Lo straniero si era accampato ai margini dell'oasi, in un posto periferico rispetto all'accampamento ma tranquillo.
Aziza poteva vedere il fuoco del bivacco dalla sua tenda rompere il buio tra le palme e le dune.
Lo straniero la incuriosiva. Non aveva la pelle e gli occhi scuri come i suoi.
Era arrivato al tramonto e si era presentato direttamente a suo padre Said, il capo della tribù.
Parlava arabo senza alcun accento, per cui non aveva saputo dire da dove provenisse.
Ma lo sfavillio di occhi azzurri sotto lo shemagh l'aveva attratta.
Quando aveva aperto il copricapo, lasciando pendere i lembi, il volto dell'uomo le era apparso: il sole del deserto aveva lasciato qualche segno e la mancanza d'acqua faceva apparire la pelle come cuoio essiccato tirato sul legno di una sella per cammelli.
Non era un Arabo né un berbero. Lineamenti così Aziza li aveva visti solo una volta, quando la carovana della tribù aveva incontrato dei soldati francesi.
L'uomo non aveva detto il nome, aveva esibito solo la formula del saluto di rito e chiesto a suo padre il permesso di potersi accampare per la notte.
"Sei un Credente?" aveva chiesto Said.
"No" aveva detto l'uomo scuotendo impercettibilmente la testa.
"Un Cristiano? Un Ebreo?"
L'uomo aveva di nuovo scosso la testa in segno di diniego.
"Ho attraversato quasi tutto il deserto da solo, ho provveduto al mio cibo ed alla mia acqua. Sono stanco. Voglio solo preparare il mio cibo, riposare e riprendere forze. Ha importanza se credo in qualche Dio?"
Said aveva annuito.
"No. Se vuoi puoi cenare nella mia tenda e raccontarmi cosa fa un europeo con un cammello tutto da solo in un tratto di deserto così pericoloso come questo. Hai un nome?"
L'uomo annuì.
"Ce l'ho. Ma preferisco celarlo. Perchè chi non sa non può riferire. E mettersi in pericolo."
"Attirerai la sciagura sulla mia tribù se ti ospito?"
"Non se il mio passaggio rimarrà inosservato. Ma se vuoi proprio un nome chiamami Mohammad."
"Come il Profeta, la Pace sia su di Lui!"
"Non sono un Credente."
"Questo lo hai già detto. Dove vuoi accamparti?"
Mohammad l'Europeo indicò il punto più scuro e più distante dell'oasi.
"Lì. Non disturberò nessuno di voi. E se nessuno di voi, tranne Said il Saggio, sa che esisto sarà meglio."
Aziza era rimasta affascinata dal mistero e dalla forza che emanava lo straniero. E più tardi, dopo che aveva svolto le incombenze che sua madre le aveva chiesto, si era diretta di soppiatto verso il fuoco solitario.
Era certa di non aver fatto rumore. Suo padre le aveva sempre detto che lei era silenziosa come una duna in una notte senza vento.
Ma quando era arrivata a meno di cinque passi dalla figura appoggiata ad un albero ed accoccolata vicino al fuoco, l'uomo aveva parlato.
"Faresti meglio a farti vedere. Sono armato e non mi piace essere preso alle spalle."
Aziza si era spaventata ed aveva fatto per tornare indietro. Era anche indispettita per il fatto che lo straniero l'avesse scoperta.
Poi la curiosità la vinse e si avvicinò cautamente.
Un grosso revolver (un Webley, ma Aziza non poteva saperlo...) giaceva sul grembo dell'uomo.
Mohammed l'Europeo la guardò non appena la figura velata di Aziza entrò nel cerchio di luce del fuoco.
Rimase in piedi mentre lo vide afferrare il calcio della pistola con la grossa mano dalle dita forti e far sparire l'arma sotto al burnus.
Aziza si accoccolò dall'altra parte del bivacco e si coprì il volto con un lembo dell'abaya. Solo gli occhi scuri sottolineati dalla matita nera che ne disegnava le palpebre furono visibili.
"Non dovresti essere qui. Tuo padre Said non sarebbe contento."
"Ho sedici anni, Mohammed l'Europeo. Alla mia età le donne si sposano e fanno figli. Ed io sono esattamente dove voglio essere."
"Perchè sei venuta?"
"Curiosità. Non sei un Francese..."
"No."
"Che ci fai nel mio deserto?"
"Il deserto non è di nessuno. Ma se non sei attenta apparterrai tu al deserto per sempre."
"Ragioni come un tuareg."
"C'è molta saggezza in un tuareg quando si tratta di deserto. E di sopravviverci."
Stettero in silenzio per un po'. Poi fu Aziza a parlare di nuovo.
"Hai mangiato?"
"Si. Ho del cibo con me."
"Perchè non sei venuto nella tenda di mio padre? Ti aveva invitato. Poteva offendersi."
"Tuo padre è un uomo saggio. Se l'avessi fatto mi avrebbe visto tutta la tribù. In questo modo, invece, io sono solo un ombra tra le palme. Ed un ombra non reca alcun pericolo per la tribù"
"Perchè vuoi essere un'ombra, Mohammed, se questo è il tuo nome..."
"Per molte buone ragioni. E non è il mio nome."
Ci fu un momento di pausa. Mohammed ne approfittò per portare alla bocca una borraccia.
"Spero non sia alcol. Voi Europei lo bevete ma il Profeta lo proibisce ai Credenti."
L'uomo sorrise.
"Io non sono un Credente."
"Non è bene non credere in nulla."
"Non è vero che non credo in nulla. Una cosa in cui credo c'è."
"Se non credi in Allah tutto il resto è pericoloso oppure inutile."
"Sei una ragazzina. Che cosa ne sai tu in cosa può credere un uomo?"
"Ed in cosa può credere un infedele?"
Mohammed guardò verso il deserto, dove il manto di stelle veniva interrotto in basso dalle curve dolci delle dune di sabbia.
Indicò una direzione ben precisa.
"Io sono diretto laggiù. Tra due giorni sarò a destinazione, Inshallah. Quello in cui credo mi ha fatto attraversare il deserto. Quello che mi spinge mi ha fatto trovare volontà e forze per farmi giungere fino a qui."
"Cosa?"
"Il Destino."
"Non capisco."
"Cosa ne sai tu dell'amore, Aziza figlia di Said il Saggio? Sei solo una ragazzina."
"L'amore non può essere più grande di Allah, perchè è Allah che lo infonde nel cuore degli uomini."
Mohammed sorrise.
"Ti sbagli, Aziza. Allah è frutto dell'amore degli uomini. Perchè se gli uomini non lo amassero Egli non esisterebbe. Egli sorge nel tuo cuore perchè sei capace di amare e scompare quando il tuo cuore diventa arido come la sabbia."
"Allah è in tutte le cose. E tu stai bestemmiando."
"Non è Allah che mi ha dato le forze, ma il cuore di una donna."
Aziza rise.
"Sei assurdo!"
"Fino a che non conoscerai l'Amore non potrai dire di aver conosciuto Allah."
Aziza rimase interdetta, perchè quelle parole l'avevano colpita fin nel profondo.
"Chi è che ti ispira così tanto?"
Gli occhi di lui sfavillarono.
"I suoi capelli sono oro filato sotto le mie mani. I suoi occhi sono il cielo sopra il deserto, quando Algol brilla più splendente nella notte. La sua bocca è miele e le sue labbra sono petali di rosa. E la sua voce è il canto che ha creato il Mondo e fa battere ancora il mio cuore stanco."
Aziza rimase senza fiato.
Avrebbe voluto che qualcuno l'avesse raffigurata in quel modo così appassionato. Si sentì per la prima volta solo una adolescente persa nel deserto, piccola ed inadeguata.
"Vorrei che qualcuno ricordasse me in quel modo."
Mohammad le rivolse un sorriso caldo.
"Togli il velo."
Aziza lo fece con un gesto timido e le parve di essere nuda di fronte allo sconosciuto.
Mohammed annuì.
"Accadrà. Quando qualcuno ti guarderà con gli occhi dell'amore i tuoi occhi preziosi come ambra e le tue sopracciglia scure come archi d'ebano gli si imprimeranno nell'anima come un marchio di fuoco. E non potrà avere pace fino a che non ti avrà raggiunta."
"Accadrà anche a me?"
"Accade quando si ama, Aziza."
La giovane richiuse il velo e riguadagnò le tende.
Zina, sua madre, la vide.
"Sei stata dallo straniero?" le domandò.
"Si, madre."
"E cosa ti ha detto?"
"Mi ha insegnato un modo per arrivare ad Allah."
Zina abbracciò la figlia.
"Vai a letto. "
Aziza obbedì, anche se sapeva che il sonno avrebbe tardato ad arrivare.
La donna uscì dalla tenda e guardò il falò lontano, ai bordi dell'oasi.
Aveva riconosciuto la luce nello sguardo dell'uomo quando si era presentato a suo marito Said. Era lo stesso di quando, anni prima, un giovane valoroso si era presentato da suo padre per chiederla in moglie, anche sapendo che lei era stata promessa ad un altro.
Suo padre aveva risposto di no tutte e tre le volte che Said si era presentato con la richiesta.
Ma lui si era presentato una quarta. Con doni ancora più preziosi.
Suo padre allora aveva chiesto al giovane Said perchè avesse insistito nonostante i dinieghi.
E Said aveva risposto, scandendo dolcemente le parole "Perchè il cuore di quella donna mi porterà ad Allah. Accetti i miei doni?"
"Mia figlia ti risponderà questa volta. E ti rimetterai al suo verdetto una volta per sempre."
"Lo farò. Qualsiasi cosa lei mi risponderà."
"Zina" aveva chiesto suo padre rivolgendosi a lei "Accetti i doni di quest'uomo?"
Zina aveva sorriso ed aveva risposto.
"Non accetterò i suoi doni."
Per un istante aveva visto la luce morire negli occhi di Said. E poi aveva aggiunto.
"Io accetto lui."
Era così che suo padre l'aveva data in sposa a quello che, poi, aveva preso il suo posto a capo della tribù.
E quando aveva detto "io lo accetto" Zina aveva visto la cosa più potente dell'Universo illuminare di nuovo il volto del suo Said.
La stessa cosa straordinaria che aveva animato lo straniero attraverso sofferenza, attraverso l'ordalia della sete, della fatica, della fame. Della speranza.
La stessa cosa che aveva toccato il cuore di sua figlia per la prima volta.
"Che Allah ti guidi alla tua meta, straniero. E che i tuoi passi non incrocino più i miei."
Quando Zina, il giorno dopo, passò vicino al bivacco, trovò solo tracce di un cammello, un mucchietto di cenere ricoperto dalla sabbia e nient'altro.
E seppe che la speranza più forte del mondo la notte prima era passata proprio di lì, come una benedizione.
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