lunedì 8 ottobre 2018

ANTEPRIMA: il CAPITOLO 2 di VENDETTA (Episodio 5)





Per chi ancora deve comprarlo, un assaggio tratto dall'ultimo romanzo sulle avventure di Sema Harna e dei Perdenti nati: tratto da VENDETTA (Episodio 5), ecco in anteprima il Secondo Capitolo.


Buona lettura.

CAPITOLO 2

GIORNO 0: DOV’È URA IDRYX?


Ura Idryx era felice. Era venerdì mattina ed era stata una settimana di lavoro insolitamente tranquilla. Solo scartoffie e un caso piuttosto semplice di furto di armi leggere in una base della Flotta Stellare appena fuori New York, risolto nel giro di due giorni.
A meno di problemi dell’ultimo momento, e di qualche grana enorme in arrivo, pregustava già il la cena di sabato con Jordan, il loro primo appuntamento.
Si erano sentiti molte volte via palmtop e lei aveva dovuto trattenersi almeno un paio di volte dall’azionare il sensore video 3D ed inviargli una sua scansione dove appariva completamente nuda. La sua empatia entrava i funzione anche al solo suono della voce di lui. E le comunicava emozioni stupende. Intense. Che fossero durature lo avrebbe stabilito solo il sesso, che la metteva in contatto profondo con il suo partner. Lo sapeva per esperienza, perchè Terrestri o Dariani, venivano tutti sondati in quel modo. E fino ad allora li aveva scartati inesorabilmente uno dopo l’altro.
Ma il fratello di Lisa prometteva molto bene. Non c’era mai stato con nessun altro questo sincronismo, questo affiatamento, questa vicinanza.
Guardò gli schermi nel vagone. Ancora due fermate per United Nations Plaza.
Lo stesso punto dove aveva visto quello strano uomo.
Si voltò. E rimase di stucco.
L’uomo era lì, in piedi, ma stavolta era senza tablet. E la fissava sorridendo.
La testa di Ura si inclinò da un lato e gli occhi azzurri senza bianco lo scandagliarono come se volessero tagliarlo in due.
L’empatia incontrò di nuovo l’anomalia. L’uomo non emanava alcuna emozione da registrare.
Era una cosa completamente innaturale. E cominciò a provare paura.
Poi reagì.
Con una mossa discreta sfiorò la giacca nel punto in cui portava la sua Sig Sauer nella fondina.
Lasciò il sostegno e si diresse decisa verso l’uomo.
Ci fu un leggero scossone.
L’altro si voltò repentinamente e cominciò ad andare verso la coda del convoglio.
C’era un po’ di ressa, molta di meno di quando New York contava oltre otto milioni di abitanti, ma sufficiente a rallentarla.
L’uomo invece cominciò a fendere la folla, urtando le persone.
Superò una donna di colore dalle forme enormi e quella protestò.
«Ehi! Bada dove vai, stronzo! Mi hai pestato i piedi!»
L’uomo non ci badò e la spinse via con un gesto deciso.
Ura registrò la rabbia della donna. Dall’uomo continuò a non arrivare nulla.
Sta scappando. Devo sapere. Perchè?
Arrivò all’altezza dell’enorme afroamericana. La Terrestre cominciò ad urlare, furiosa.
«Non può aspettare la fermata, signorina?»
Poi il tono cambiò e diventò ad un tempo arrabbiato ed impaurito.
«Oh mio Dio, un’aliena! Che intenzioni ha? Perchè insegue quell’uomo? Aiuto! Qualcuno mi aiuti!»
«Stia zitta e si faccia da parte. Sono un Agente Federale» disse Ura scostando la giacca e mostrando il distintivo olografico alla cintura. Nel farlo dovette mostrare anche i due caricatori di riserva della pistola che portava sul medesimo lato.
«È una aliena armata! Aiuto!»
L’uomo aveva allungato la distanza e lo schermo indicò che stavano per entrare in stazione.
Non devo perderlo. Sta succedendo qualcosa.
«Si faccia da parte o l’arresto per intralcio ad un agente federale.»
Un altro Terrestre, questa volta un bianco, si alzò minaccioso.
«Ehi, sei sul mio pianeta, non puoi fare come ti pare qui!»
Non ho tempo di mettermi a discutere con degli imbecilli.
Ci fu la decelerazione ed il convoglio si fermò negli spazi previsti.
Era tutto automatizzato, la metropolitana funzionava ventiquattro ore su ventiquattro e con margini di sicurezza assoluti. Non c’erano stati incidenti da anni, anche grazie alle doppie porte: quelle dei vagoni e quelle sulla banchina.
Le porte si aprirono.
Vide l’uomo uscire assieme a parte dei passeggeri.
Si girò e fece un pezzo di strada all’indietro. Imboccò la porta spintonando i passeggeri che se la prendevano comoda e quelli che volevano entrare a tutti i costi. Ce n’era sempre qualcuno, nonostante da anni la Città di New York raccomandasse di lasciar uscire i viaggiatori prima di entrare nei vagoni.
«Ma che modi!» protestò un Terrestre, un ispanico.
Ura non gli badò.
«Signorina! Ma chi si crede di essere?» insisté l’uomo.
Si sentì trattenere per un braccio.
Si girò fulmineamente ed eseguì una presa di Krav Maga sull’arto che la tratteneva e poi spinse leggermente, causando una leggera ma dolorosa iper estensione . L’uomo fece una smorfia. Ura avrebbe dovuto completare la mossa colpendo l’uomo con l’altra mano alla gola o con un calcio sui testicoli, ma ritenne che fosse abbastanza.
«Se riprovi a toccarmi ti rompo l’articolazione del gomito, hai capito? E per la cronaca hai appena aggredito un agente federale, idiota!»
Lo lasciò andare e si voltò. La banchina si andava svuotando. Vide la testa bionda del suo bersaglio sparire nel tunnel che andava all’uscita. Cominciò a correre facendo lo slalom tra i passeggeri diretti all’esterno e tra quelli che, affluendo da altri tunnel, attendevano il convoglio successivo.
Per il Keer’Medun, dove è andato?
Arrivò all’ingresso del tunnel d’uscita. Prese il palmtop e digitò fulmineamente un breve messaggio:

Alexi, lo sto inseguendo. Avverti Sema.

Poi infilò le scale, risalendo i gradini due a due. Non aveva più dubbi. L’uomo stava scappando. Restava il mistero dell’anomalia.
Arrivò al mezzanino ed avvistò il gruppo di passeggeri. L’uomo non c’era.
Alla sua destra un tunnel di servizio piegava bruscamente subito dopo l’inizio.
Da quella parte c’erano gli impianti anti incendio, quadri elettrici e scatole di derivazione che facevano parte del complesso sistema della AU-NY (Metropolitana Automatica di New York).
Imboccò il tunnel con cautela.
Quando voltò si trovò di fronte all’uomo.
L’attendeva, sorridendo.
E non era solo.
«Chi stai cercando, Agente Speciale Ura Idryx?»
La Dariana scostò la giacca per raggiungere la pistola.

Sema udì Nikonov prorompere in una esclamazione soffocata.
«Che succede, Alexi?»
«Non lo so capo, ma niente di buono.»
Sema si guardò attorno. Ura non era arrivata anche se era ancora presto per il normale orario d’ufficio.
«Ura?» domandò la Morassiana.
«Sì. Mi ha mandato un messaggio. Sembra sia sulle tracce di quello strano uomo che a suo parere la pedinava.»
Grete si sollevò dalla sua postazione.
«Non lo starà mica inseguendo da sola…» borbottò. Il tono era preoccupato.
«Cosa dice il messaggio?» incalzò Sema.
«Alexi, lo sto inseguendo. Avverti Sema» lesse il Russo.
«Orario?»
«7:47. Un minuto fa.»
«Chiamala subito…» ordinò Sema.
Nikonov ordinò al palmtop di chiamare il numero da cui proveniva il messaggio.
«Squilla… Maledizione!»
«Ora cosa c’è?» domandò l’Elassiano.
«Il palmtop di Ura è stato spento! È nei guai.»
«Oppure l’ha spento perchè non voleva essere individuata» rispose Grete Rinore.
«No. Alexi ha ragione. Ura è nei guai. Alexi, Grete, prendete l’eliauto di servizio ed andate all’ultima posizione individuata dal localizzatore del palmtop della nostra collega. E occhi aperti» insisté Sema.
«Subito» rispose Nikonov.
L’Elassiano ed il Terrestre presero dai loro cassetti blindati le pistole ed i caricatori e si avviarono al piccolo trotto verso l’uscita, sotto gli sguardi stupiti di qualche collega, attratto dall’insolita animazione.
Sema prese il palmtop di servizio e chiamò Red, al DFI.
«Ciao tesoro, cosa…» iniziò lui non appena rispose.
«Red, non ho tempo, scusami. Ho bisogno del miglior tecnico informatico che hai a disposizione. E subito» lo interruppe la Morassiana.
«Sì, certo, ma che sta succedendo? Hai un tono…»
«Ura è nei guai. Ho bisogno di rintracciare il suo palmtop e tutti gli spostamenti prima e dopo le 7:47 di oggi.»
Red rispose dopo un mezzo secondo pieno di tensione.
«C’è Martin Kunz, quello nuovo. È in gamba. Lo affido a lui immediatamente, massima priorità.»
«Grazie. Scusami ancora per la fretta. Sono solo molto preoccupata.»
«Sciocchezze, Sema. Capisco bene. Non appena ho qualcosa ti faccio sapere.»
Sema chiuse la conversazione. Il viso non tradiva la minima emozione.
Ora possiamo solo aspettare. E sperare.
Il suono del suo palmtop di servizio che squillava all’improvviso la fece sobbalzare. Lesse il nome sullo schermo: Peggy Anderson.
Rispose dopo averci pensato su un intero secondo.
«Sovrintendente Sema Harna.»
«Ciao Sema. Puoi venire qui subito?»
«Sono in piena emergenza, Sovrintendente Anderson. Non si può rimandare?»
«Ti sto chiamando proprio per quello.»
Sema rimase sorpresa. Il tono della Inglese era insolitamente teso e nervoso. Si chiese come facesse a sapere. Poi pensò che la conversazione concitata dopo il messaggio di Ura e l’uscita precipitosa di Nikonov e Rinore non fosse passata inosservata.
«Sto arrivando» rispose senza scomporsi.
Chiuse la conversazione, si alzò, si preparò psicologicamente all’ennesimo duello verbale e si diresse verso gli uffici dirigenziali.

Grete Rinore ed il Russo si ritrovarono nell’ascensore che si inabissava rapidamente verso i sotterranei del Palazzo di Vetro.
«Insieme come ai vecchi tempi, Grete.»
«La troveremo… » mormorò l’Elassiano.
Nikonov scosse la testa.
«Ho un brutto presentimento. Sbrighiamoci.»
La porta si aprì e si ritrovarono nell’interrato, all’altezza del Livello Uno.
Il palmtop di Nikonov azionò la serratura dell’eliauto aXion di servizio.
«Guido io, tu sembri l’autista di una vecchietta cardiopatica…» borbottò il Russo.
Rinore ghignò mentre balzava d’impeto sul sedile del passeggero.
«Nella tua fantasia, socio. Ho fatto il corso di guida all’FSA, ricordatelo.»
«Non siamo all’FSA. Questo è il fottuto MCCIB.»
Si allacciò le cinture e accese la centralina ed i sistemi dell’auto. Accese i lampeggianti, che emersero dal tetto. Nel fare la retromarcia gli pneumatici in materiale riciclabile di origine vegetale stridettero, echeggiando sgradevolmente. Nikonov schiacciò l’acceleratore a tavoletta e l’eliauto schizzò in avanti.
Una figura, appena uscita da uno degli spazi tra le auto, fece un balzo all’indietro per evitare di essere investita dal veicolo.
Nikonov selezionò la modalità manuale e notificò alla rete aeroviaria di New York che stava per passare in modalità volo e che era una emergenza federale. Non aspettò di aver oltrepassato il cancello di accesso: non appena il soffitto in cemento del garage terminò, per fare posto al cielo azzurro di una tarda primavera, azionò i comandi decollò a tutta velocità verso la stazione della metropolitana da dove era stato mandato l’ultimo messaggio di Ura.
«Non devi pilotare così per impressionarmi, Alexi» disse sarcastico Grete.
«Tieni pronta la pistola, socio. Ho i capelli sulla nuca dritti come i peli sulla schiena di un gatto.»
«Oh, maledizione, non dirai davvero…» gemette l’Elassiano.
Nikonov non rispose. Rinore, senza aggiungere altro, estrasse la sua SIG Sauer dalla fondina e controllò che il colpo fosse camerato.

Sema mantenne facilmente un contegno neutro mentre la Anderson continuava a parlare.
«Voglio tu sappia che se Ura è in pericolo puoi contare sul mio totale appoggio.»
«Perchè ci tiene a farmelo sapere, Sovrintendente Anderson? È perfettamente logico che se uno degli Agenti dell’MCCIB è in pericolo lei, che è la responsabile di tutti, dia il suo totale appoggio.”
La smorfia che contorse il viso dell’Inglese sorprese la Morassiana. La vide contrarre la mano destra in un pugno e stringere fino a farsi venire le nocche bianche.
Frustrazione. No, c’è di più. È sull’orlo del panico. Perchè?
«Possiamo lasciare i gradi da parte per un attimo?» chiese nervosamente la Terrestre.
«Se facilita la conversazione. Personalmente quando sono in operazioni non uso i gradi nell’interazione con la mia squadra. Trovo sia più efficiente.»
«Mettiamola sull’efficienza, allora. E sulla logica, anche se non sono brava come te nell’usarla. Ho tenuto a specificare che hai il mio appoggio perchè temo che non tutti, qui all’MCCIB, siano dalla parte del bene comune…»
Sema aggrottò impercettibilmente le sopracciglia.
«Chi oserebbe tanto?» chiese scandendo le parole.
Peggy Anderson scosse la testa.
«Qualcuno che potrebbe avere interessi al di fuori di qui. E tu sai benissimo di chi parlo.»
«Bennett?» esclamò Sema.
L’altra si appoggiò allo schienale della sedia, ma invece di sembrare rilassata sembrò ancora più nervosa. Un’angolo della bocca tremò per un lieve tic.
«Non ho prove, beninteso. Ma ultimamente Harvey sta facendo cose molto anomale. Dà strani ordini. E si vede con gente che non conosco e che non so cosa faccia. Sono fuori dal normale giro di personaggi istituzionali che il suo ruolo richiede.»
Sema sorrise e pensò al contenuto dello stick neuronale che portava sempre con lei.
«Conosci bene le frequentazioni del Direttore…» disse con la massima calma.
La mano della donna si aprì in un gesto di insofferenza ed un sorriso sarcastico le attraversò il volto.
«Credo che tu sappia benissimo che sono stata l’amante di Harvey. E che mi abbia messo qui perchè si fida di me. Ero una oscura archivista, organizzatrice nata, non tagliata per fare l’investigatore. Ma molto dotata in… altri campi.»
«Un problema di gelosia? Di rifiuto? Vuoi vendicarti perchè temi che Bennett ti scarichi?»
Sema vide la paura dipingersi di nuovo sulla faccia della Terrestre.
«Bennett mi ha sempre usata. Ed io ho usato lui per fare carriera. Lo ammetto…»
La Morassiana rimase di nuovo sorpresa. Non c’era segno di menzogna nelle parole della donna. Ed una ammissione del genere era compromettente. A meno che non giustificasse qualcosa di più grave. La Anderson proseguì ed il tic al labbro aumentò leggermente.
«… Ma stavolta sta oltrepassando ogni limite. Sta usando me. E userà voi per i suoi scopi.»
«C’entra Ura in questa storia?»
Gli occhi dell’Inglese si dilatarono per il terrore.
«Sema… So che fuori del Bureau sei stimata ed hai amici. Ai vertici dell’MCCIB invece no. Se non vuoi considerarmi un’amica, almeno considerami una alleata. Hai diramato bollettini di ricerca ed avvisato la Polizia Federale?»
«Non appena avrò delle conferme. Nikonov e Rinore si stanno recando sul luogo dell’ultimo contatto con l’Agente Ura Idryx.»
La Morassiana fece una pausa e poi proseguì.
«Non mi piacciono gli enigmi, Peggy. Ma sono molto brava a dipanarli. Di Bennett non mi sono mai fidata. Perchè ora dovrei fidarmi di te?»
«Perchè potresti scoprire di non avere scelta.»
«Non amo essere messa in un angolo.»
«Nemmeno io. Puoi contare su questo, allora: io di scelte non ne ho più.»
«Cosa vuol dire?»
«Quello che ho detto. Usa la tua logica. E se ti troverai in difficoltà, sappi che ti aiuterò in tutto quello che mi sarà possibile.»
«Bennett non ne sarà contento.»
La Anderson fece un sorriso cattivo.
«Bennett si fotta.»
«Messaggio ricevuto forte e chiaro. Ti avverto: se tenti il doppio gioco troverò la maniera di fartela pagare cara, Peggy.»
«Lo so» rispose in tono amaro l’altra.
L’analisi delle microespressioni facciali parlò chiaro: la Anderson non aveva mai mentito in tutta la conversazione.

Successe tutto troppo in fretta, non appena le ruote dell’eliauto di servizio toccarono terra, in prossimità della stazione della metropolitana.
Grete fece appena in tempo a vedere una eliambulanza ferma in attesa, con i lampeggianti accesi e i curiosi che guardavano in quella direzione. Poi il parabrezza diventò una ragnatela opaca ed udì distintamente il suono minaccioso di un’arma che sparava a raffica.
Contemporaneamente udì la voce di Nikonov. Urlava a pieni polmoni.
«Fuori di qui! Cazzo! Ci stanno sparando addosso! Fuori Fuori Fuori!»
Grete era chino in avanti, cercando a tentoni di azionare la serratura.
Il rumore metallico, orribile, dei proiettili che impattavano sulla carrozzeria gli riempì le orecchie, mentre si sentiva il cuore in gola. Imprecò in Elassiano. Poi si ritrovò sull’asfalto del marciapiede, dietro lo sportello, con la sua SIG Sauer in mano e senza avere ancora un’idea chiara di cosa stesse succedendo, tranne che qualcuno li aveva presi di mira e li stava innaffiando di piombo.
Respirò a fondo e si voltò verso di Nikonov, dalla parte opposta dell’eliauto.
Il Russo era accucciato dietro lo sportello, con la grossa Glock in mano. Aveva una espressione stravolta, gli occhi sbarrati.
Lo vide girarsi goffamente e poi lasciarsi andare a terra, puntando l’arma oltre la portiera aperta.
Nikonov sparò due colpi in rapida sequenza.
Rinore non restò a guardare e si sporse con la sua arma a sua volta.
C’era gente che scappava da tutte le parti urlando ed ostruiva il suo settore di tiro, rendendo pericoloso rispondere al fuoco.
L’eliambulanza con i suoi lampeggianti accesi emetteva un sibilo. I motori antigravità erano stati accesi e le ruote si stavano ritirando nei recessi, preparandosi al decollo.
In mezzo al caos, come una deità irata, qualcuno in piedi sul marciapiede impugnava una pistola e faceva fuoco con raffiche brevi. Si girò e vide Rinore. Incurante dei passanti, l’uomo in uniforme da medico puntò l’arma nella sua direzione. L’Elassiano imprecò e rotolò dietro lo sportello. Una gragnola di proiettili sibilò a pochi centimetri da dove aveva la testa ed il braccio un istante prima. Tenne la pistola stretta al petto.
Poi di nuovo il rumore delle raffiche e imprecazioni in russo.
Rinore si guardò attorno: non c’erano ripari sul marciapiede. Un negozio aveva la vetrina leggermente incassata rispetto il fronte del palazzo. Lo stipite offriva un riparo minimo. Se lo sarebbe fatto bastare.
Rotolò via non appena il rumore di una raffica cessò.
Urtò il bordo del marciapiede con un gomito. Si ritrovò con il fianco contro la vetrina, bocconi. Puntò la SIG in avanti. Una donna con un ragazzino le passò davanti correndo ed ostruendogli il campo di tiro. Istintivamente tolse il dito dal grilletto. Il suo avversario non si faceva di questi problemi.
Quando la visuale tornò sgombra, vide il portellone dell’eliambulanza aperto e una gamba del medico che spariva all’interno. L’eliambulanza decollò con i motori antigravità al massimo e si alzò ad una velocità folle oltre le cime dei palazzi. Poi sparì in direzione nord.
Tolse nuovamente il dito dal grilletto, ancora stordito dalla rapidità degli eventi. La gente stava ancora gridando, qualcuno era a terra, con le mani sopra la testa in un inutile gesto di protezione.
«Alexi! Stai bene?» urlò con quanto fiato aveva ancora in corpo.
«Si! Tu?»
«Sono tutto intero e non ho buchi supplementari nel corpo! Inseguiamo quel figlio di puttana!»
Si alzò rapidamente e fece per dirigersi verso l’aXion. Il fumo che si alzava dal cofano non gli fece presagire nulla di buono.
Nikonov si era alzato a sua volta e stava guardando la stessa cosa.
«Credo che non andremo da nessuna parte…» ringhiò. Poi diede un calcio  formidabile alla carrozzeria, che emise un suono cupo.
«No, no no… » gemette Rinore. Entrò nell’abitacolo ed azionò il pulsante di sblocco del cofano crivellato di buchi.
Uscì e lo aprì d’impeto, facendo scricchiolare le cerniere.
«Maledetto! Ha distrutto la centralina di controllo del motore antigravità! Possiamo escludere l’inseguimento» esclamò l’Elassiano.
«Per fortuna i pannelli balistici dell’abitacolo e il vetro corazzato hanno retto. Altrimenti non saremmo qui a raccontarlo. Chiamo Sema» borbottò il Russo.
Nikonov prese il palmtop e gli ordinò di chiamare la Morassiana.
Grete lo sentì parlare con una insolita calma e lo invidiò. Lui era agitato ed aveva ancora la pistola in mano. Uno dei passanti, una donna, si rialzò da terra lo guardò spaventata. Lui sorrise, azionò la leva di disarmo del cane e mise la semiautomatica in fondina.
«Io chiamo la polizia…» balbettò la Terrestre.
«Sono io la polizia, signora» rispose Grete recuperando una sicurezza scossa dagli avvenimenti. La donna raccolse una busta dal marciapiede e si allontanò in fretta.
Aspettò che Nikonov finisse di parlare.
«Alexi, sei riuscito a sparare?»
«Solo due maledetti colpi. E non ho preso niente. Tu?»
«Nemmeno uno. Non ho mai visto una cosa del genere.»
Il Russo scosse la testa.
«Io si. Ed è gente che non vorrei mai avere contro.»
«Marines?»
«Sì.»
«Potrebbe essere un ex Marine?»
«Quel rotto in culo, potrebbe essere il figlio di Satana, per quello che ne so. Spero solo di poter pareggiare il conto al più presto.»
Grete evitò di chiedere cosa fosse Satana, ma la parola in Inglese Standard suonava agghiacciante anche senza saperne il significato.
«Sema?»
«Avvertita. Sta diramando un bollettino di ricerca per Ura ed avvertendo la Polizia Federale. Quelli del DFI stanno venendo qui.»
«Ma che sta succedendo?»
«Non lo so. Niente di buono. E Ura c’è dentro fino al collo.»
«Come lo sai?»
«Quando mi sono sporto la prima volta ed ho sparato, ho visto per un attimo una barella con sopra un corpo che veniva spinta dentro l’eliambulanza. Scommetto la paga di un anno che sulla barella c’era proprio Ura.»
«Come puoi essere sicuro?»
«Chiamalo istinto. Ora non possiamo fare altro che aspettare. E sperare.»


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