martedì 4 novembre 2014

Paul James Horten: piccola introduzione su me stesso

Mi chiamo Paul James Horten e tutto quello che posso dire é che amo alcune cose nella vita.
Una di queste é scrivere.

Le tematiche che affronto nel mio lavoro di scrittore (parallelo a quello di giornalista tecnico) sono le piú disparate.

Inseguo ció che mi appassiona.

Nasco come giornalista tecnico nel campo delle armi e della difesa.
Tutta quella roba che ruota attorno ad una divisa e di cui, normalmente, la gente ha paura di parlare.

É dal lontano 1997 che ne parlo a livello nazionale su riviste italiane e, piu' recentemente, anche su riviste statunitensi.

Ho prestato servizio in una unitá di elite di un esercito europeo, non riveleró quale, e tuttora mi diletto nel tiro a segno e nel collezionismo di armi.
Il tiro é un'arte che va praticata e raffinata, va capito il perché, sia tecnologico che spirituale dell'uso di un'arma.

Potrá far sorridere, ma se si prendono ad esempio i Samurai, i letali guerrieri giapponesi, si scoprono dei risvolti che lasciano perplessi noi Occidentali.

Innanzitutto c'era la rigorosa preparazione fisica, e li nulla di nuovo: anche per gli Occidentali la prestanza atletica é una dote basilare.
Bisogna combattere marciando per chilometri, portando con sé l'equipaggiamento, le armi, le munizioni.

Ma c'erano altri due aspetti che noi Occidentali fatichiamo tuttora a comprendere: la filosofia e il forgiare un forte spirito.

Il Bushido dava il codice d'onore di un Samurai. Come l'armatura vestiva il corpo del guerriero, il Bushido (Letteralmente "La Via del Guerriero") vestiva l'anima. Perché un guerriero senz'anima e senza un'etica non é un guerriero, ma un volgare assassino prezzolato.

E lo spirito era quello che rendeva capace un Samurai di compiere le imprese piú incredibili e di sostenere la pressione della battaglia. Il corpo poteva anche avere delle mancanze, ma era lo spirito che, se era forte, ne compensava le deficienze e forniva le motivazioni a compiere il dovere fino in fondo.

Non basta la tecnica, quindi, ma ci vuole una forte formazione umanistica di fondo affinché da un semplice soldato, parola legata ad un'altra "soldo" la paga per cui si affrontava la morte in battaglia, si possa trarre un guerriero.

E tra soldato e guerriero la differenza é profonda.

É da queste considerazioni che é scaturita la voglia di scrivere di battaglie, di guerre, ma sopratutto di ció che spinge un'uomo a diventare un guerriero.


Non si deve intendere, peró, la parola "guerriero" esclusivamente in senso stretto: la vita é una guerra.

Per nascere, innanzitutto.
Per crescere, per sviluppare le proprie capacitá, per non farsi soffocare dal mondo, agli altri, dalle nostre paure.
Per rendersi indipendenti dai propri genitori, per formare una propria famiglia, per diventare genitori noi stessi, per far crescere i propri figli.
E, infine, quando il sentiero su questa terra termina, per affrontare l'Ultimo Viaggio Ignoto.

Guerra, in questa societá edulcorata ed intrisa di ipocrisia, é diventata una parola rejetta, un crimine.

Eppure, come disse qualcuno, in guerra gli uomini danno il meglio ed il peggio di loro stessi.

Per me, é solo una delle tante attivitá umane, da condurre unicamente quando tutte le altre strade sono state percorse senza successo, l'ultima risorsa.


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