venerdì 27 gennaio 2017

Come potrebbe cominciare il 4 libro di Spaceborne Marines...

CAPITOLO 1

La giornata su Erya cominciò come al solito, molto presto, prima dell'alba.
Mi alzai dal letto, diedi un lieve bacio a Daria e poi uscii dalle coperte.
In casa non avevamo tutte le tecnologie a cui ero abituato su Primus o sulla Terra.
Erya era ancora un pianeta selvaggio, che si stava risvegliando da un sonno simile alla morte.
Per esempio le finestre non avevano i vetri oscuranti con comando vocale.
Erano semplici vetri doppi, isolanti e coibentanti, nemmeno in grado di generare elettricità.
Per oscurare la camera da letto usavamo delle semplici tende.
Cose insomma dal sapore antico.

Misi i piedi sul tappeto ed infilai le pantofole.
Facendo meno rumore possibile mi diressi in bagno e mi diedi una sciacquata rapida al viso.
Mentre mi asciugavo mi guardai allo specchio.
Incominciavo a stempiarmi, anche se la cosa non era molto visibile a causa del fatto che tenevo ancora i capelli cortissimi, come quando ero nei Marines.
Ed una folta barba mi incorniciava il viso. Qualche pelo bianco aveva cominciato a striarla.
Finii di asciugarmi e cominciai a vestirmi.
Indossai calzoni pesanti, in hypertex, canottiera in cotone leggero, camicia in flecce spesso, e giaccone in Hypertex. Su Erya in quel periodo era ancora inverno, secondo il Calendario Unificato Terrestre, l'ultima settimana di Febbraio. L'ultimo di questo millennio.
E come spesso succedeva a Febbraio, poco prima che la primavera addolcisca il clima e ti baci sul viso con il suo tepore e l'annuncio della bella stagione, faceva più freddo del solito.
Mi recai in cucina, per scaldarmi il caffè. L'ampio locale recava ancora i segni della cena della sera prima. Avevamo mangiato assieme Daria ed io, da soli. Jeanne era su Namer, ad Incir-Karnak.
Di Hadi arrivavano le sue email, una o due volte al mese, attraverso MYRCOM.
Non eravamo mai stati cosi liberi, nemmeno quando ci eravamo sposati, perchè era stato sempre un susseguirsi di impegni, tra la guerra che aveva minacciato di sterminio tutte le specie in quel settore e poi gli impegni di ricostruzione del Corpo dei Marines.
Mi scaldai al volo una tazza di caffè nero e forte, addolcito con zucchero di canna, e una grossa fetta di torta, che avevo cotto io stesso il giorno prima.
Era ancora tiepida e morbida.
Guardai fuori. Nevicava.
Non sarebbe stato semplice controllare lo stato delle coltivazione di aurum.
Non ci si lasci ingannare dal nome. Non è latino anche se le messi hanno il colore del metallo di cui sembrano riprendere il nome, l'oro.
Il nome è Eryano antico. E significa Foglie Elettriche.
È una pianta che veniva considerata infestante e poco interessante dagli indigeni, prima dell'invasione Urdas che distrusse il pianeta, venticinque anni fa.
L'aurum ha la sgradevole proprietà di comportarsi come una lampreda: dare scosse elettriche a chi la tocca per sbaglio. Fulmina tutti gli insetti parassiti che le si avvicinano e lascia avvicinare solo quelli utili alla sua riproduzione, una specie di ape aliena, l'yrium, che produce un miele dolcissimo dalle proprietà anti tumorali.
La prima cosa che gli Eryani facevano, prima del loro sterminio, era di falciare lontano dagli abitati l'aurum.
Ora viene coltivato.
Ed io sono uno di quelli che ha una delle più grosse piantagioni di tutto il pianeta.
All'inizio era solo per permettere la produzione di miele antitumorale. Un chilo di miele di aurum rende diecimila crediti. Perchè è la panacea per il 90% dei tumori. Ha anche effetti curativi su altre malattie.
Ma poi ci si rese conto che l'erba poteva essere sfruttata per altri scopi: generare energia pulita.
Il tetto della mia casa su Erya è completamente ricoperto di aurum. Le piante crescono con le radici sospese su una rete metallica che ne raccoglie le emissioni elettriche e le convoglia ad una serie di convertitori a CLT-5, che funzionano come delle batteria tampone.
Il metabolismo dell'aurum produce tanta energia da soddisfare il bisogno energetico della mia famiglia per tutto l'anno, anche quando si abbassa, come ora, durante la stasi invernale.
Durante la stagione fredda dobbiamo stare attenti, ma uno dei gruppi di ricerca che dirige Daria sta cercando di ricavare degli accumulatori fatti con clorofilla di aurum, in modo da sopperire ai periodi di scarsa produzione.
Sciacquai la tazza nel lavandino e presi un'altra fetta di torta.
Riempii il termos con altro caffè e poi rimasi in ascolto.
Solo il rumore ovattato della neve che si accumulava all'esterno.
Daria si sarebbe svegliata tra un'ora.
Programmai il bollitore ed il forno per farle trovare tutto caldo.
Misi tutto nello zainetto, dove avevo tutti i miei effetti.
Estrassi la pistola da una tasca e la controllai.
Ero stato a lungo indeciso sul modello, ma avevo optato per una Sig Sauer tutta in metallo.
Il problema erano gli animali. E gli Ibridi eryani.
Ogni tanto qualcuno di loro completava la trasformazione ed impazziva. C'erano state delle vittime.
Anche se la maggior parte continuava a prendere il mix di farmaci per tenere sotto controllo la mutazione, sperando che qualcuno, in giorno, trovasse la soluzione per farli tornare come erano prima.
Era meglio essere armati, specialmente chi, come me, si avventurava per ore da solo per i campi.
Guardai il mio palmtop, collegato alla ricevente di casa.
«Merda... uno dei droidi coltivatori è guasto. Deve essere colpa della neve. Avrà ghiacciato qualche circuito» sussurai.
Un rumore lieve mi fece voltare.
«Buongiorno amore... hai fatto già colazione?» chiese Daria.
«Hai la colazione già programmata, tesoro. Perchè non vai a dormire ancora un po' tu che puoi?»
Scosse la testa, si avvicinò, mi aprì il giaccone termico e mi abbracciò stringendomi a se.
«Mi sono girata ed ho visto che il tuo posto era vuoto. Ed il sonno è finito...»
Le baciai la testa.
«Mmmh... ho voglia, Dex. Devi proprio andare subito?» miagolò.
«Sei una Dariana di una certa età. Certe proposte sono sconvenienti... »scherzai.
Lei ridacchiò, strofinandosi addosso a me.
«Come se ti dispiacessero certe proposte...»
«Non mi dispiacciono, se fatte da te... »
Dovetti farmi forza. Trovavo Daria attraente come quando c'eravamo incontrati, tanti anni prima.
Un'offerta di sesso da parte di una Dariana non la si rifiuta a cuor leggero, anche se è la propria moglie.
«Ma devi andare... Ed io devo essere per le nove a Kryak, al Centro Ricerche.»
Si guardò attorno.
«La cucina è un disastro...»
«Ci penso io quando torno. Lo sai che noi contadini ci alziamo presto e finiamo presto nei campi. In questo periodo non c'è molto da fare, a meno che non si guasti qualche droide...»
Mi baciò a lungo e ricambiai.
Poi si staccò.
«Va bene. Ma stasera pretendo attenzioni. Sarà una giornata lunga per me...»
«Perchè?»
«Discussioni di budget. Vogliono mollare il filone di ricerca sugli Ibridi.»
«Ma tu sei il capo!» esclamai.
«Ma i soldi me li da la Federazione. E loro credono che lo sviluppo di un anti-mutageno siano tempo e soldi buttati.»
Presi lo zainetto.
«Tu cosa pensi?» chiesi in tono piatto.
«Che sono dei poveri disgraziati che vengono trattati come rejetti anche dalla specie da cui provengono. Dex... Non avevano molta scelta sotto gli Urdas.»
Rabbrividii.
«Daria... Io ho visto come succede l'Urdas-Karnak. È orribile.»
Daria fece un mezzo sorriso, sconfortato.
«Tu si. Ma gli Eryani sopravvissuti no. E li odiano. Hanno persino coniato un termine, preso da voi Terrestri.»
Annuii.
Protesi una mano verso Daria.
«Non lo voglio sentire. Detesto quella parola. È ingiusto. Quelli che sono qui hanno collaborato con noi. Si sono sacrificati contro gli Urdas ed hanno rischiato, defezionando.»
«Sono senza speranza. Paradossalmente gli unici che si occupano degli Ibridi eryani sono i Terrestri.»
Daria esitò un'istante.
«Perchè quel termine lo detesti tanto?»
«Perchè è un marchio di infamia che non meritano. Almeno non come lo meritarono i Terrestri originalmente. Gli Eryani non avevano scampo. I Terrestri si.»
Baciai di nuovo Daria.
«Sarò a casa per le quindici. Dovrei farcela per quell'ora. Ti chiamo se ritardo. Se non mi senti per le sedici, chiama lo sceriffo, va bene?»
«Va bene, ma sii prudente.»
Uscii fuori ed il vento freddo mi tagliò la faccia.
Le nuvole lattiginose opprimevano il cielo, che cominciava a colorarsi di bianco smorto, e le luci esterne si riflettevano sulla neve dando una falsa idea di tepore.
Il droide che spalava la neve mi udì arrivare e si fermò per un attimo.
«Buongiorno signore.»
«Buongiorno, che previsioni ci sono?»
«Direi buone, signore. Sono le sei e dieci ed alle ore otto dovrebbe smettere di nevicare e il cielo si dovrebbe aprire. Si prevede sole, anche se le temperature non supereranno lo zero anche oggi.»
Annuii.
«Grazie Eugene. I faccio un lungo giro. Ho avvertito la signora Dax che dovrei tornare per le 15. Se non sono qui avvertila e poi chiama lo sceriffo.»
«Oh oh, prevede problemi, signor Dax?»
«Sempre.»
«Le ricordo che oggi lei ha i tiri mensili obbligatori.»
Sbarrai gli occhi.
Me ne ero dimenticato completamente.
«Ho un droide da riparare sull'appezzamento ovest.»
«I tiri sono importanti. Mi ha programmato lei a ricordarglieli.»
«Va bene. Vedrò di esserci. Buon lavoro e spala bene il vialetto per la signora.»
«È il mio compito, signore. Buona giornata.»
Salii sul mio eliPickup GMC, lo accesi e misi i riscaldamenti al massimo.
L'aria nell'abitacolo era gelata.
Sentii scricchiolare il ghiaccio quando le ruote si staccarono da terra e si ritrassero nella carrozzeria.
Lo tenni a cinquanta centimetri da terra.
Accesi i fari e vidi saettare grossi fiocchi di neve attraverso il cono di luce.
«E secondo Eugene smetterà di nevicare tra... » borbottai guardando il terminale da polso «Un'ora e mezza? Secondo me il sensore della stazione meteo sta dando i numeri.»
L'aria si stiepidì piacevolmente e la brina sul parabrezza si sciolse.
Misi il commutatore si marcia in avanti e poi, lentamente, mi alzai a quattro metri da terra.
Feci fare pigramente un giro sopra la casa.
Grazie al cielo il sistema di riscaldamento del tetto, alimentato dall'aurum, funzionava ed impediva alla neve di accumularsi pericolosamente.
Salutai casa, come sempre, puntai dalla parte opposta da dove cominciava a baluginare la prima timida luce e schiacciai l'acceleratore.
L'eliPickup schizzò via accelerando, senza toccare il terreno imbiancato.


Non fu difficile trovare il droide malfunzionante.
Il localizzatore che ogni unità ha impiantato nei circuiti mi portò a quello che mi era sembrato solo un cumulo di neve poco più alto degli altri.
La nevicata aveva raddoppiato di intensità.
Pensai alle previsioni che Eugene, il mio droide domestico, mi aveva snocciolato mentre spalava la neve e scossi la testa.
Chiusi il giaccone, infilai i guanti, infilai il passamontagna e tirai su il cappuccio.
Lasciai acceso il generatore dell’eliPickup e lo predisposi a galleggiare a trenta centimetri da terra.
Il localizzatore nel veicolo lo avrebbe tenuto in posizione di parcheggio, compensando la spinta del vento, altrimenti sarebbe stato lentamente trascinato via.
Quando uscii all’esterno fui contento di aver lasciato il riscaldamento aperto nell’abitacolo: si gelava.
Passai la mezz’ora successiva a togliere con le mani guantate la neve che si era accumulata sul droide, immobile come una statua.
Arrivai all’altezza del torace ed aprii l’indumento isolante che lo copriva. Poi premetti un punto sul guscio in polimero e questi si aprì.
Tornai al mio eliPickup e presi dal cassone una valigetta di quelle militari, stagne. C’era ancora scritto sopra UFMC. Tornai al droide e tirai fuori dalla valigetta l’apparecchio per la diagnostica.
Lo accostai al droide. I diagrammi erano completamente piatti.
«Cristo! Deve essere andata in tilt la centralina di gestione della pila a CLT-5» borbottai.
Presi la fibra ottica e collegai fisicamente alla porta sulla piastra interna. Poi collegai anche un cavo elettrico all’apparecchio diagnostico. Il minuscolo schermo sulla piastra del droide finalmente si accese.
«Come pensavo. La centralina di alimentazione.»
Staccai tutto, riposai cavi e apparecchio nella valigetta stagna e mi assicurai di averla chiusa bene.
Sbuffai ed una nuvoletta di vapore si condensò davanti al viso.
«Ci vorrà un po’ di tempo.»
Quando mi girai di nuovo verso il mio veicolo, cessò improvvisamente di nevicare. Un sole dorato cominciò a farsi strada tra le nubi e sparse il suo sguardo sulla pianura e sulle colline lontane.
Tutto era diventato netto, definito, magnifico. Un senso di gloria e di infinito mi pervadeva ovunque posassi lo sguardo: su boschi lontani, con gli alberi clonati che avevamo piantato a centinaia la passata primavera, Sulle colline incappucciate di neve, come grossi pan di zucchero su cui un Dio generoso avesse riversato abbondante zucchero a velo. Sulla pianura dove giaceva il mio tesoro vegetale che avevo coltivato alzandomi ogni giorno all’alba, con qualunque tempo.
Ero l’unica presenza umanoide per decine di chilometri in una natura selvaggia.
E la cosa mi intimoriva e mi esaltava al tempo stesso.
Se qualsiasi cosa fosse andata male, avevo buone possibilità di morire li dove ero, se non mi avessero trovato i soccorsi.
Ma c’era quel senso di sfida che mi pervadeva, e la consapevolezza che da li a tre mesi avrei fatto il mio terzo raccolto, che si preannunciava più ricco degli altri.
Ebbi un’istante di felicità completa e desiderai di essere già a sera e di poterlo raccontare a Daria.
Perché lei mi avrebbe potuto capire come nessun’altra.
Salii sul cassone dell’eliPickup, ingombra di varie casse e valigie tutte stagne.
Lavorando da solo in luoghi deserti, a volte a decine di chilometri da casa o da qualsiasi altro posto con presenza umanoide, dovevo portare tutto con me: pezzi di ricambio per il mio mezzo, attrezzi per riparazioni, pezzi di ricambio per i droidi, sementi, attrezzi agricoli, barre di CLT-5 di ricambio in diversi formati.
Ne aprii di media grandezza e rovistai tra le buste impermeabili e sigillate, fino a che non trovai quello che cercavo: una centralina nuova di ricambio.
Presi anche la cassetta degli attrezzi e scesi di nuovo dal cassone.
Lavorai per un’ora, mentre il sole illuminava l’intera pianura.
Smontai la piastra anteriore e la ribaltai, tolsi tutte le connessioni, ormai le ricordavo a memoria avendo fatto quel lavoro più di una volta, e finalmente fui in grado di sganciare la centralina dalla sua sede. La estrassi e misi al suo posto quella nuova.
Mi soffiai sulle dita. Per fare il lavoro mi ero dovuto togliere i guanti e le avevo intirizzite. Nonostante avesse smesso di nevicare ed il cielo si fosse aperto, la temperatura era ancora sotto lo zero.
Non mi sento più le dita. Ho bisogno di calore.
Mi infilai nell’abitacolo ed il calore mi avvolse piacevolmente.
Aprii lo zainetto che avevo con me ed estrassi un thermos. Quando lo aprii l’odore del caffè mi colse le narici e mi accorsi di avere una fame da lupi.
Versai il caffè nella tazza e dallo zainetto uscì anche una fetta di torta che mi ero portato via da casa.
Bevvi e mangiai di gusto, mentre attorno a me c’era il niente. Solo io e la natura di Erya, che stava risorgendo.
Non era una vita dura, in fondo. Era tutto molto tranquillo. I rischi erano minimi: non c’era nessuno che ti sparava addosso. Non dovevi stare immerso nella neve fino al collo in una tuta mimetica.
Negli ultimi tempi mi aveva colpito un senso profondo di meditazione e consapevolezza del tutto nuovo. Guardavo le cose come se le vedessi per la prima volta e mi colpiva la bellezza anche di dettagli minuti: un insetto, una distesa d’erba verde a perdita d’occhio, le acque impetuose di un fiume, il brillio di stelle in una notte serena.
Le assorbivo, come se temessi di non vederle più da un momento all’altro.
Fini l’intervallo ed uscii di nuovo all’aperto, rinfrancato.
Ricollegai la centralina alla piastra frontale ed all’alimentazione e la richiusi. Poi richiusi anche il guscio in polimero che chiudeva il vano. Presi di nuovo l’apparecchio per la diagnostica e stavolta i potei leggere i valori di sistema. Il droide era a posto attendeva solo che gli ridessi vita.
Premetti il tasto RESUME sul menù principale e la testa del droide si mosse.
«DAC-5[1] matricola 023458734X8 pronto per iniziare il lavoro.»
«Duck, mi riconosci?»
«Oh si, signor Dax. Devo aver avuto un guasto. I miei log sono fermi alle cinque di questa mattina. Devo riprendere il lavoro?»
«No Duck. Con questo tempo è inutile. Ti guasteresti di nuovo.»
«Non credo signore. La centralina che mi ha installato è del nuovo tipo. Dovrebbero essere molto più affidabili anche a queste…»
Lo interruppi.
«Duck, richiama gli altri droidi coltivatori. Rientrate nel ripostiglio alla fattoria fino a nuovo ordine ed eseguite un ciclo di manutenzione livello 1. Se avete problemi, chiamate l’assistenza in città.»
«Si signore.»
«Io rientro.»
Avevo una dozzina di droidi sparsi per la proprietà. Era stato un eccesso di prudenza mandarli a controllare le piantagioni con quelle condizioni meteo ed ero stato fortunato che se ne fosse guastato solo uno.
Risalii sull’eliPickup, mentre Duck si orientava guardando in direzione degli altri appezzamenti.
Poi si girò e cominciò a marciare sul campo innevato in direzione di casa.
Guardai l’ora. Erano le dieci. Se non si fosse guastato un altro droide, la mia giornata era finita.
Pensai a quello che c’era da fare a casa.
Avrei fatto un’altra torta, rimesso a posto la cucina e poi avrei preso il fucile e sarei andato al campo di tiro.


[1] DAC-5 = Droide Agricolo Coltivatore modello 5





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