse Dax.
«Quale?»
«Ci sarà un periodo di interregno. Il Matriarcato non verrà ricostituito. Awa non diventerà la Matriarca. Tuttavia potrebbe ugualmente governare sull’intero Faras.»
«Nel frattempo chi manterrà l’ordine?»
«Io. Come governatore militare.»
«Awa lo sa?»
«L’ho informata. E lo sanno anche le altre Casate Ribelli. Intendiamoci: fare politica è l’ultima cosa che voglio.»
Levarna si alzò in piedi e cominciò a passeggiare per l’ampio studio come se fosse nel parco di fronte al palazzo Presidenziale, senza fretta.
Dax non potè far altro che aspettare pazientemente per alcuni minuti.
Poi, improvvisamente, il Morassiano si fermò, si girò sui tacchi e lo guardò.
«Andremo per fasi successive» disse come se il Terrestre avesse potuto leggergli il pensiero ed avere già capito tutto.
«Prima fase: la presa di Minia’t. Manterrà le forze attuali fino alla definitiva conquista della capitale planetaria di Faras. Immediatamente dopo, con gli insediamenti federali in territorio Ruhoyani, predisporrà un piano per la guarnigione. Ma fin da ora voglio un taglio completo dell’astronaviglio da battaglia. Rimarranno solo i trasporti d’assalto, per gli sbarchi, e le navi logistiche, per i rifornimenti» aggiunse.
«Quello non è un problema. La flotta spaziale farasiana non esiste più. Ma c’è lo stesso un’esigenza per quanto riguarda gli insediamenti…»
«Quale?»
«Devo tenere conto della necessità di evacuarli.»
Levarna sembrò colpito dalle parole dell’Americano.
«Potrebbe andare così male?»
«Dobbiamo ancora capire che fine hanno fatto le Colonie che c’erano prima…» disse in tono piatto Dax.
«… E la gente che le abitava. Certo…» mormorò Levarna.
«Ha fatto delle stime?» domandò in tono più alto.
«Se dovessi basarmi sui dati delle Colonie, direi tre SEU al completo. Ed una dozzina di divisioni di Fanteria Federale. Più il personale per gestire un grosso spazioporto fuori Minia’t.»
«Non se ne parla. Questa guerra sta costando un’occhio. Potrei forse dare la metà di quello che chiede, generale, se lei assicurasse alla Federazione lo sfruttamento dell’intero pianeta.»
Dax chiuse il suo tablet e cercò di assumere un’aria più conciliante possibile.
«Non dipende da me. Dipende da chi comanderà Faras e da quanto permetterà alla Federazione di espandersi.»
«Ma nell’interregno ci sarà lei a governare. Sarà lei a decidere.»
«È proprio quello che non posso fare. Tanto vale togliere le tende ora.»
«Dax, temo di ripetermi, ma dobbiamo rientrare con gli investimenti. E la guerra, volente o nolente, lo è.»
«Signor Presidente, lei sa le condizioni accettate da Awa per le opzioni di sfruttamento?»
«Non nel dettaglio…»
«Il novanta per cento dei profitti per tredici anni. Poi le opzioni scadono.»
Levarna alzò il sopracciglio destro: fu tutto lo stupore che un Morassiano poteva mostrare.
«Non ci vogliono tra i piedi.»
«Esattamente. E dipende da noi se ci lasceranno espandere. Se forziamo ora, potremmo ottenere risultati non voluti. O drammaticamente tragici.»
«Un mancato rinnovo delle opzioni o una evacuazione.»
Dax nascose un sospiro di sollievo.
Comincia a capire. Bisogna solo prospettargli la situazione in dettaglio. Se non altro Levarna ti ascolta, a differenza degli altri politici.
Per un attimo Dax cercò di calcolare e visualizzare la distanza tra la Terra e Faras.
Tutto quello che ottenne fu una cifra invalicabile di anni luce e l’immagine del cielo notturno. Dove il sistema di Faras non era visibile nemmeno tra le stelle più fioche.
«Ancora esatto signor Presidente.»
«Ma una guerra implica ricostruzione. Evitare le vittime dovute alla crisi economica che seguirà, alla mancanza di cibo, all’agricoltura devastata, alle infrastrutture distrutte… non mi sembra che Faras sia così avanzata da poterlo fare senza il nostro aiuto. Per non parlare dei proventi per loro che deriverebbero da uno sfruttamento più razionale e avanzato con i mezzi della Federazione. Se ci limitano, come possiamo aiutarli?»
«Con un impegno graduale. Facciamo vedere che la presenza della Federazione è un vantaggio, a partire dai territori Ruhoyani. L’esempio trascina, Presidente.»
«E con una presenza militare massiccia, dopo la fase… come la chiamate voi militari?»
Dax annuì.
«La fase simmetrica…»
«Dopo la fase simmetrica di una guerra la permanenza di un ingente presidio verrebbe visto come una invasione» concluse seccamente Levarna, per poi finire con un rigido sorriso.
Il Terrestre ricambiò rigidamente a sua volta.
Mai sottovalutare la Logica di un Morassiano. Ha segnato un punto dalla sua.
«Dax, lei ed io dobbiamo conciliare le nostre opposte esigenze. Lei ha bisogno di limitare le pressioni delle compagnie commerciali. Io ho bisogno di limitare i costi del Corpo di Spedizione il prima possibile. La aiuterò se lei aiuterà me. Devo portare qualcosa in sede di Consiglio ed Assemblea Federale.»
«A quanto pare non ho scelta…» mormorò Dax.
«Ho già fatto fare una analisi dei ritorni economici per territori. Tenendo conto del solo sfruttamento degli… come li chiamano i Farasiani i territori delle Casate?»
«Ennei, signore…»
«Ah si, grazie. Tenendo conto del solo sfruttamento degli ennei Ruhoyani, tutto quello che posso dare è una SEU ed mezza dozzina di divisioni della Fanteria Federale. Più il personale per uno spazioporto fortificato, per una eventuale evacuazione.»
«Mi sembra un po’ pochino, Presidente…» rispose Dax senza celare il malcontento.
«Lei faccia firmare le espansioni delle opzioni a chi terrà le redini del pianeta e potrà ottenere di più.»
«Non è sufficiente.»
«Non ho molto margine, Dax.»
«Voglio almeno quattro SEU in stand by su Primus in caso di evacuazione. E voglio tenere la MSOC. È una unità che sa come affrontare anche la fase asimmetrica di un conflitto.»
«Se lo concedo, abbiamo un accordo?»
«Voglio scegliere io le unità della Fanteria Federale.»
«Vedo che ha preso gusto alla trattativa. Potrebbe fare il politico…» disse Levarna sorridendo più apertamente, stavolta.
«Di necessità virtù, signore. Anche se non mi piace affatto. Lei mi aiuterà a tenere lontani da Faras i mastini delle compagnie commerciali?»
«Abbiamo un accordo?»
«Abbiamo un accordo.»
Il Morassiano tese una mano.
«Sono stato in Texas ultimamente, un giro per una campagna benefica di questa amministrazione. Se un texano stringe la mano ad un altro texano vale più di un contratto scritto.»
Dax tese il braccio e strinse la mano al Presidente.
«Non sono texano, signore, sono del maledetto Michigan. Ma ho una sola parola.»
Mentre Levarna e Dax suggellavano il patto in quel modo così estemporaneo, un pensiero venne alla mente del Terrestre.
C’è un altro modo per ottenere più truppe e mettere in sicurezza gli insediamenti. Su Faras c’è stato uno sterminio di massa ai nostri danni. Farò di tutto affinchè non si ripeta.









[1] PMW = Primus Motor Werke, fondata da Coloni tedeschi ex dipendenti BMW. Fabbricano eliauto di stile teutonico direttamente su Primus.

2 commenti:

  1. Ok, esci il resto in quarantena hai avuto un sacco di tempo😅😅. Scherzi a parte, ottimo inizio. Non vedo l'ora di leggere il resto. 👍👍

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  2. Arriverà... anche se potrò cominciare a lavorarci a tempo pieno tra un paio di mesi.

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